"Sono ancora vivo, qui con te"

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Un sottile raggio di sole filtrava dalla tenda bucherellata della camera dello scadente albergo in cui i due semidei erano rifugiati dopo lo scontro con Niobe.
Will Solace era disteso su un pulcioso e particolarmente scomodo letto scricchiolante. La leggera luce solare del primo mattino gli accarezzava teneramente il viso abbronzato e ricoperto da graffi e lividi.
Il ragazzo amava svegliarsi con il sole negli occhi, ad illuminarlo, gli sembrava che suo padre gli augurasse il buon giorno come se fosse un normale genitore e non una potente divinità immortale.
Sospirò mestamente.
Poteva illudersi quanto voleva, tanto non sarebbe cambiato niente di niente: Apollo non sarebbe mai stato un "padre normale", lo sapeva fin troppo bene.

Il biondo si passò una mano sugli occhi, strofinandoli con fare assonnato, tentando di scacciare quei tristi pensieri. Sollevò lievemente il capo dal cuscino, per poi ricaderci pesantemente: la testa gli doleva e pulsava con forza. Sembrava che il cervello gli si stesse per dividere in due.
Chiuse gli occhi e strinse i denti finché il dolore non passò.
Un centinaio di immagini scollegate tra di loro lo colpirono: un ghigno terrificante, Nico che si batteva fino allo sfinimento contro un avversario imbattibile, una lama che risplendeva sotto i pallidi raggi lunari, macchiata da un sottile rivolo di sangue scarlatto, l'espressione febbrile di Niobe trasformarsi improvvisamente in una maschera di orrore, come se avesse paura di sé stessa, di ciò che stava per fare. Ricordava perfettamente la sensazione del pugnale che gli lacerava il petto, come se fosse fatto di burro, evitando di poco l'arteria.
Quello non era un colpo mortale. Il fantasma lo aveva risparmiato, di questo ne era piú che certo.

Lentamente il figlio di Apollo girò la testa, ritrovandosi a pochi centimetri dal viso assopito del moro. Un altro ricordo lo attraversò. Le morbide e fresche labbra del ragazzo sulle sue, le sue lacrime ricadergli sul volto, lavando via il sangue incrostato, le sue parole così disperate, eppure così belle, come rose dalle spine appuntite ed affilate, pronte a ferirti ed ammaliarti allo stesso tempo.
Il semidio avrebbe voluto dire che il figlio di Ade sapeva di erba appena tagliata, di lavanda, di vaniglia o di tutti quegli odori che sentono le protagoniste di ogni libro, quando baciano il loro ragazzo, eppure non poteva, no, Nico non profumava di niente di così banale: lui sapeva di morte, di umidità, di caffè amaro, di realtà. Will amava quel sapore.

Passò teneramente un mano trai capelli corvini del semidio, scompigliandoli ancora di più di quanto già lo fossero.
Il moro emise un mormorio seccato, come per intimare all'amico di lasciarlo dormire in pace.
Il figlio di Apollo rise.
«Mister Morte» lo chiamò con un sussurro.
Gli occhi di Nico si spalancarono di colpo.

«S-Solace» balbettò, cadendo goffamente dal letto che condivideva con il ragazzo «stai... stai bene?».
Il biondo annuì, pentendosene subito dopo: la testa gli doleva ancora.
«Ti ho dato dell'ambrosia poco prima che ti addormentassi» riferì il semidio, rimettendosi in piedi e tentando di levare, con qualche manata, la polvere che si era depositata sui suoi abiti «credo che sia bastata per far rimarginare... sai...» e, con un secco movimento del capo il petto di Will.
Questo alzò la maglietta, gesto che fece particolarmente arrossire il figlio di Ade, per controllare la ferita, lasciatagli dal pugnale. Emise un sospiro di sollievo nello scoprire che tutto ciò che ne rimaneva era una sottile cicatrice biancastra.

«Rispetterai la tua parte del patto, vero?» domandò, coprendo nuovamente il taglio.
Nico aggrottò le sopracciglia scure. «Quale patto?»
«Quello che hai stretto con Niobe»
«Sei impazzito, Solace? Quella donna ti ha quasi ucciso!»
«Non l'avrebbe mai fatto! Insomma, credi davvero che chiunque abbia aspettato cosí tanto per attuare la sua vendetta possa commettere un errore cosí grossolano? Mi ha risparmiato, Nico»
Il moro scosse la testa. «Non lo so, Will. Se tu fossi davvero morto io non...»
«Ma non lo sono! Sono ancora vivo, qui con te»
Il figlio di Ade esitò, ma non rispose. Continuava a fissare l'amico come se potesse essere l'ultima volta che lo vedeva.
«Hai dato la tua parola, questo non vale niente per te?»
Il semidio si mordicchiò il labbro, con fare incerto. Soffermò lo sguardo sugli occhi azzurro cielo del figlio di Apollo. Lo fissavano con aria severa e di rimprovero. Cedette.
«Hai vinto!» sbuffò, incrociando le braccia al petto, seccato «Appena rivedrò mio padre gli chiederò di farle incontrare i figli».
Will si aprì in un sorriso a trentadue denti che gli illuminò il viso. Lo abbracciò, stringendolo con forza fra le proprie braccia minute.
Il moro sentiva il cuore del semidio battere all'impazzata contro il suo petto. I suoi riccioli biondi gli solleticavano il naso mentre il suo odore di gelsomino lo avvolgeva dolcemente.
Sollevò lievemente la testa, quel che bastava per trovarsi faccia a faccia con il biondo. Questo arrossì lievemente, abbassando lo sguardo sul pavimento. Lo amava. Nico si sforzò di pensare ad altro, a qualsiasi altra cosa tranne che a quelle due parole che tanto detestava, ma senza alcun risultato: si ripetevano in continuazione nella sua testa, come un disco rotto.

Il semidio non sapeva cos'era l'amore, non aveva mai provato nulla di simile prima d'ora, tutto ciò che sapeva su quel futile sentimento veniva da quei sdolcinati film rosa che sua sorella lo costringeva a vedere prima che... beh, prima che lei morisse. Aveva sempre trovato l'amore una cosa troppo lontana dalla sua natura, cosí tanto che era più che sicuro che mai e poi mai lo avrebbe provato. Poi era arrivato Percy e tutto era cambiato. Credeva che quello che sentiva per il figlio di Poseidone fosse amore, o quantomeno la cosa che ci si avvicinava di più. Che assurdità! Quello non era niente, niente in confronto a quello che provava in quell'istante, stretto fra le sicure e confortevoli braccia di Will Solace.
"Se questo non é amore allora non ho davvero capito niente della vita" pensò, abbozzando l'ombra di un sorriso.
«Nico!» lo richiamò alla realtà il semidio «Hey, Nico! Ci sei?»
Il moro annuì per poi stampargli un soffice bacio sulle labbra. «William...» mormorò, al suo orecchio.
«Sí, Nico?»
«Io...»
Il silenzio regnava sovrano nella spoglia camera, interrotto solamente dal ritmico gocciolio del rubinetto del bagno.
«Io sono... felice che tu stia bene»
Il figlio di Apollo sorrise, eppure il suo sguardo era ottenebrato dalla delusione.
«Grazie, Nico». E si liberò, di mala voglia da quel dolce abbraccio, creando tra loro due una distanza che al figlio di Ade parve incolmabile.

***

Hey, tizi! Come state?

Lo so, lo so, non pubblico da non so quanti secoli ma per ora ho un casino di verifiche ed in più non so bene cosa scrivere, quindi scusatemi se non pubblicherò spesso come prima ;-;

Comunque... che ne pensate del nuovo capitolo? Vi è piaciuto? Vi fa venire voglia di strapparvi i bulbi oculari?

Devo andare, cosi.

Lunga vita e prosperità!

Sunset ~Solangelo~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora