Attesa

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Tutti siamo in cerca di qualcosa, ma quanti hanno il dono dell'attesa?

Quando terminai con il mio compito, non mi rimase nulla da fare se non attendere la fine della mia permanenza

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Quando terminai con il mio compito, non mi rimase nulla da fare se non attendere la fine della mia permanenza. Mi piaceva sedermi ovunque ad aspettarla. In autobus, in treno, su una panchina nel parco. Mi sedevo persino sui marciapiedi, con gli arti inferiori incrociati e lo sguardo sul mondo a cercare qualcosa di lei in ogni tratto umano dei passanti per le strade, indipendentemente dal fatto che fossero in macchina o a piedi. Una volta, mi pare di ricordare, mi ero piazzato su quelle scale che portavano nei sotterranei della città, là dove migliaia di umani prendevano la metropolitana. Che cosa avessero da fare ogni giorno in quei postacci non lo venni a sapere finché non chiesi ai passanti. Era un mio modo di ingannare l'attesa, quasi l'unico ormai dopo anni di aspettativa.

«Mi scusi, dove sta andando?» Era quasi sempre questa la domanda. Erano le risposte a essere diverse.

«Al lavoro, che domande...» 

«A scuola.» 

«A trovare un parente.» 

«Dalla mia ragazza.» 

«In vacanza, finalmente!» 

Oppure semplicemente: «fatti gli affari tuoi!» 

E poi c'erano quelli che, a loro volta, mi rispondevano con domande.

«Perché chiedi?» 

«Perché vuoi saperlo?» 

«E tu chi diavolo sei?» 

«Che te frega?» 

Io dico, se una persona ti pone una domanda, perché dovresti rispondere con una domanda? I terrestri sono bizzarri. E maleducati. 

«Non ho tempo, barbone.» 

«Togliti di mezzo, ho fretta.» 

«Ma vai a lavorare, schifoso!» 

«Trovati qualcosa da fare, fannullone. Non fare il pezzente che manda in rovina la società!» 

Io, però, qualcosa da fare ce l'avevo ed era pure impegnativo, come potete capire: aspettavo. Sì, provate voi ad aspettare ogni giorno e ogni notte per anni, con la paura di addormentarvi e non vederla passare, di perdere l'unica occasione della vostra vita per andarvene da quel posto, per tornare a casa. È forse questa un'attività che rovina la società? La società, hah... Io non la toccavo affatto, quella cosa! Non m'interessava la loro società. M'interessava lei, lei soltanto, il mio biglietto di ritorno, la mia via d'uscita. Voi mi capite senz'altro, no? Capite che io non davo fastidio a nessuno, vero? Me ne stavo quasi sempre in disparte.   

«Comprendiamo, vada avanti. Che altro?»  

L'umanità mi aveva colpito, per molto tempo. Ero stato affascinato da qualsiasi cosa, persino da quelle che poi scoprii si chiamassero crepe. Sapete come imparai la lingua? Ascoltando. Già, e sono molto fiero di questo: a mio parere e con tanta modestia, credo di parlare decentemente. Ai tempi mi sconvolsero tutti quei rumori e quei suoni strani della lingua umana, tutti così diversi. Mi ero accorto, però, che ogni tanto le parole - sì, sì, si chiamano parole - ritornavano e le trovavo anche su bocche diverse. Pensai che fosse una specie di linguaggio per comunicare, come il nostro, ma con i suoni, per cui fin da subito mi impegnai ad apprenderlo. Ero sicuro che mi sarebbe servito, prima o poi.

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