Pippetto, così lo chiamavano gli amici, vagava per la foresta in cerca di legna da ardere. Era freddo quel giorno e con il fiato il ragazzo si divertiva a disegnare piccole nuvole.
Ad un tratto sentì un lamento, veniva da un folto cespuglio di rovi. Dapprima spaventato, Pippetto si fece coraggio e con i suoi cinquanta chili di muscoli e ossa, perché di grasso il ragazzo ne aveva ben poco, si avvicinò al cespuglio. Sdraiato in terra, tra i rovi ansimava un cavaliere. Sì, un cavaliere vero, completo di cotta, armatura e spada, come quei cavalieri dei quali la sera intorno al fuoco il padre ne narrava le gesta. La tunica bianca era sporca di fango. La croce grande e vermiglia disegnata sul cuore si confondeva col sangue che copioso scorreva dal volto dell’uomo.
“Ragazzo ti prego, avvicinati”. Rantolò.
Più incuriosito che spaventato Pippetto s’accostò.
“Non ne avrò ancora per molto. I sicari dell’Imperatore non perdonano, non ho più speranza... ma promettimi una cosa... la pergamena... devi trovare la pergamena e consegnarla al Balivo[1] di Castrum, è questione di vitale importanza, ne va della vita di molte persone, forse della Chiesa stessa”.
“Pergamena? Quale pergamena?”. Chiese il giovane.
“E’ cucita sotto la sella del mio cavallo, cercalo qua intorno, non si allontana mai da me”.
Il cavaliere sempre più pallido continuò:
“Un’ultima cosa ti chiedo, una volta morto, non lasciarmi ai cani e ai corvi, dammi sepoltura. Sul cavallo, appeso alla sella, troverai uno scudo con una croce, lo metterai sulla mia tomba, promettimi che lo farai... - Guardò in silenzio il ragazzo negli occhi - Sì, lo farai, hai uno sguardo coraggioso e sincero... prendi le mie armi e il mio cavallo che rimarrà tuo, consegna la pergamena al Balivo, poi dirigiti sui monti che sovrastano Castrum, a sud, oltrepassali, nella valle che segue, troverai il piccolo castello di Ambrise, consegna tutto a Fratello Gregorio, il mio maestro. Digli che Aldebrando è morto per la croce e che il segreto muore con lui. Ripetigli esattamente queste parole. Lo farai?”.
“E’ un onore per me mio signore!”.
Con un filo di voce il cavaliere soggiunse:
“Mi raccomando... il segreto muore con lui... ho sete”.
C’era lì vicino un piccolo ruscello che attraversava la valle, Pippetto si allontanò in fretta a prendere un po’ d’acqua.
“Ecco mio signore, ecco l’acqua”.
Ma il cavaliere dalla croce sul petto, con gli occhi fissi nel vuoto, non respirava più.
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Pippetto viveva a Pozzotello ai piedi della collina di Castrum San Petri. La sua era una povera famiglia di contadini che abitava vicino al piccolo convento dei benedettini e divideva con loro la terra. Filippo era il suo vero nome ed era il secondogenito di tre fratelli. Non aveva più madre, morta partorendo suo fratello minore.
Dopo aver trovato il cavallo e la pergamena, seppellito Aldebrando in accordo con i suoi desideri, Pippetto nascose cavallo e armi in una piccola radura fuori mano, sotto le montagne. In fretta, raggiunse suo padre che con il fratello maggiore, dietro un macilento bue, spingeva l’aratro nei campi. Con eccitazione narrò loro tutto l’accaduto. Il padre, una volta ascoltata in silenzio la storia, sentenziò:
“Filippo, anche se oggi per nostra disgrazia siamo solo dei poveri contadini, sappi che discendiamo da una stirpe guerriera e non è onorevole disattendere le ultime volontà di un moribondo, Il Signore in qualche modo ti sta mostrando la strada. Segui il tuo destino, esaudisci le richieste del santo cavaliere. Ma ascoltami bene: quando andrai dal balivo, non parlare di armi, di Ambrise e quant’altro, racconta solo che un cavaliere crociato ti ha pregato di consegnare quella pergamena. Dì pure che non sai leggere, e che non ti ha detto altro. Insomma, fai lo stupido, meno fai mostra di sapere e meglio sarà per tutti. Adesso va a casa e prepara la cena”.
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Circa cento anni prima, la loro famiglia, di nobili origini, viveva a Roma. Ma quando nell’anno del Signore 1045 Papa Gregorio VI comprò il papato dal suo predecessore Benedetto IX, Enrico III del Sacro Romano Impero intervenne per sedare i disordini che ne seguirono. Anche la famiglia di Filippo si trovò coinvolta negli incidenti e purtroppo, dalla parte sbagliata. Dovettero fuggire all’improvviso abbandonando tutto, persino il nome. Aiutati dai frati Benedettini, trovarono rifugio un centinaio di chilometri più a sud, in questa piccola valle ai piedi di Castrum S. Petri, una valle ombrosa d’inverno, ma splendida a primavera; lontana da tutte le strade principali, soprattutto lontana dalla via Latina, strada di crociate ed eserciti. La loro era una vita dura, ma grazie all’aiuto dei vicini frati, tiravano avanti dignitosamente senza trascurare un’istruzione di base. Filippo ascoltava spesso Fra Silvestro quando parlava di Gesù, di Gerusalemme e dei luoghi santi, qualche volta il frate gli lasciava persino leggere il grande libro al centro della cappella. Il sant’uomo sperava che un giorno il ragazzo seguisse le sue orme e si consacrasse a Dio.
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Il segreto di Ambrise
Ficción históricaTra gli intrighi generati dal braccio di ferro tra papato e impero germanico (XI sec.), nello scenario del Lazio meridionale, durante la distruzione della fortezza del villaggio di Castrum da parte delle truppe dell’Imperatore Federico Barbarossa, u...