Capitolo 18 - I tre Dei

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Il ticchettio dell'orologio da polso, posto su un comodino, venne percepito dalle orecchie di Camilla.

Le mani coprirono il capo con il lenzuolo viola, non sopportava quel suono fastidioso che le ricordava casa.

Camilla ― Papà! Non puoi mettere le tue cose nel cassetto? ― urlò e aprì gli occhi, spostando le lenzuola e fissando l'armadio alla sinistra dei due letti nella camera.

Non c'era nessuno a parte lei, solo i quadri, le foto di sua madre insieme al padre le facevano compagnia e davano un po' di gioia in quelle pareti di legno. Capì che era all'interno della baita di suo padre, quel luogo che per Camilla era stato un piccolo pezzo di paradiso della sua infanzia. Lentamente si voltò toccando con i piedi nudi il tappeto sotto al letto, guardò una sedia colma di panni sporchi da lavoro e le valigie accatastate accanto all'armadio.

Camilla ― "Papà ha sempre il brutto vizio di gettare i vestiti sporchi su quella sedia. Per questo ogni volta mamma si arrabbia con lui." ― si spostò dal letto e si avvicinò al stipite della porta dov'erano intagliati dei nomi e dei disegni ― "Oh, questi, da piccola cercavo di colorarli con delle cere, ma papà mi sgridava sempre." ― sorrise e socchiuse gli occhi ― "Håkon e Dag. Quei nomi... papà non mi ha mai spiegato perché erano lì. Divagava sempre."

La ragazza uscì dopo qualche minuto con ancora il pigiama addosso, alla sua destra il camino era acceso e scaldava quella giornata umida. Non aveva dimenticato com'era fatta quella struttura, quel tavolo adornato di ceste di frutta e dalle due panche, la cucina sempre ben pulita e il telefono posto su un comò dove il padre metteva le carte del lavoro. Poi quelle quattro finestre che illuminavano l'area con la luce del sole, quelle stesse che permettevano di vedere la neve scendere durante l'inverno e notare qualche scoiattolo girare sulla strada coperta dai sassi.

La porta d'entrata si aprì facendo entrare Gunnar con in mano un secchio pieno di legna, gli scarponi sporchi di fango lasciarono delle impronte sul pavimento in legno, mentre il giubbotto di lana lo scaldava.

Gunnar ― Piccola lupa, ti sei svegliata. Pensavo che ci volesse qualche giorno in più per riportarti nel mondo reale, ― rise appoggiando il secchio vicino al camino.

Camilla ― Perché? Quanto ho dormito?

Gunnar prese un po' di legna e la gettò nel fuoco, rimanendo per qualche secondo in silenzio mentre prendeva dal comò, dov'era posto il telefono, un libro. La ragazza riconosceva quel volume stropicciato, poiché era il libro che suo padre glielo leggeva da piccola. Le antiche leggende norrene.

Gunnar - Beh... due giorni. Sei svenuta e ti sei addormentata. Ti svegliavo per darti da mangiare, ma deliravi e sembrava che il tuo corpo non subbise deperimento, poi ti riadormentavi. Per portarti  alla baita  Jørgen mi ha dato la macchina che ho lasciato a casa sua e ti ho portata qui. ― posò il libro sul tavolo e si sedette su una delle due panche di legno.

Camilla - Il lupo? Non è più riapparso? - si avvicinò per leggere il libro.

L'uomo si accomodò di fronte alla figlia e sfogliò il libro, un silenzio tombale coprì per qualche secondo la casa. Camilla deglutì un po' di saliva e posò la mano sotto al mento, le piccole lentiggini, così identiche al padre, erano ben evidenti sulle guance.

Camilla - Quello è il libro sulle leggende, quello che mi leggevi da piccola.

Gunnar - Già. Sebbene non racchiuda un pezzo della Profezia, si possono trovare in questi fogli degli aneddoti, qualcosa che possa darci una mano ― le dita sfogliarono un'altra pagina, finché non trovò l'argomento che cercava.

Tra le pagine gialle di quel libro venivano raffigurate delle rune, ma Gunnar si soffermò su dei disegni che mostravano tre divinità ben precise: un Lupo, un Serpente e una Donna con un volto inquietante.

Il Dono di Camilla   [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora