Capitolo XIV

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“Filippo, devi portarmi ad Ambrise, voglio morire là, ed essere sepolto nel nostro cimitero”.

“Ma che dici, Gregorio, non è il tuo momento, abbiamo tutti bisogno di te!”.

Rispose affettuosamente il giovane.

“Cosa dici tu! Ragazzo mio, ne ho viste di ferite, io. Forse, se avessi avuto la tua età, avrei potuto cavarmela, ma non sono che un povero vecchio, la ferita si infetterà e non potremo farci nulla e finalmente riposerò nelle braccia clementi di Dio. Adesso ci sei tu, sarai tu la guida. Ti ho visto combattere. Hai la forza dentro, sei un vero guerriero. - si soffermò un attimo , poi riprese – Filippo e il suo lupo... parleranno a lungo di te in queste terre. Va a chiamare Fra Clemente, voglio confessarmi e andare via”.

**

“Quindi hai ucciso degli uomini? - Nella stalla, Marcello conversava con Filippo - Che cosa hai sentito, racconta”.

“Erano Pirati, infedeli!”. Disse Filippo con disprezzo.

“Filippo, mi meraviglio di te, non prenderti in giro, lo sai anche tu, erano uomini. Uomini con la pelle di un altro colore, che adorano un Dio diverso dal nostro, che volevano ucciderci, ma erano uomini! Dimmi allora, cosa hai provato veramente?”.

“Forse ti deludo, amico mio. Non ho provato niente. E' come con le spade di addestramento, solo che quando li colpisci esce il sangue e non si rialzeranno più. Non hai tempo per pensare, per riflettere, combatti e basta! E' una cosa che va fatta, ed io la faccio. Non penso nemmeno che potrei morire. - Si fermò un attimo a riflettere sulle proprie parole, e con voce sommessa aggiunse - Dopo! Dopo, per un attimo assapori l'eccitazione della vittoria, ma è davvero solo un attimo, e ti senti stanco e vuoto, guardi in terra, e vedi solo poveri morti, affogati nel loro sangue e senti i lamenti dei feriti...”. Filippo abbassò lo sguardo.

“E provi angoscia e dolore”. Continuò Marcello. Poi, cambiando tono e argomento, ritornando l'allegro Marcello di sempre, disse ancora: “Dunque, Padre Gregorio, nonostante sia ferito, vuole partire”.

“Sì, ha detto che vuole morire ad Ambrise. Io spero che non succeda, ma lui dice che di ferite ne ha viste tante e che quella non perdona. Faremo una lettiga, lo porteremo a piedi per evitare le scosse. Partiremo domani”.

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Arrivarono ad Ambrise senza intoppi, La cella di Padre Gregorio era diventato in pratica un luogo di ritrovo, tutto il villaggio voleva informarsi sulle condizioni del Priore e fargli gli auguri di pronta guarigione, ma le previsioni dello stesso frate purtroppo si avverarono. La ferita si era infettata e Gregorio assumeva sempre di più l'aria di un anziano malato. Diventava sempre più pallido e magro, ormai anche i più ottimisti incominciavano ad aspettarsi il peggio.

“Filippo, - Disse l'indomani Padre Gregorio - non mi rimane molto tempo. Ti prego, vai a prendere Lucia e portala qui”.

La voce dell'anziano Templare aveva perso il tono sicuro di un tempo, era ormai una voce tremula e ansimante, doveva prender fiato quasi a ogni parola. Aggiunse:

“Fai in fretta, ti prego!”.

Nella piccola cella la cui parete più stretta era appoggiata all'abside della chiesa, c'era ormai sempre un frate, seduto su uno sgabello ai piedi del letto del Priore, recitava incessantemente il Pater Noster. Teneva tra le dita della mano una cordicella che aveva cinquanta piccoli nodi, il cinquantesimo era più grosso, ogni volta che terminava un Pater Noster, le dita sopravanzavano di un nodo sulla cordicella, arrivato a quello più grosso, recitava un Salmo e un' Ave Maria, ricominciando poi dall'inizio della cordicella con il Pater Noster. Sulla parete, alla testa del letto, era inchiodato un semplice crocefisso fatto di legno d'ulivo, era l'unico ricordo della Terra Santa che il frate aveva portato con sé, oltre la cicatrice che gli attraversava il volto. Al fianco del letto, poggiate su una specie di cassa, le sacre scritture donategli da Frate Clemente; su un'altra parete, unico arredamento, un rudimentale attaccapanni composto da una tavola di quercia con dei chiodi da maniscalco appuntati, dove erano appesi la tonaca nera con la piccola croce rossa ad otto punte e il mantello di feltro, anch'esso nero. In una cassa in terra, all'angolo, erano poggiate le sue armi e la sua povera biancheria. Da una stretta finestrella, che era quasi una fessura per non far entrare troppo freddo, filtrava poca luce diffusa che tingeva di un giallo tenue la ruvida malta delle pareti.

Il segreto di AmbriseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora