Hearse sea

61 8 6
                                    

Qualcosa brillava sotto gli impalpabili e radi raggi di luna, un oggetto piccolo, un puntino. Una scheggia di vetro, forse? Un frantumo di conchiglia portato a riva?
Era curioso, ma temeva quella scaglia di stella luccicante con quei minuscoli guizzi di fiamma rosati. Si avvicinò sempre di più a passi lenti, cauti, nudi sulla sabbia bagnata dal timore della certezza. Avanzava, quasi arrancava nelle grinfie dei granelli pestati; alcuni riuscivano ad aggrapparsi e rimanevano appiccicati lì, sul tallone screpolato o sull'alluce grosso di un quarantadue di scarpa. I più coraggiosi, o fortunati, arrivavano anche alle tozze caviglie, ma solo perché si incastravano tra i primi peli neri di una foresta che ricopriva la pelle abbronzata e che iniziava ben più in alto.
Non ne era pieno, ma rispetto a lei.. oh, lei.. rispetto alle sue gambe lisce di marmo levigato, le sue gambe parevano di un orco.
E mentre la sabbia lottava in basso, in alto gli spilli del gelo di mare avevano già avvinghiato le labbra carnose, che stavano tremando. Le avevano aggredite, torturate, fatte fremere, scuotere, terremotare senza una scala su cui misurarne il pericolo.
Finalmente, eccolo!
Una lacrima muta di mercurio argenteo scese alla vista del brillante: un anello sottile, tanto sottile da parer fragile, con tre paiuzze rosse di rubino incastonate in una filigrana lavorata con delicati sussurri; un anello d'oro bianco, lucido, ammiccante. Ed era lì, sulla spiaggia, disperso e violentato dalla ruvida sabbia insidiosa, sprofondato per metà in un abisso dorato sotto una luna testimone e complice di quell'assassinio cruento. Nemmeno il vento si era sollevato a protestare per quell'amore seppellito vivo. Nemmeno le onde osavano toccare la sponda per tentare d'impedire una morte prematura. Nemmeno le conchiglie, deserti vaganti senza più padrone, lo accoglievano per proteggere come un tempo le meraviglie più preziose.

Giaceva lì, e venne bagnato di un pianto funereo senza voce, come di una vedova stesa sulla coniuge lapide non ancora rassegnata al destino. Fu lavato da una pioggia salata, una pioggia di dolore troppo struggente per essere sentito, una pioggia di cui rimaneva solo l'eco attutito di un grido mai lanciato, una pioggia che lo lavò. Due dita della mano lo presero tra l'indice e il pollice della mano sinistra - nella destra stringeva ancora il coltello - e lo osservò: adesso era ancora più lucido; adesso pareva nuovo, se non fosse stato per i tre graffi interni scavati in quelle ossa metalliche ritorte e sanguinanti cremisi perle, gemme di vermiglio amore non più saldamente ancorate alla loro bara intrecciata di promesse. Scese un'altra sua lacrima, cadde su una delle tre pietruzze, la trascinò con sé in un capitombolo nel vuoto, morirono insieme nella sabbia tra i piedi sporchi. Un singhiozzo lo scosse tutto e altre due lacrime rapirono il secondo rubino, si gettarono nel buio e morirono a loro volta in un abbraccio eterno. Rossa, rossa rabbia gli salì agli occhi e sgorgò fuori in un fiume di maledizioni; le dita scattarono meccanicamente e strinsero a pugno quell'anello per soffocarne i ricordi nascosti in ogni incavo vuoto, i piedi si staccarono da quel cimitero ambrato e presero il volo in una corsa rapida, poi si tuffarono in mare, il respiro accelerato, il cuore batteva a mille, le lacrime straripavano, scendevano determinate, riempivano il mare. Si fermò.
I denti erano stretti in una morsa feroce, avevano la stessa voglia di strappare carne della lama lucida nel pugno destro. Ma finì per affondare nel petto scosso dal panico. Le orecchie si riempirono di un ronzio sordo, gli occhi si colmarono di lacrime cieche, ogni senso si intorpidì e le dita si sciolsero dalla loro grinfia lasciando cadere l'anello vedovo di due figlie cremisi. Vi fu un ultimo piccolo tonfo suicida nel bagno di un amore rinnegato e anche l'ultima pietra si mescolò ai rivoli scuri disciolti nell'acqua infinita.

NiflheimrDove le storie prendono vita. Scoprilo ora