"Hey, ragazzini! Hey, parlo con voi"

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Will si passò una mano trai capelli arruffati e sudaticci. Rise. Era quasi morto, aveva rivissuto momenti che avrebbe volentieri dimenticato e la loro missione era appena iniziata, eppure non riuscì a trattenere una risata, limpida e cristallina.
Nico lo fissò, confuso, mentre si accasciava malamente a terra, stanco per l'aver rispedito Deucalione e Pirra nell'Ade. «Che ci trovi di divertente, Solace?» domandò, accompagnato da un sorrisetto divertito, mentre scostava i capelli ribelli dal viso.
Gli occhi del figlio di Apollo si posarono su di lui. Brillavano. «Raggio di sole?» chiese di rimando, sghignazzando.
Il moro divenne paonazzo ed abbassò lo sguardo, rivolgendo la sua attenzione verso il mare, illuminato dalle pallide stelle e dalla luna che ormai occupava, maestosa, il cielo notturno. «Beh, mi dovevo pur vendicare per "Mister Morte" e compagnia bella» si giustificò, alzando le gracili spalle.
Il biondo si lasciò cadere al suo fianco. «Mi piace» commentò divertito, incrociando gli occhi oscuri del semidio.
Questo si mordicchiò imbarazzato il labbro inferiore, iniziando a giochicchiare con il suo anello a forma di teschio. «Che... che ti é successo prima? Con quei due idioti, intendo. Sembravi... strano» balbettò incuriosito, aggrottando le sopracciglia nere e folte.
Will impallidì. Scosse la testa, serrando le palpebre e si coprì il viso con le mani ossute.
«Se non vuoi parlarne é okay, per me va benissimo comunque» si affrettò ad aggiungere Nico, accorgendosi del suo errore. Si maledisse in silenzio per la sua stupidaggine. "Ho il tatto di un cadavere putrefatto!" pensò, distogliendo lo sguardo dal ragazzo.
«No, ne voglio parlare, credo» lo rassicurò questo, abbassando lentamente le mani. Aveva gli occhi lucidi, come se cercasse di trattenere le lacrime, e le labbra erano incurvate in un sorriso amaro.
Il moro sentì una stretta al cuore nel vedere la tristezza deturpare il suo meraviglioso viso, sempre cosí solare e luminoso. Lo avrebbe volto abbracciare, rassicurare, consolare, eppure non fece niente se non rimanere fermo, quasi immobilizzato, incapace di fare altro: non sapeva mai come comportarsi in situazioni del genere. Forzò un sorriso. «Ti ascolto».
Will lo fissò per alcuni istanti, ancora esitante. Emise un sospiro sommesso ed iniziò a raccontare, mettendo da parte ogni dubbio ed incertezza.

«Ti é mai capitato di sentirti... sbagliato, come se tutto ciò che facessi fosse un continuo errore?» iniziò il semidio.
«Ogni singola ora di ogni singolo giorno» confermò l'amico, senza sforzarsi di nascondere la tristezza nel suo tono di voce, sarebbe stato uno sforzo inutile.
Il biondo parve sorpreso. «Ma, ma tu sei sempre cosí sicuro di te, sai sempre quello che fare e...»
«E tu sei più stupido di quanto pensassi, Solace, e ti assicuro che ti ritenevo parecchio stupido».
Il figlio di Apollo rise. Per un istante i suoi occhi tornarono a risplendere.
«Non l'avrei mai detto» ammise, passandosi una mano tragli indomiti ricci. «Comunque, per me c'è stato un periodo particolare in cui... in cui mi detestavo, mi odiavo per essere, beh, per essere ciò che ero, ciò che sono tuttora.
«Mia madre era una cantante, si esibiva nei bar da quattro soldi della nostra cittadina, non era di certo ricca e famosa. I suoi genitori, i miei nonni, non erano esattamente entusiasti della vita che conduceva e quando nacqui io il loro odio non fece altro che aumentare: mi ritenevano un ulteriore ostacolo per la sua carriera, mi incolpavano della "vita da pezzenti" che conducevamo. Li detestavo. Ma erano i miei nonni e mia madre non voleva che tagliassi i ponti con loro, diceva sempre che avevo già dovuto rinunciare ad un padre e non voleva che perdessi anche il resto della famiglia.
«Un giorno, un brutto, bruttissimo giorno, ci fu un incidente nella scuola che frequentavo, niente di grave, solo qualche ferita superficiale o ossa rotte. Non mi ricordo neanche cosa fosse successo di preciso, eppure ricordo perfettamente di... di essermi avvicinato ad uno dei miei compagni. Era disteso per terra, aveva il braccio piegato in una posizione innaturale e piangeva, piangeva disperatamente. Appoggiai la mano sulla ferita e recitai una cantilena in greco antico, una di quelle che ora uso continuamente per curare i pazienti. L'osso tornò come prima, ma...» rabbrividì «ma mio nonno era lì. Ricordo le sue urla rabbiose, i suoi occhi iniettati di sangue. Mi prese a calci, mi aggredì, mi chiamò figlio del demonio e mi mandò in ospedale. Non lo rividi mai più, né lui né la nonna. Scomparsi, per sempre. Suppongo che Deucalione e Pirra me li abbiano in qualche modo ricorda».

Nico non si poté trattenere. Abbracciò il biondo. Lo strinse con forza, facendo in modo che il proprio petto si appiattisse contro il suo. Sentiva il suo cuore battere all'impazzata, come tamburo, mentre il suo fiato gli solleticava il collo. Will ricambiò l'abbraccio.
«Non credo che tu sia sbagliato, anzi, sei una delle persone più in gamba che io conosca» gli sussurrò il figlio di Ade, all'orecchio.
«Grazie, Signore delle Tenebre».
Il semidio si scostò leggermente, cosí da poter guardare negli occhi l'amico. Un leggero sorriso gli increspava le labbra. «Penso... penso che anche tu sia una persona fantastica, e non capisco come tu non te ne renda conto» gli scostò, teneramente, una ciocca di capelli dal viso «e dovresti sorridere di più, perché, quando lo fai, beh, credo che neanche Afrodite stessa possa essere tanto bella».

Nico parve svegliarsi da un sogno, un bellissimo e magnifico sogno. Si accorse solo in quel momento di quanto fossero vicini: tanto, troppo.
I loro respiri si potevano confondere da quanta era la vicinanza. Le labbra del figlio di Apollo erano a pochi centimetri dalle sue. Il moro si chiese se fossero sempre state cosí invitanti.
"Sembri una ragazzina in piena crisi ormonale!" si rimproverò, deciso ad allontanarsi dal ragazzo. Eppure non ci riusciva, era come se una calamita lo attirasse verso di lui.
Sentì il proprio battito cardiaco accelerare ed il volto andare a fuoco mentre la distanza, già minima, si restringeva sempre di più.
Tre centimetri.
Due centimetri.
Un centimetro e mezzo.
Un centimetro.
Mancavano solo una manciata di millimetri quando una voce li riportò alla realtà.
«Hey! Hey, ragazzini! Hey, parlo con voi».
I due semidei scattarono in piedi, rossi in viso, tenendosi a debita distanza l'uno dall'altro.

Sunset ~Solangelo~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora