Capitolo 4

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Finalmente siamo arrivati, mi alzo dalla sedia spinta da Chris ancora prima che si sia fermata del tutto, ansiosa di sedermi sulla nostra panchina... e poi, Dio quanto odio quella sedia! Accarezzo la copertina del libro indugiando ad aprirlo indecisa se riprendere quella noiosa e perversa lettura. Chris lo nota e intuendo dalla copertina la natura del racconto non può fare a meno di dire la sua.

- Hai davvero intenzione di leggerlo?

- Hai un opzione migliore per utilizzare quel poco tempo che mi resta?

- Non vorrei sembrarti tedioso ma non credo che tu possa presumere quanto tempo ti rimane ancora, sarà......

- ... Non vorrai parlarmi di Dio?!

- Hai qualcosa contro Dio?

- No... ammesso che esista! Ma se così fosse, non credi che sia stato ingiusto... e non rifilarmi la solita solfa che "le vie del signore sono infinite" o che ha un disegno ben preciso e misterioso!

- Vedo che sei scettica. No, non ti parlerò di Dio anche se credo fermamente che ogni essere vivente ha un ruolo ben preciso su questa terra. Tutto si complica nel voler comprendere quale esso sia... ma non era questo quello che intendevo dirti prima di essere interrotto quindi, Vivian, lascerò parlare te. Potremmo intraprendere una conversazione amichevole! Mi piace conversare con te, come l'ultima volta.

Sì, Vivian, questo è il mio nome. Mi suonava strano sentirlo pronunciare da un uomo che non fosse mio padre. Cosa potevo raccontargli di me che non sapeva se non il fatto che la malattia si è presa tutto, compreso il desiderio di sconfiggerla. Una storia che si può leggere sulla mia pelle, in parte raccontata dai tatuaggi, dai segni ugualmente indelebili che la malattia non manca lasciarmi sul corpo di cui ne porto memoria sin da piccola e che negli ultimi anni mi ha costretta a due trapianti polmonari. Però, queste sono solo le cicatrici superficiali che la fibrosi cistica mi ha lasciato. Quelle più profonde sono nell'anima fatta di resistenza al dolore fisico e dalla struggente passione per un uomo.

- Cosa vuoi sapere?

- Parlami di te, di come sei diventata la donna che sei oggi.

-Sono nata grazie alla musica: i miei si sono conosciuti in un teatro di Houston, in occasione dell'Opera di A Queit Place di Leonard Bernstein. Papà è un cantante lirico. Nel salotto di casa mamma, ha un pianoforte nero a mezza coda con un impianto stereo che amplifica arie celebri dove ero solita cantare.

- Quindi sai cantare arie liriche!

- Cantare è un eufemismo, non ero brava come mio padre, lo facevo perché tramite la musica riuscivo ad esprimere ciò che provavo. Adesso... sai... la tracheotomia mi ha modificato la voce. Mamma insisteva nel dire che sarebbe migliorata ma ormai non ne sento neanche più la mancanza.

- Come mai non ne senti la mancanza?

- Perché mi sento come un carillon inceppato... nulla a che fare con la malattia. Adesso l'unica musica che sento sono i suoni dei monitor con i loro bip-bip, quelle delle ambulanze, e poi non riesco più a sentire me stessa di conseguenza non ho nulla da esprimere.

Vedo l'espressione di Chris farsi seria perché non avrebbe mai voluto udire quelle parole, che non erano di rabbia ma di sconforto. Decido così di abbassare sul fianco un lembo dei pantaloni per mostragli uno dei tatuaggi che divido a metà con mia madre: una bambolina di pezza con un telefono senza fili, a dimostrazione che il sangue trova sempre una via per arrivare al cuore, spiego sorridendo, mentre la mia mente viene invasa dal felice ricordo di quando ce lo eravamo fatte. Uno dei momenti che conservo gelosamente nel mio cuore.

- Com'eri da bambina?

- Cercavo di essere normale come tutte le altre bambine della mia età, sorridendo sempre, facendo finta che la malattia non esistesse nonostante le apprensioni dei miei genitori.

Nessuno come luiWhere stories live. Discover now