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Click clock... click clock... click clock

Stava fissando l'orologio nero alla parete in modo ossessivo. Forse aspettava che il tempo si fermasse così che potesse prendere una pausa dalla sua vita che gli toglieva il respiro, oppure sperava che le lancette si muovessero più velocemente così che qualcuno si affrettasse a dargli delle notizie perché ne aveva proprio bisogno.

La mente lo riportò a quando era solo un bambino e faceva quel gioco strano con i suoi amici. Consisteva nel cacciare fuori dalla stanza una persona e i restanti dovevano organizzare qualcosa che poi l'ignaro di tutto doveva scoprire. E Michael si sentiva così, come se lo avessero chiuso fuori dalla stanza e non volessero nemmeno far entrare. Doveva indovinare da dietro la porta, perchè nessuno l'avrebbe aperta per lui.

Aveva provato a chiamare Luke diverse volte, ma non aveva mai risposto. Non sapeva cosa pensare, magari stava dormendo tranquillamente nel suo letto, magari stava guardando un nuovo episodio di qualche serie random, che era una cosa molto da Luke. L'unica cosa che sapeva bene era che in quel preciso momento aveva bisogno del suo biondino. Avrebbe appoggiato la testa sulla sua spalla e, sentendo il battito calmo del cuore, sarebbe riuscito a chiudere gli occhi. Forse non sarebbe riuscito a dormire, però sapeva che sarebbe riuscito a rilassarsi, perchè non sarebbe stato solo.

Erano solo fantasie. Era seduto su una scomoda sedia, in un ospedale che odorava di penicillina e dolore, in una sala d'attesa vuota. Girò la testa alla sua destra, come se davvero si aspettasse di trovare qualcuno che gli ricambiava lo sguardo.

Era solo, come lo era sempre stato dopotutto. Però quella sera, mentre attendeva ormai non più paziente che i dottori gli dicessero se il suo amico era ancora vivo, aveva davvero il desiderio che ci fosse qualcuno che, prendendogli la mano, gli dicesse che sarebbe andato tutto bene.

Dopo quella che parve un'eternità, le porte si aprirono e un uomo con un camice bianco, i capelli neri arruffati e lo sguardo stanco si avvicinò verso di lui. Michael si alzò di scatto, rischiando di inciampare per andare incontro a quello che sembrava un Salvatore.

"Ci sono novità? Come sta? è ancora...?" non riuscì a terminare la frase. La parola gli si bloccò in gola, non aveva la forza di pronunciarla ad alta voce.

"Si, tranquillo, è vivo, ma..."

Michael, che stava per abbracciare l'uomo, si fermò di colpo. Cosa significava quel 'ma'? Era qualcosa di grave? Qualcosa che non si poteva curare con un 'passerà', 'starà bene'? Cosa stava succedendo?

Nemmeno questa volta si espresse a parole, bastavano i suoi occhi preoccupati per trasmetter tutte queste domande. Il dottore, cogliendo quanto fosse scosso, si affrettò a precisare:

"Il colpo è stato molto forte. Non so come sia accaduto, l'autista è andato via dopo che l'ambulanza è arrivata, forse aveva paura che fosse morto..."

"Mi dica solo che cazzo c'è che non va in Calum!" scoppiò Michael. Aveva così tanto da chiedere, gli sembrava che il medico stava solo prendendo tempo per preparalo ad una notizia devastante. Era più che sicuro che non avrebbe retto ancora a lungo. Aveva bisogno di qualcuno che lo sostenesse, ma non c'era nessuno.

"Calmati ragazzo, so che è difficile ma non serve a nulla agitarsi. Il suo amico ha perso molto sangue ed ha subito un trauma cranico: commozione cerebrale. Ora stiamo aspettando che si risvegli e questo può richiedere dalle sei alle dodici ore. Il problema principale, per il quale ho lasciato il paziente con gli infermieri per venire ad informarla, è che il trauma può aver causato una perdita di memoria".

Michael ricadde sulla sedia, come se lo spirito che lo aveva fatto saltare sull'attenti alla visione del dottore fosse sparito, dissolto, andato via. Vedendo l'effetto che le sue parole ebbero sul ragazzo, il medico continuò:

"Non sappiamo ancora quanto questo sia grave. Potrebbe essere anche una perdita a breve termine, il che comporta solo un vuoto riguardante l'incidente. Lo sapremo solo quando si sveglierà" posò la mano sulla spalla di Michael, che aveva i gomiti sulle ginocchia, le mani giunte e lo sguardo perso. Cercò di sorridere per confortarlo, ma si accorse che Michael non lo stava più guardando, così se ne andò, chiudendo la porta dietro di sè.

Michael si sentiva perso. Non sapeva dove abitava Calum, non sapeva come contattare la sua famiglia e Luke non rispondeva al telefono.

Si alzò deciso ad uscire da quella sala che lo opprimeva con le sue pareti bianchissime, prive di imperfezioni, come se gli sbattessero in faccia il fatto che la sua vita faceva schifo ogni secondo di più. Si avvicinò ad un'infermiera e chiese di vedere il suo amico. Tecnicamente non si poteva, ma la donna vide qualcosa negli occhi di Michael. Pensò che se lei gli avesse negato l'accesso Michael si sarebbe potuto sgretolare sotto il suo sguardo. Gli indicò una camera in un corridoio poco distante e se ne andò.

Michael camminava lentamente, non voleva avvicinarsi troppo in fretta alla verità. Non stava bene in quella stanza chiamata 'non-sapere', ma di sicuro era meglio della verità.

Prima di entrare prese un profondo respiro. Si sentiva come se fosse in una fiaba e attraversare quella porta significava ritornare alla vita reale.

Abbassò la maniglia ed entrò.

Black notebook||MukeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora