Capitolo V

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Con un sinistro scintillio, la scimitarra si abbatté sullo scudo, contrattaccò con un fendente e colpì al collo l'infedele che stramazzò a terra con fragore con la testa quasi staccata dal collo. Calpestando montagne di cadaveri, tra un fiume di sangue, Il cavaliere correva da un lato all'altro delle mura di Gerusalemme ovunque ci fosse bisogno d'aiuto. La sua spada sembrava non pesasse tra le mani e implacabile portava la morte tra le fila nemiche. La sola vista della sua scintillante armatura rincuorava le fila dei difensori della città santa e incuteva terrore al nemico. Combatterono a lungo, ma alla fine la battaglia era vinta e Gerusalemme salva.

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Inginocchiati!

Qui davanti al sepolcro di nostro Signore Gesù Cristo, Noi, Federico del Sacro Romano Impero, Imperatore per volontà di Dio, nominiamo te, Filippo da Castrum S. Petri, difensore e campione della cristianità. Grazie a te Gerusalemme è salva!”.

Dopo un profondo inchino, tra le acclamazioni, Filippo si girò verso i presenti e riconobbe tra loro suo padre che assisteva compiaciuto. L'uomo aveva accanto a se una bellissima dama vestita di velluto azzurro e bianca seta.

Padre mio, anche tu qui? - disse Filippo abbrac-ciandolo con forza. - Chi è questa donna accanto a te?”.

Filippo, non mi riconosci? Sono tua madre”.

Filippo, sorpreso e commosso, le si avvicinò per abbracciarla, ma la donna scomparve come un’ombra nel fondo della sala.

Madre, aspetta, non andare via, non ti ho ancora abbracciato!”.

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Tra odore di fumo e di latte cagliato si svegliò di soprassalto con un colpo di tosse.

“Dove sono?”.

“Finalmente! Pensavo non ti svegliassi più, sono due giorni che stai buttato lì come un sasso, in pratica mi hai cacciato da casa!”.

“Come? Aspetta un attimo, cosa è successo? Tu chi sei?”.

Si trovava in un basso casolare con le mura di pietra a secco e il tetto di paglia. Al centro, sul fuoco scoppiettante pendeva un paiolo di rame annerito dal fuoco. Il fumo, sebbene uscisse da un’apertura nel colmo del tetto, prendeva alla gola. Le finestre strette e buie illuminavano appena l'ambiente. Più in là c'erano un tavolaccio e degli sgabelli fatti con mezzo tronco di quercia, appeso tra le travi in rozze gabbie di legno, formaggio caprino ad asciugare.

“Sono Lucia, la figlia di Malco, il pastore”.

Una graziosa ragazza di circa quindici anni chinata sul pentolone estraeva la ricotta dal siero scaldato con un rudimentale colino di legno e la riversava a scolare in piccole forme di vimini intrecciati.

“Tieni, prendine un po', sarai affamato. - continuò porgendo il cestino al ragazzo - Mio padre ti ha trovato svenuto e ferito poco lontano da qua, con il tuo cavallo accanto. Devi essere caduto da solo, non c'erano altre tracce tranne quella del tuo cavallo. Comunque hai ancora una caviglia gonfia e un bernoccolo in testa grande come un uovo nonostante gli impacchi di erbe. Nel sonno deliravi. Parlavi di duelli, battaglie, crociate, ma se sei solo un pezzente. Dove hai rubato quelle armi e il cavallo? Sei un ladro? Non può essere altrimenti visto gli stracci che indossi”.

“Zitta un attimo, - la interruppe - ti prego! Mi ronza tutta la testa. Le armi... non le ho rubate! Adesso ricordo. Ho un incarico importante: le devo portare ad Ambrise da Fra Gregorio. E non sono un pezzente, mi chiamo Filippo e un giorno diventerò cavaliere”.

“Un cavaliere, ma fammi ridere. Sei caduto da cavallo come un bambino. Ringrazia che siamo lontani dal castello e mio padre non ha tempo da perdere per accompagnarti dalle guardie, ma finirai alla gogna ed io mi porterò un uovo guasto apposta per te, per rompertelo in fronte!”. Disse Lucia in tono serio, ma i suoi occhi neri ridevano mentre porgeva al giovane il formaggio con un poco di pane. Non aveva molte occasioni di incontrare forestieri dell'età sua e questo le stava anche simpatico. Filippo provò ad alzarsi, ma una fitta alla caviglia lo costrinse a desistere.

“Non puoi farcela, la caviglia è ancora gonfia, dovrai aspettare almeno un paio di giorni prima di rimontare a cavallo”. Intervenne Malco che appoggiato al montante di legno della porta aveva assistito in silenzio alla scena.

“Conosco Fra Gregorio, dicono che ha combattuto alla prima crociata, ma a me non importa niente. Gerusalemme è troppo lontana. Tanto, Papa o Imperatore, infedeli o no, a noi che siamo poveracci ci tocca sempre lavorare come bestie per un tozzo di pane. Comunque fra tre giorni c'è la fiera al castello e noi andiamo a vendere il formaggio. Verrai con noi da Fra Gregorio e chiarirai tutto quello che c'è da chiarire. A me non importa chi sei, non stai ancora bene e puoi rimanere. Abbiamo usato il cibo che avevi da parte sul cavallo, siamo poveri, e da noi nessuno può mangiare se non se lo guadagna. Lucia sbrigati! Preparaci da mangiare che ho fame, e non fare la civetta con il nuovo arrivato”.

**

I giovani guariscono in fretta e il giorno dopo Filippo era già in grado di camminare. Accompagnò così Lucia a pascolare il gregge, le raccontò tutta la sua piccola storia. Lucia era un universo sconosciuto per lui che era vissuto e cresciuto in una casa abitata da soli maschi. Maschi erano anche tutti i frati, e tutto quello che diceva e faceva la ragazza era per lui una dolce scoperta; la grazia con cui si muoveva, la sua voce chiara e soave, l'innocente malizia dell'età mettevano Filippo in una piacevole condizione di inferiorità.

“Dai, cavaliere prendi quelle more, quelle lì, al sole, in alto, sono mature”.

“Filippo quella pecora è scappata, vai a prenderla”.

“Dai, Filippo aiutami... non ce la faccio!”.

Il ragazzo le prese le mani e la tirò su, accostandola a se per un attimo. Sentì il suo odore buono, leggero e un piacevole brivido improvviso si sollevò dal basso ventre.

Il segreto di AmbriseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora