11 - Ponente, 5 anni e 364 giorni fa

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Tseren vinse ogni torneo cui partecipò, che si trattasse di lancio della rete o di arrampicata a testa in giù, era chiaramente più veloce, più agile e più forte di chiunque altro. Poi verso metà giornata ricominciò a seguire Agata come un'ombra, era sempre a qualche metro di distanza e non la perdeva di vista.

La ragazza riusciva a pensare solo al fatto che quella sera finalmente avrebbe saputo tutto, come si capivano parlando lingue diverse, come aveva fatto ad attraversare le montagne a piedi, come riusciva a mangiare carne cruda, come mai il suo corpo aveva una temperatura tanto al di sopra del normale.

Durante la cena Agata toccò a malapena il cibo, anche Tseren sembrava considerevolmente agitato. Di tanto in tanto lanciava occhiate nervose al cielo e si spazientiva ogni qualvolta qualcuno cercava di allontanarlo da Agata.

Verso la fine della serata, quando ormai solo una coppia instancabile ancora si dimenava in pista, Tseren propose ad Agata di fare una passeggiata. La ragazza prese una delle lanterne rimaste sul tavolo e annuì titubante. Ora che la verità era dietro l'angolo, cominciava a essere preoccupata per l'impatto che il segreto di Tseren avrebbe avuto sulla sua vita. Si trattava di qualcosa di colossale, ormai ne era certa.

Camminarono sulla riva, raggiunsero la spiaggia delle tartarughe, poi invece di proseguire sulla battigia, il levantino si diresse verso gli arbusti che si affacciavano timidamente sul lido. La ragazza lo seguì nella boscaglia.

«Dove stiamo andando?» domandò dopo circa un quarto d'ora che camminavano tra i cespi.

«In un posto isolato, dove sono sicuro che non passi nessuno» rispose lui scostando un ramo.

Come al solito si voltava in continuazione per controllare che Agata fosse abbastanza vicina. Raggiunsero una radura dove un fulmine aveva abbattuto un albero massiccio, che a sua volta aveva raso al suolo le piante circostanti.

Agata realizzò soltanto in quel momento che era sola in mezzo al bosco, ad almeno due chilometri dal villaggio, con un perfetto sconosciuto, un ragazzo di Levante che aveva incontrato appena un mese prima e che, come dicevano Holly Dee e Gregor, l'aveva "stalkerata" da allora. Non era da lei agire così impulsivamente, ma se da un lato l'atto di portarlo con sé al paese era stato oggettivamente sconsiderato, ora, dopo tre settimane che avevano dormito sotto lo stesso tetto, mangiato dallo stesso paiolo e che lo aveva visto trascinare quotidianamente la rete piena di pesci che sfamava la sua famiglia, sentiva di avere abbastanza ragioni per fidarsi. C'era chiaramente un motivo se il suo istinto non l'aveva mai messa in guardia nei confronti di Tseren.

«Sono due mesi che penso a come dirti... Insomma... Quello che devo dirti... E sono giunto alla conclusione che alcune cose, beh, si capiscono meglio vedendole con i propri occhi...» il ragazzo si dondolava da un piede all'altro, era estremamente agitato, più di Agata «Ti dispiacerebbe voltarti?» aggiunse.

«Voltarmi? Perché?» rispose la ragazza puntando la luce fioca della lanterna verso Tseren, era una notte senza luna, talmente buia che a malapena riusciva a vedere la sagoma del levantino.

«Ti prego, puoi fidarti di me?» I suoi occhi la imploravano, pieni di disperazione, così Agata accettò di dargli le spalle.

«Cosa stai facendo?» chiese perplessa.

«Non voglio rovinare i vestiti che mi hanno regalato tua nonna e tua zia» Un'altra delle sue risposte senza senso. «Dammi solo un momento...»

Agata rimase in silenzio, il lume poggiato a terra, lo sguardo che vagava nelle tenebre, aveva il presentimento che qualcosa di straordinario stesse per accadere.

«Tseren?»

Silenzio.

«Tseren, posso girarmi?»

Uno scricchiolio.

Poteva sentire il rimbombo del mare in lontananza e il fruscio delle chiome degli alberi agitate dal vento. Un altro scricchiolio. Agata si voltò e prese in mano la lanterna.

La prima cosa che vide furono gli abiti del ragazzo ammonticchiati al suolo. Si accostò, il cuore che le martellava nel petto.

«Tseren?» le sembrò di scorgere qualcosa muoversi dietro i tronchi degli alberi che si erano schiantati a terra.

Tendendo il braccio che stringeva il lume, si avvicinò ancora. E lo vide.

Il corpo era coperto di scaglie, talmente grande da occupare quasi interamente la radura, eppure al tempo stesso snello. Quattro zampe possenti, artigliate. La coda si agitava adagio sfiorando le cime degli alberi, la parte finale era palmata, come un ventaglio. Due ali minute, quasi sproporzionate rispetto al resto del corpo, si aprivano e si chiudevano per sgranchirsi. Il muso affilato e due occhi ambra che luccicavano come l'oro.

Era troppo buio per afferrare di che colore fosse il corpo, ma quegli occhi prodigiosi sfavillavano più del lume che Agata fece cadere incautamente a terra. La luce si spense e la ragazza rimase avvolta dall'oscurità.

Vedeva solo quello sguardo dorato che la fissava intensamente, aveva un non so che di umano, ma al tempo stesso era lo specchio delle profondità di una creatura antica come il mondo.

Si guardarono a lungo, la creatura e la ragazza. Lui tese il collo verso di lei e lei indietreggiò. La belva sembrò ferita dal gesto e si ritrasse a sua volta.

Agata poteva leggere le emozioni di Tseren come in un libro aperto, era come se comunicassero su un altro livello, che non aveva niente a che vedere con il modo umano di entrare in contatto l'uno con l'altro.

Agata rimase indecisa sul da farsi, ma dal momento che, pur non sapendo perché, era certa che Tseren non le avrebbe fatto del male, si fece coraggio e prese ad avvicinarsi. La creatura rimase immobile, aspettando che la ragazza decidesse quale fosse la distanza cui si sentiva a proprio agio.

Lei si fermò a mezzo metro e accostò la mano al capo di lui. Fu il turno della belva di prendere tempo, indecisa su come rispondere a quel gesto di fiducia. Molto lentamente appoggiò il muso al palmo aperto.

Gli occhi di Agata si erano gradualmente abituati all'oscurità e a quella distanza poteva vedere i denti aguzzi che contornavano le fauci, le quali di tanto in tanto si aprivano per farlo respirare.

Un brivido le percorse la spina dorsale e le tornò in mente con quanta facilità Tseren aveva masticato la carne cruda. Si fece forza per non ritirare la mano, non voleva ferirlo di nuovo.

Il corpo della creatura era caldo, ma il calore affiorava dall'interno, mentre le scaglie erano lisce e fredde come le facce di un diamante. Era una sensazione antitetica: Agata aveva l'impressione di toccare la superficie di un lago ghiacciato sotto il quale bolliva della lava.

Tseren avvicinò il capo alla spalla destra di lei e la spinse delicatamente. Si fermò per vedere se Agata avesse compreso e ripeté il gesto una seconda volta.

«Vuoi che mi giri» capì infine lei.

Poco dopo Agata sentì la mano tornata umana di Tseren sfiorarle la schiena e si voltò a guardare il levantino. Non l'aveva mai visto così disarmato, gli occhi cobalto la fissavano carichi d'ansia. In attesa di una parola, un gesto, qualsiasi cosa che potesse svelare cosa stesse passando per la mente della ragazza.

«I draghi esistono per davvero?» sussurrò infine lei, disorientata da quello cui aveva appena assistito.

«Il drago. Sono rimasto solo io» precisò lui, sollevato dal fatto che finalmente il suo segreto fosse allo scoperto.

L'ultimo dei Draghi [completata]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora