DODICESIMO CAPITOLO -PRIMA PARTE

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"Ciao tesoro mio"

Avrei bisogno di rompere qualcosa, dare qualche pugno o semplicemente urlare, urlare e urlare. Ma sembrerei pazza.
Ho mia madre davanti ai miei occhi dopo nove anni. Nove lunghissimi anni che ho trascorso ad immaginare questo momento, a come sarebbe stato il suo viso, i suoi occhi e ogni volta dovevo immaginarmela con qualche ruga in più sapendo che non l'avrei rivista molto presto.
Ma è esattamente la stessa di nove anni fa, solo più magra, molto, molto più magra... con i capelli cortissimi e gli occhi spenti. Ma ha ancora quella piccola fossetta sulla guancia sinistra quando sorride, ha ancora gli occhi tirati ed ha ancora, come me, quel neo sulle labbra che regala al suo bellissimo sorriso quel qualcosa in più. Anche se quel sorriso è spento. Tutto, in lei, sembra essersi spento.
Una parte di me è sollevata, felice. Temevo che non l'avrei più rivista. Temevo che avrei perso il resto della mia vita a rimpiangere di non averle più scritto e non averle risposto quando ha ricominciato lei qualche mese fa.
Ma c'è anche un'altra parte, in me, che non può dimenticare cos'è successo. Non posso, non posso, non posso, non posso dimenticare ma non voglio ricordare. Non più. Basta, basta, basta.
Non può dimenticare tutte le volte che ci ha lasciati soli, sempre sempre sempre, tutte le volte a cui ho dovuto provvedere io a mio padre, e lui a me. Tutte le volte che ho dovuto imparare le cose da "donna" con la vicina di casa, Bethy. Tutte le volte che è mancata ai miei saggi di musica, tutte le volte che mi ha urlato contro o chiesto di mentire. Quando ha detto che non ero nessuno e non ero una buona figlia, quando ha detto che era tutta colpa mia perché ero una bambina e avevo spifferato tutto al mio papà che l'amava da matti mentre lei si faceva il capo.
Non posso dimenticare i mostri che mi hanno tormentato per anni, e continuano a farlo, a causa sua, il fatto che ho rinunciato alla musica, che ho visto mio padre ridursi a pezzi e ricostruirsi da solo.
Ma non posso dimenticare neanche quanto mi sia mancata.

L'unica cosa che riesco a fare è spostarmi per farla entrare mentre accenno ad un debole "Ciao" che non riesco neanche ad udire io stessa. E in questo momento mi ricordo della donna accanto. E' giovane, probabilmente non supererà i trent'anni. La tiene per un braccio e la dirige al letto di Jane, quello più vicino, per farla sedere.
Senza una parola mi siedo di fronte a lei, sul mio di letto.

"Ma guardati" prende una pausa "...come sei crescita. E che occhi, che ragazza bellissima" non rispondo, non ci riesco. Non riesco neanche a sostenere il suo sguardo, non riesco a sostenere la situazione.
E' tutta colpa mia, è tutta colpa mia, è tutta colpa mia.
Continuo a tormentare l'orlo dei pantaloncini pur di non guardarla, ma so che devo pur sempre dire qualcosa.

"Cosa ci fa qui?" la mia voce risulta debole, bassa, non sembra più la mia voce. Nonostante siano passati tutti questi anni, riesce ancora ad avere un controllo enorme sulle mie emozioni. Non riesco ancora a guardarla negli occhi, quindi mi limito ad osservare un punto qualsiasi dietro le sue spalle, anche se so perfettamente che lei sta guardando me.

"Beh, vi lascio sole" la donna che ha probabilmente accompagnato mia madre fin qui si alza in fretta e poi raggiunge in silenzio la porta per poi uscire. Io, nel frattempo, continuo a fissare il vuoto.

"Mi dispiace così tanto, Meredith." Cerco di rispondere, non so bene cosa, ma lei alza la mano come per fermarmi "aspetta, fammi finire" aggiunge frettolosamente. Tossisce. "Ho commesso molti errori e ti ho deluso ed ho deluso tuo padre, ma per prima ho deluso me stessa." Prende una pausa "Ti ho fatto del male, come ne ho fatto a lui e Dio solo sa quante volte mi sono maledetta da sola ma credimi, Meredith, non è passato un solo giorno senza che io mi chiedessi come stessi, come stesse il tuo cuore, e quello di tuo padre..." la sento tossire ancora e in questo momento trovo il coraggio di alzare il mio sguardo al suo. Sì, i suoi occhi sono decisamente spenti. "Ho sbagliato sempre, con te. Ti ho fatto continuamente del male, anche quando non lo volevo. Ti ho incolpata spesso dei miei errori, che erano solo miei... e basta" mi guarda ancora "Ma mi manchi, mi manchi e non posso più vivere sapendo di non averti nella mia vita quindi per piacere, Meredith, sono qui per chiederti una possibilità. Una sola"

Lo vedo: è mia madre, ha ancora tutto quello che ricordavo di lei, ma non è più lei.
Non so se gettarmi ai suoi piedi e abbracciarla o cacciarla immediatamente dalla mia camera, da quella che ora è la mia vita. Mi sento confusa, disorientata, come se il mio corpo fosse seduto qui, su questo letto disfatto, ma la mia anima e il mio cuore fluttuassero per tutta la stanza. Ho lo stomaco in subbuglio e i pensieri non stanno meglio. Ammetto che l'idea di poterla perdere per davvero, l'idea che potesse morire, mi ha tormentato negli ultimi mesi, ma mi hanno anche tormentato quei mostri e lei per i primi mesi, i primi anni, ha lasciato che credessi che avessero ragione. Quando poi ha deciso che fosse ora di scusarsi, ormai quei mostri si erano già insinuati in ogni parte di me, della mia vita, della mia mente. Non mi lasciano più in pace, li sento nelle orecchie, in testa, dappertutto. A volte ho provato ad urlare anch'io, credendo di poterli sovrastare ma niente... Ho capito che potrò fare di tutto eppure quelle voci saranno sempre con me.
Io voglio la felicità e loro mi urlano di smetterla, perché non l'avrò. Perché sono destinata ad essere quella che sono. E questa che sono alle mie voci non va bene. Loro vogliono sempre di più quando a me basta esserci ancora il giorno dopo.
Mi hanno spinto così oltre che avevo detto basta. Avevo detto "vinco io". E invece no, vincono sempre loro. Anche adesso.

Mia madre fa forza nelle braccia e con un po' di fatica si alza, la osservo dirigersi alla finestra e poi sedersi accanto a me. Mi ritrarrei, mi sposterei, se ne avessi la forza, ma ho combattuto per così tanto tempo...
"Non voglio tanto, voglio solo riavere il tuo tempo, voglio solo riavere mia figlia" cerca di avvicinarsi maggiormente ma non posso nascondere il disagio, è troppo. Anche se volessi darle davvero una possibilità.

 "Sei tu che non l'hai più voluto." Prova ad interrompermi, ma ho finalmente iniziato a dire qualche parola e non ho intenzione di smettere proprio ora e quindi le faccio segno di fermarsi e lasciar continuare me. Mi volto e punto i miei occhi nei suoi, adesso tocca a me parlare.
"Non l'ho voluto io, mamma. L'hai voluto tu quando sei andata via di casa per qualcuno che non eravamo né io e né papà, per qualcuno che ti ha messo contro noi. Hai preferito altro al mio tempo, a tua figlia." Prendo un respiro forte. I suoi occhi urlano pietà per queste parole così dure. "Perché ora dovrei perdonarti? Perché ora dovrei dimenticare? Solo perché hai scoperto che università frequento?" la mia voce risulta più dura rispetto a quanto vorrei, so che non dovrei essere così antipatica, ma proprio non riesco a trattenermi. La vedo irrigidirsi, ma non accenna ad alzarsi o andare via. Beh, se non altro è migliorata.

"No, bambina, non devi dimenticare." Si avvicina e non arretro, non così tanto. "Ti chiedo solo di darmi una possibilità. Sono cambiata e se servirà ti chiederò scusa fino al mio ultimo giorno di vita ma ti prego" fa un respiro pesante "ti prego... non mandarmi via" alle ultime parole le trema la voce mentre a me tremano le gambe e il cuore. Sento gli occhi bruciarmi dalle lacrime trattenute ma poi mi lascio sfuggire un singhiozzo, ho trattenuto per troppo queste emozioni.

"Ho provato ad odiarti, ma non ci riesco" non riesc più a controllare le lacrime che ormai escono a dirotto. "Mi hai fatto credere per anni che io sono stata la causa di tutti i tuoi mali" urlo tra un singhiozzo e l'altro. Lei, da mamma qual è, con fare amorevole, asciuga le lacrime che scendono interrottamente lungo il mio viso, lacrime causate in parte da lei. Una debole lacrima percorre anche il suo viso, lentamente, ma lei non si lascia intimorire. Sorride e per la prima volta, da quando l'ho rivista, sembra sorridere per davvero.
  
"No, tesoro mio, non pensarlo. Mai. Tu non hai fatto assolutamente nulla di male. Hai solo ammesso a tuo padre quello che io non ero in grado di ammettere. Hai avuto il coraggio che avrei dovuto avere io." Non riesco a smettere di piangere. Ho creduto per anni ed anni di aver rovinato la vita a lei e a mio padre, a me stessa, ed ora sentirmi dire finalmente che non è colpa mia, è un gran sollievo. Tuttavia, non allieva il dolore che ho provato per anni. Non allieva il dolore che mi ha spinto ad essere quella che ero e quella che sono oggi, quello che mi ha spinto ad aver paura a provare emozioni. E lei ha tutto il diritto di saperlo.

Mi asciugo frettolosamente le lacrime "Ti ringrazio per la visita, ti ringrazio per essere qui, ma ho bisogno di un po' di tempo" nonostante le mie parole la vedo rilassarsi, forse si aspettava che la cacciassi a calci dopo due minuti o che addirittura non la lasciassi neanche parlare. Invece no, ho seguito il consiglio di mio padre e i dottori: non ho lasciato vincere l'autodistruzione.

 Mia madre sorride e si porta le mani al petto "Grazie. Grazie davvero. Per me significa già tantissimo." Prende un foglio e una penna dalla borsa, poi scrive quello che suppongo debba essere il suo numero "Ecco" me lo mette tra le mani e stringe debolmente i miei pugni anche se lei sembra fare molta forza "Chiamami quando avrai deciso, quando hai tempo o semplicemente voglia di parlare. Abito a Sudden Valley, tuo padre sa già tutto, ho chiesto a lui quale fosse la tua università." stringe un poì di più le mie mani "Sembra... davvero felice." mi sforzo di distogliere lo sguardo dalle nostre mani e guardare lei.

"Lo è." Poi si alza e la seguo alla porta.

Perché papà non me lo ha detto? So perfettamente che lui ha perdonato la mamma parecchio tempo fa... ma avrebbe potuto dirmelo. Non è di certo una cosa da niente.

Prima di aprire la porta si volta ancora una volta verso di me. "Grazie" sussurra sorridendo, ricambio debolmente il sorriso per poi guardarla andar via. L'avrei abbracciata, in altre circostanze, ma questo avrebbe potuto farle credere che l'abbia già perdonata e la realtà è che non so neanche se riuscirò mai a perdonare me stessa.


****

Avrei cercato Liam per tutto il campus per potergli dire di tutta la questione di mia madre, ma non ne avevo le forze. Quindi mi sono limitata a chiamare due volte e a mandare tre messaggi, ma niente. So che la partita di Football è finita almeno da un'ora e non voglio che il panico si impadronisca di me, sarà semplicemente in giro con gli altri e non avrà sentito il cellulare. E' questo che mi sto ripetendo da sessantaquattro minuti e dodici secondi. È così. Sarà solo impegnato.

Sento vibrare il cellulare e mi affretto a prenderlo ma resto delusa nel vedere che non è Liam, ma Mark. Devio la chiamata alla segreteria, non sono in vena di discussioni per oggi. Non sono in vena di altri drammi, ne bastano e avanzano quelli con mia madre.

Ansiosa ma anche stranamente eccitata, ascolto il messaggio in segreteria lasciato da Mark:

"Ciao, ehm... sono io. Scusami, Meredith. Ieri ho fatto un gran macello. Ti ho aspettato alla caffetteria perché pensavo venissi, ma dopo un'ora ho capito che non saresti venuta. Sto prolungando questo messaggio perché, ecco... Ho sbagliato. Devo parlarti, scusami ancora. Ci sentiamo o vediamo... se ti va. Ciao."

Risponderei, se ne avessi le forze, ma non ne ho. Non ho idea di cosa dire a lui né a nessun altro. Apprezzo che abbia avuto quantomeno la volontà di scusarsi, ma non potrò mai perdonarlo se ha messo a repentaglio la mia relazione con Liam. Non potrei accettarlo. Non so cosa dirgli e dopo il casino creato da lui, aspettare che gli rispondi penso che gli stia bene.

***

Dopo aver trascorso le successive quattro ore a leggere, piagnucolare, a fissare il vuoto e poi tornare a rifare tutto daccapo, ho realizzato che forse non è che Liam non ha sentito il cellulare, è che non aveva voglia di rispondermi.

Me ne sto stesa sul letto con le luci spente, a fissare il display del cellulare: sono ridicola. Una di quelle scenette penose delle serie tv che le ragazzine finiscono per guardare dopo essere state piantate in asso dal fidanzato per una stronzetta al ballo di fine anno. Solo che io il ragazzo ce l'ho ancora, ma non so che fine abbia fatto. Potrebbe essergli successo qualcosa ed io non lo so? No, improbabile. I ragazzi mi avrebbero chiamato.Potrebbe aver creato una rissa con Mark e averlo ucciso e essere finito in prigione? E chi la paga la cauzione? E se fosse innocente?
Improvvisamente il bussare lento alla porta mi risveglia dai terribili pensieri– al quanto stupidi – mi alzo del tutto indifferente alla consapevolezza di sembrare uno zombie degno di The Walking Dead, con tanto di capelli scompigliati, occhi rossissimi per il pianto, bianca cadaverica, e con addosso ancora il pigiama nonostante siano quasi le sei di sera.

Resto di sasso nell'aprire la porta e vedere in piedi di fronte a me Liam. Ha lo sguardo cupo e anche il fiatone, direi che abbia corso per arrivare qui ma non ne sono sicura.
"Scusami, ho avuto da fare con mio padre. Va tutto bene? Sei così pallida"prende il mio viso tra le mani e d'istinto i miei occhi si chiudono, finalmente felici di poter riposare per qualche secondo.
E' questo di cui ho bisogno, è Liam. Liam nelle ossa, Liam nella mia vita, Liam in tutto.



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Ciao a tutti, per chi non lo avesse ancora visto, ecco il Book Trailer di "Tell me what I want", spero vi piaccia :)

TELL ME WHAT I WANT.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora