Tenebre

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Non fatevi sedurre dalle languide tenebre, gelidi baci vi rapiranno il cuore consumandovi l'anima.


Come al solito l'autobus era in ritardo

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Come al solito l'autobus era in ritardo. La tipetta dell'altoparlante stava annunciando per la terza volta la mia dannata "autocorsa in partenza dalla corsia 3", di cui - ovviamente! - non c'era traccia. Pensavo che prima o poi sarei dovuto andare a lamentarmi. Ma a che scopo, mi chiesi. Finalmente arrivò, con soli cinque minuti di ritardo. Una massa di almeno venti persone, quasi sempre le solite di quell'orario, si avventarono a salire. Calcolai che, se si fossero seduti ciascuno su un sedile diverso, alcuni posti sarebbero rimasti liberi e avrei potuto scegliere tra quelli uno che fosse vicino al finestrino, così non mi affrettai troppo.Mentre salivo i gradini e aspettavo che un'anziana signora timbrasse il suo biglietto, stavo mentalmente sperando con tutto il cuore che il mio solito posto rimanesse vuoto. L'ingombrante vecchietta prese posto e il mio campo visivo rimase libero. Fui sorpreso nel notare che a metà del mezzo, l'ultimo sedile prima delle porte di uscita posteriori, era già occupato da una figura che non avevo notato fuori sul salvagente d'attesa. Forse era già sul pullman, ma allora perché non era scesa al capolinea? Che volesse tornare indietro? La fissai mentre procedevo avanti, notai che aveva tratti indefinibili, non potei dire se fosse un ragazzo o una ragazza, ma almeno capii che era giovane. Indossava una giacca di pelle nera unisex e sotto aveva una felpa grigia con un grosso cappuccio calato in testa che ne oscurava il viso. Nei miei soliti viaggi da pendolare avevo già visto ragazzi che si atteggiavano in un modo misterioso molto simile a quello della persona seduta al mio posto, ma non sembrava nessuno che avessi già visto. Sospirai e mi sedetti accanto al suo sedile, ma nella fila a lato. Tirai fuori le cuffiette dell'ipod e le infilai nelle orecchie, poi accesi la musica e puntai lo sguardo fuori dal finestrino finché l'autobus non partì e passò due o tre fermate. Essendo già inverno, verso le cinque e mezza del pomeriggio si fece buio e non potei più distinguere nulla del paesaggio che scorreva fuori; distrattamente voltai lo sguardo in direzione dell'interno dell'autobus e la notai: capii che era una lei dalle unghie smaltate di nero poggiate su una borsa sgualcita abbandonata in grembo e dal fatto che il profilo delle gambe, che prima non avevo potuto notare, era femminile. La fissai incuriosito qualche minuto, cercando di immaginarmi il suo viso, quando improvvisamente si voltò nella mia direzione e mi puntò addosso uno sguardo duro e freddo. Rabbrividii senza motivo. Qualcosa dentro di me mi gridava di tornare ad immergermi nel buio oltre i finestrini, ma un vortice più forte mi stava già risucchiando in un altro buio ancora più profondo. Fu lei a staccarsi per prima da quel contatto magnetico. Quando i miei occhi rimasero soli, si sentirono abbandonati e vuoti. Qualcuno prenotò la fermata, il mezzo si fermò e in nemmeno due secondi lei si era alzata ed era scesa per tornare alle sue tenebre. Più tardi quel giorno, verso le tre di notte, mi alzai a sedere nel mio letto e mi chiesi se avessi sognato quell'incontro o se fosse stato reale.

Dunque, credo fosse la prima volta che la vidi, perché quando provai a ricordarmi se l'avessi già scorta in giro, non mi venne in mente alcun momento. Ricordo bene, invece, di averla rivista in seguito. Che non l'avessi mai notata prima e ora, dopo quello scambio di sguardi, la vedessi ovunque anche quando non c'era? Probabile. La cosa strana è che ogni volta che mi sembrava di intravvedere la sua ombra nera, il cielo sembrava oscurarsi di nebbia e un venticello freddo prendere a soffiare tra le persone. Roba da matti! Fui costretto a mettere su qualche felpa nonostante non ci fossero che diciotto gradi, soprattutto di giorno. I miei amici mi diedero del matto, mia madre, invece, pensava fossi malato.

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