Two.

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«Oh tesoro, entra pure.» Dice Amber, la mamma di Christian.
Speravo venisse lui ad aprirmi, con i suoi genitori abbiamo sempre stabilito un buon rapporto e in casa loro non mi sono mai sentita a disagio, ma una goccia d'imbarazzo c'è sempre.
La saluto con un bacio sulla guancia.
«Vuoi bere qualcosa di fresco? Un succo di frutta?» Mi conduce in cucina e mi siedo sulla sedia centrale.
«Un bicchier d'acqua, fuori c'è molta afa.» Dico sventolando la mano per farmi aria.
Mi porge l'acqua e si siede accanto a me.
«Sei felice, che è finita la scuola?»
«Si, molto. L'anno prossimo toccherà a me, con la maturità.»
«Si, e continuerai con la laurea, giusto?»
Faccio una risatina buffa, mi conosce da due anni e dovrebbe sapere che lo studio non fa per me.
Scuoto la testa.
«Come no? Fai lingue, una laurea può servirti, potresti avere più sbocchi.»
«Si, ma è già tanto se sono arrivata fino al quarto anno.»
A scuola me la cavo, ma studio giusto perché so che devo.
«Chris vorrebbe chiedere l'ammissione alla George Washington University.»
«Come? Non me ne ha mai parlato.»
Pensavo che volesse trovarsi un lavoro, dopo i cinque anni di studio, o così mi ha sempre detto.
«Lo so, ma ieri a tavola abbiamo cercato di fargli cambiare idea. Fa una bella scuola, e potrebbe trovare un bel lavoro, ma l'università potrebbe essere una via in più.»
Annuisco.
«Comunque, sta studiando da 4 ore interrottamente. Vai e distrailo un po', gli farà bene.»
Sorrido e mi  alzo dalla sedia.
«Ei.» Dico, entrando dalla porta, sperando di non disturbarlo.
Sta studiando economia da una settimana, e sono sicura che domani andrà benissimo, a quell'esame.
«Ciao.» Chiude la tesina e si alza per venirmi incontro.
«Come stai?»
«Bene» mi dà un bacio sulla guancia «e tu?»
Lo sento distaccato, gli do un bacio a stampo e rispondo: «Bene.»
Sorride a quel gesto e si siede sul letto.
«Sono stanco, non ne posso più.»
«Ei, domani è l'ultimo esame, pensa a me che devo affrontare un altro anno.»
Sbuffa. «Non vedo l'ora di finirlo, sono sfinito e ho l'ansia.»
«Andrà bene.» Lo rassicuro.
Come fa a pensare di andare all'università se è sfinito con poche pagine di studio?
Poche si fa per dire, ma di certo il liceo e l'università sono due cose completamente diverse.
«Lo spero.» Risponde.
Decido di cambiare discorso. «Allora? Per Madrid?»
«Yas, io non.. non voglio pesare sui miei, mi dovrebbero dare loro i soldi e a me non sta bene.» Dice, scuotendo la testa.
Stringo le labbra alzando gli occhi al cielo.
Lo capisco, perché è il mio stesso problema, ma ci tengo troppo, e non so più che fare.
«Potremmo trovarci un lavoro, insieme. Potremmo trovare un volo per fine luglio e metterci da parte i guadagni di questo mese per il viaggio, io ci tengo tanto, vorrei davvero andarci.»
«Lo so, ma non è così semplice. Che lavoro pensi che troveremo?»
«Al Discrict Doughnut cercano sempre personale, potremmo farci assumere li, dove lavora Amelia.» Dico, sperando in una risposta affermativa. «Mia mamma non vuole mandarmi, gliene ho già parlato del fatto che potresti accompagnarmi tu ma non vuole.»
«E allora perché me lo stai chiedendo?»
«Perché vorrei prima convincere te, e poi provare a convincere lei.» Dico, sbattendo il piede sul parquet.
Si morde il labbro, gesto che fa quando è nervoso. «Adesso aspetto di finire la maturità, dopo che avrò visto i risultati potró pensarci. Intanto tu, cerca di vedere se il District potrebbe prenderci.»
Mi si illuminano gli occhi. «Si, amore.» Mi avvicino per dargli un bacio. «Grazie.»
«Non ti prometto niente.»
Gli sorrido, perché so che per lui non dev'essere semplice.
In famiglia non ha mai avuto una buona situazione economica, hanno sempre avuto problemi con i soldi, il lavoro non manca a nessuno dei suoi genitori ma hanno comunque difficoltà, e se davvero si trovasse un lavoro per poter accompagnarmi in Spagna, significherebbe che ci tiene tanto a me, anche se lo so già, che ci tiene.
«Allora? Che hai fatto oggi?» Mi chiede, si sdraia sul letto mettendosi le braccia dietro alla testa e io mi sdraio appoggiando la testa sul suo petto.
«Ho discusso con i miei per quella storia la e poi sono andata al bar, da Amelia.» Rispondo. «E tu?»
«Ho aiutato mio padre con il tavolo e poi mi sono chiuso in camera a studiare.»
Alzo la testa per poterlo guardare. «Sei felice? Domani darai l'ultimo esame e poi sarai libero.»
«Si, sarà estate anche per me.» Sorride, guardandomi.
«Tua mamma mi ha parlato di una presunta laurea.» Dico, sperando mi dicesse la verità.
La George Washington university si trova dall'altra parte dello stato di Washington, e se lui ci andasse veramente ci vedremmo molto di meno.
«Non riesce a tenere la bocca chiusa, eh?»
Mi giro a pancia in giù appoggiandomi sui gomiti. «Chris, tu devi parlarmi di tutto.»
«Non sono ancora sicuro che ci andrò, ho considerato l'idea e quando sarei stato pronto a decidere te ne avrei parlato.»
Annuisco. «Perché vorresti andare all'università? Mi hai sempre detto che vuoi finirla, con gli studi.»
«Vorrei provarci, vorrei diventare qualcuno, Yas. Voglio fare della mia vita, una bella persona.»
«Tu sei una bella persona.»
«Intendo che voglio aiutare i miei, la laurea mi aiuterebbe a trovare un buon lavoro, e in questo momento è quello di cui ha bisogno la mia famiglia.» Dice, torturandosi le unghie.
«Dovresti aspettare cinque anni, prima di laurearti. Sei già sfinito con il liceo, sei sicuro di riuscire ad affrontare altri cinque anni più pesanti dei precedenti?»
«Voglio provarci.» Dice, annuisco debolmente, l'idea di vederlo poche volte alla settimana mi fa andare di matto.
Mi appoggia due dita sotto al mento per far sì che io lo guardi in faccia.
«Non ho ancora preso una decisione, e in caso dovessi scegliere di sì, ci vedremo lo stesso. Stai tranquilla, tesoro.» Mi rassicura, gli do un bacio sulla guancia e mi alzo.
Sono le 19.30 e i miei genitori mi aspettano per cena.
«Te ne vai?» Chiede, alzandosi a sedere.
«Si, i miei mi staranno aspettando.»
Si guarda intorno. «Ho detto qualcosa di sbagliato?»
«No, si è solo fatto tardi.» Gli rivolgo un sorriso per poi uscire dalla stanza, senza nemmeno dargli un altro bacio.
La storia dell'Università mi sa facendo ammattire, per quanto volessi non ammetterlo, noi due non siamo mai stati lontani, e la George university sarà un ostacolo, per noi.
«Tesoro, te ne vai già? Vuoi rimanere a cena?» Chiede Amber.
«No, tranquilla. I miei genitori mi stanno aspettando per cena.» Dico, le do un bacio sulla guancia ed esco di casa.

«Puoi mangiare e tacere?» Dice mia madre, con tono freddo, distaccato e furioso.
«Perché fai di tutto per non capirmi?»
«Voglio capirti, ma dimmi tu come faccio a capirti se dai torto a tutto ciò che dico, devi ascoltarmi, Yasmine.»
Mio padre mi guarda, e quando nota che lo sto fissando inizia a dire: «Non puoi pretendere di fare ciò che vuoi, se noi ti diciamo di no, è no.»
Delle lacrime si impossessano dei miei occhi, alzo gli occhi al cielo per scacciarle.
«Il viaggio per Madrid è lontano ed è costoso. Ti può accompagnare Chris, ma dimmi con cosa pagherai il viaggio. Io sono disposta a darti i soldi necessari per Seattle, ma non per Madrid. Non puoi approfittarti di noi in questo modo.» Sbotta, e io sono sul punto di scoppiare.
È questo ciò che pensano i miei genitori di me? Che io me ne approfitto di loro?
«Non voglio approfittarmi di voi, ma cercate di capire anche me, non è facile avere il fratello dall'altra parte del mondo.» Dico, asciugandomi le guance bagnate.
«Lo dici a noi? Ti ricordo che tuo fratello è anche nostro figlio, e come stai male tu ci stiamo male noi, ma ci stiamo facendo l'abitudine. Non possiamo pretendere di andare a Madrid ogni volta che vogliamo, bisogna organizzarsi, e questo viaggio non è per niente organizzato.» Dice, bevendo un sorso d'acqua per calmarsi.
«Lo dici tu, che non è organizzato.»
«Hai già organizzato il viaggio, per caso?»
«No» sbotto «ma al bar dove lavora Amelia cercano personale, e io potrei fare domanda per essere assunta li, potrei iniziare già ora a cercare dei voli con prezzi non troppo alti.»
Batte le mani contro il tavolo, in segno di esasperazione. «Non bisogna sbrigarsi un mese prima, per trovare un volo con prezzi decenti. È troppo tardi, e io la chiudo qui. O Seattle o qua.»
Scuoto la testa, questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Ho la vera dimostrazione che i miei genitori non sanno capirmi.
«Bene.» Mi alzo dal tavolo, per la seconda volta in un giorno senza aver toccato cibo e mi dirigo verso camera mia, quando la voce di mio padre mi ferma.
«Smettila di fuggire, smettila Yasmine.»
«Non ho voglia di stare a tavola con voi, voglio andare in camera mia. C'è qualche problema? Avete da ridire pure su questo?»
«Noi siamo una famiglia, e cerchiamo di capirti nel miglior modo, ma devi capire che quando non si può fare una cosa, non si può. È inutile insistere.»
Incrocio le braccia al petto. «No, non capite. Perché se voi mi capiste, capireste che l'unica ragione per cui io insisto così tanto è perché ci tengo tantissimo, perché mi manca tantissimo, ok?»
«Okay.» Dice, mi giro e vado in camera mia, tuffandomi sul letto.
Guardo il cellulare e trovo un messaggio da Theo:
-Piccolina, non ti chiamo perché prendo poco, ma ti prometto che domani ti chiamerò e staremo un po al telefono. Manchi tanto anche a me.- Con un cuore alla fine.
Mi stringo il telefono al petto, poi rispondo:
-Va bene, ti aspetto. Ti voglio tanto bene, fratellino.-
Al diavolo, la distanza.

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