"Puoi venire con me se vuoi"

1.2K 93 28
                                    

Will sentiva il sapore ferroso e dolciastro del sangue scorrergli in bocca.
Chiuse gli occhi con forza, sperando che ciò bastasse per placare il bruciore delle innumerevoli ferite che gli solcavano il corpo. Non funzionò.
Il semidio prese una boccata d'aria. Puzzava di mostro.
Aprì le palpebre.
Era esausto ma incoccò lo stesso una freccia e colpì in pieno l'unico occhio di un ciclope, trasformandolo in polvere dorata. Era l'ultimo.
Sospirò, asciugandosi la fronte grondante di sudore e buttandosi a terra, sfinito.
Non era un guerriero, questo lo sapeva bene, lui li guariva, ma non sarebbe mai stato uno di loro. Tuttavia aveva ereditato i poteri di suo padre, Apollo, che gli donavano una discreta bravura e precisione nel tiro con l'arco e, in quel momento, aveva proprio bisogno del suo talento da arciere: era da quando si erano svegliati che una sfilza quasi infinita di creature assetate di sangue li attaccava senza sosta, attirati dal loro forte odore.

Il biondo controllò la faretra: conteneva solo poche frecce, non abbastanza per continuare a combattere con tutti quei mostri. Lanciò l'arco di lato, in uno scatto d'ira, accovacciandosi su sé stesso ed affondando le mani trai suoi ricci color grano.

«Hey, Solace!» sussurrò il figlio di Ade, sedendosi al suo fianco «Non ti stai divertendo? Non so te ma io adoro essere inseguito da creature che vogliono mangiarmi, mi fa sentire cosí... amato».
Will girò la testa, incrociando lo sguardo divertito di Nico. Ciò fu piú che necessario per alzargli il morale. Sorrise. «Ti piacerebbe, Mister Morte» lo canzonò, alzandosi. Pulì con una manata i pantaloncini sporchi di terra e gli offrì una mano. Il moro la strinse.
«Siamo quasi arrivati».

Qualche oretta dopo i due semidei camminavano sul ciglio di una strada di campagna. Ogni volta che un auto li affiancava, il figlio di Apollo tendeva il braccio, alzando il pollice, nella speranza che qualcuno di fermasse. Ogni volta le macchine li oltrepassavano, senza prendersi il disturbo di rallentare, cosa che Will capiva perfettamente: erano due ragazzini sporchi e dall'aria poco raccomandabile (soprattutto Nico), quale persona sana di mente li avrebbe fatti salire?

L'unico a fermarsi fu infatti un uomo di mezza età. Indossava una t-shirt sporca di cibo e troppo stretta per coprire tutta la sua ciccia. Portava un cappello da basket per nascondere il cranio quasi del tutto calvo. Una patina grigia gli copriva gli occhi, donandogli un'espressione apatica ed alquanto stupida. L'uomo (un certo Jim) accostò il furgoncino malandato che guidava, non appena vide i due ragazzi. «Vi serve un passaggio?» domandò, aprendosi in un sorriso ebete che lasciava intravedere i suoi denti ingialliti, di cui tre erano già caduti.
Il figlio di Ade guardò con aria interrogativa il biondo, somministrandogli una muta domanda. "Ci possiamo fidare di lui?".
Il semidio studiò attentamente l'automobilista, poi annuì: non avevano molte opportunità, un viaggio in macchina da Long Island fino a Miami era mille volte piú semplice e veloce di uno fatto a piedi e poi il suo sesto senso gli diceva di accettare il suo aiuto.
"Male che vada, moriremo tutti" si disse, salendo sul camioncino.

Il viaggio continuò sereno per alcune ore. Jim si era rivelato un normalissimo mortale, un po' piú puzzolente e stupido della norma, ma pur sempre un mortale. Aveva appena iniziato un'avvincente conversazione sui vari utilizzi del concime, quando una singolare melodia risuonò all'interno della vettura. Nico, che era seduto alla destra dell'autista, assestò un colpo ben piazzato alla radio. La musica continuò, imperterrita.

Lo sguardo di Jim si fece ancora piú grigio e distante, come se stesse sognando, senza chiudere gli occhi.
"Un sogno... tutto ciò non può essere altro che un sogno" pensò Will, chiudendo le palpebre e lasciandosi trasportare da quel canto. Sentì a malapena il furgone frenare e le due portiere aprirsi, tanto era preso dalla melodia. Senza saperne il perché e non accorgendosene neanche del tutto, il figlio di Apollo abbandonò la macchina, avanzando verso quel suono armonioso.

Non avrebbe neanche letto il cartello che riportava a grandi lettere "LAGO OKEECHOBEE" se non ci avesse sbattuto contro. Per un momento Will riprese lucidità. La sua mente iniziò a lavorare il piú velocemente possibile, consapevole che presto si sarebbe nuovamente spenta. Un lago. Un canto. Persone ipnotizzate. Il figlio di Apollo scosse la testa. Era impossibile, semplicemente impossibile. Ma se... Niente da fare, era troppo tardi. Ricadde nell'oblio.

Il biondo sentì l'acqua gelida bagnargli i vestiti, facendolo rabbrividire. Aveva la pelle d'oca.
"Sei nel lago! Svegliati! Sono davvero loro!" gli gridava una parte del suo cervello, nel disperato tentativo di sfuggire a quel destino di morte, l'altra invece cercava di zittirla, voleva solo farsi cullare da quella voce, dimenticare tutti i suoi affanni e farsi assimilare da quel canto.

Una mano gli sfiorò la guancia.

Will parve rinvenire. Spalancò gli occhi, annaspando. Era immerso fino alla vita nel lago. L'acqua verdognola e paludosa pareva accarezzarlo, tentando di rassicurarlo, di riportarlo nell'oblio.
Il figlio di Apollo evitò di pensarci: doveva rimanere lucido. Eppure gli fu impossibile ignorare colui che lo affiancava. Nico di Angelo era lì.

«Will» lo chiamò il figlio di Ade «é tutto okay, volevo fare solo un bagno». Il ragazzo si avvicinò al biondo, avvolgendo con un braccio la sua vita sottile ed immergendo l'altro trai suoi ricci color grano. «Puoi venire con me, se vuoi» gli sussurrò, con aria sensuale, all'orecchio.
Un brivido gelato scosse Will Solace, ghiacciandogli le interiora. Quel modo di parlare, di muoversi, erano cosí diversi da quelli che adottava il vero Nico, sempre cosí schivo e riservato. Piú guardava i suoi occhi, piú si convinceva che c'era qualcosa di profondamente sbagliato in tutta quella situazione. «Will?» mormorò nuovamente il moro.
Il figlio di Apollo scosse la testa. «Tu non mi chiami mai Will».

Fu un attimo. Uno schizzo d'acqua. Un urlo.

Il pallido e scheletrico semidio, iniziò a mutare, fino a diventare una ragazza dalla pelle squamata e verdognola. I suoi capelli erano di un insolito color rame, intrecciati con alghe e conchiglie. Al posto delle gambe vi era una grossa coda argentea che scintillava alla luce del sole.

Il mostro si era già lanciato all'attacco quando il vero Nico emerse dall'acqua paludosa, stringendolo tra le candide e minute braccia. «Non osare toccarlo, sirena» sibilò il figlio di Ade, colpendolo in testa con l'elsa della spada. Cadde per terra, svenuta.

«S-stai bene?» chiese il moro al figlio di Apollo, poggiandogli delicatamente una mano sulla spalla.
«Credo... credo di sì» balbettò quest'ultimo, sbattendo un paio di volte le palpebre. «Jim è ancora vivo?» chiese senza distogliere lo sguardo dal corpo incosciente della sirena.
«L'ho salvato appena in tempo, ora sta bene». Un lungo e pesante silenzio si andò a creare trai due giovani, interrotto solamente dai loro respiri affannati e dallo scrosciare dell'acqua.
«Temevo che fossero sirene» ammise infine Will «ma non credevo che vivessero anche nei laghi. Se non fossi stato così stupido!».
«Non è stata colpa tua: le sirene sono creature ingannatrici, ti fanno vedere ciò che tu desideri di più e lo usano come arma, per ferirti» lo consolò il moro, rivolgendogli un impercettibile sorriso.
«Tu hai capito l'inganno, io no».
«Non è vero! Ci sei solo arrivato un po' dopo di me».
«"Un po' dopo" è già troppo tardi».
Il figlio di Ade sospirò, lanciandogli un'occhiata afflitta. «Non essere così duro con te stesso, Solace: sei una persona fantastica, come fai a non accorgertene?». Iniziò a trasportare fuori dal lago il corpo assopito della sirena. La coda si tramutò nuovamente in un paio di gambe umane.
«Come ci sei riuscito? A capire che era tutto finto, intendo» chiese infine Will, incapace di trattenere ulteriormente questa domanda.
Nico aggrottò la fronte ed iniziò a giocare col suo anello d'argento. «C'era, c'era qualcosa di sbagliato in quella sirena, come se fosse una foto sbiadita: il suo sorriso non era abbastanza luminoso ed i suoi occhi non erano della stessa tonalità di...». Si morse le labbra, per poi forzare un sorriso imbarazzato. «Non è niente di importante» si giustificò «lasciamo perdere».

Sunset ~Solangelo~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora