75 - Levante, 5 anni e 94 giorni fa

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Come al solito Utukur aveva ragione. Essere riusciti a prendere parte a un combattimento nel giro di qualche ora era stato un vero e proprio colpo di fortuna. Negli altri quartieri le liste d'attesa erano più lunghe, persino per gli scontri con animali feroci.
A questo si sommava il fatto che spostarsi tra un quartiere e l'altro era quasi un viaggio.

Una settimana dopo, Tseren aveva affrontato e sconfitto solo un orso senza pelo, una specie animale della costa, ed era in lista d'attesa per battersi con un felino marsupiale dai denti neri.

Nonostante fossero vicini agli altopiani di Levante, un vento caldo proveniente dal deserto rendeva l'attesa nelle aree allestite per i pre-giochi una tortura. Agata, inoltre, si sentiva male a vedere tutta quella violenza concentrata in un posto solo e così i due ragazzi decisero di approfittare delle lunghe ore di stallo per visitare la capitale di Levante. Non tutti i quartieri erano decadenti come quello in cui abitavano, e due zone in particolare, il centro governativo e il parco residenziale del ceto nobiliare, meritavano di essere viste.

Un giorno si spinsero quasi fino all'ingresso della FSI. Avrebbero voluto essere più prudenti, ma subirono il fascino di quel palazzo mastodontico brulicante di vita. Si trattava di una costruzione color sabbia che aveva ricoperto il pendio di un'intera collina; i cui tetti piatti erano ricoperti di marchingegni di vario tipo: astrolabi, notturnali, meridiane e telescopi che svolgevano chissà quale funzione.

Finestre con le tende oscurate e vetrate spalancate da cui uscivano fumi colorati; piante esotiche sui davanzali e animali legati sui balconi; un viavai senza sosta: tutto era in movimento nella sede dell'istituzione più prestigiosa al mondo, lì dove ribollivano da sempre le più importanti scoperte scientifiche. Nonostante le guerre tra le zone, la violenza ludica dei tornei, e la schiavitù delle minoranze, il cuore pulsante del continente di Levante era la scienza.

Non era possibile individuare un tratto comune tra gli studiosi della FSI: c'erano uomini e donne di tutte le età, vestiti con gli abiti tradizionali delle numerose zone di Levante e Ponente; alcuni erano soli, altri si spostavano in gruppo. Qualcuno esponeva l'emblema della Fondazione, ricamato sugli abiti o dipinto sulle cartelle stracolme di documenti, qualcun altro sarebbe potuto essere preso per mendicante.

«Ti ci vedrei a lavorare in un posto così» disse Tseren alla ponentina.

«Non penso che sia un mestiere adatto a un'Ascendente» rispose lei.

Il Drago aveva un cappello a falda larga, cadente, per nascondere gli occhi, ma i due ragazzi erano piuttosto agitati dalla quantità di menti curiose che li circondavano, e che avrebbero potuto accorgersi, in qualsiasi momento, dei suoi tratti singolari; così presto decisero di allontanarsi.

Nelle vicinanze della sede della FSI c'era il vecchio municipio, dove il Governo Centrale di Levante si riuniva una volta l'anno. La facciata era adornata con una mappa dettagliata di Levante, i confini antichi delle zone tracciati con un tratto cremisi e i quattro fiumi navigabili in verde giada.

Un alto campanile custodiva un gong ricoperto di gemme, la storia narrava che, cinquecento anni prima, era stato proprio quel gong ad avvisare i cittadini della Capitale che i magazzini del mercato principale avevano preso fuoco, salvando così le case ammassate, che da sempre formavano la città, e di conseguenza la vita di coloro che le abitavano.

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Un altro giorno decisero invece di curiosare nel parco dei nobili. Alcuni viali erano aperti ai visitatori curiosi, strade di proprietà di aristocratici che amavano ostentare la loro ricchezza. Quegli edifici di colori sgargianti con porte e finestre di metalli preziosi erano vanesi tanto quanto coloro che dimoravano all'interno.

I giardini facevano a gara di stravaganza, esibendo decine e decine di piante modellate come statue e fontane pirotecniche, che di tanto in tanto liberavano esplosioni di luce nel cielo.

«Mia nonna è cresciuta in una villa così» disse improvvisamente il Drago.

«Chissà se qualche tuo parente vive ancora qui, e in quale di queste regge» rispose la ponentina.

«Non ho nessuna intenzione di scoprirlo. La mia unica famiglia siete tu e Xhoán» tagliò corto il ragazzo.

«In ogni caso credo sarebbe impossibile trovarli in tempi brevi e siamo rimasti nella Capitale fin troppo a lungo» sospirò Agata, anche se era convinta ne fosse valsa la pena. Ogni giorno aveva avuto l'occasione di vedere qualcosa che, per un motivo o per l'altro, l'aveva emozionata come nessun luogo prima. Nonostante la confusione e la rudezza dei levantini della grande città, quel luogo era traboccante di vita in confronto al suo sonnolento continente.

Si sedettero a riposare su un muretto, con le gambe a penzoloni. Da quel punto si vedevano gli altopiani di Levante, terrazze di pietra scura ricoperte di campi coltivati.

Tseren rise improvvisamente. «Anche se non le vedi, laggiù ci sono delle caprette che si arrampicano su un precipizio quasi verticale, sembra una cosa contro natura e invece...»

Agata osservò il profilo del suo Drago: i lineamenti morbidi, le labbra screpolate dal vento e gli occhi blu colmi d'ilarità. Quel pomeriggio Tseren le sembrava più attraente del solito e arrossì senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso.
Lui si voltò, stupito di non ricevere una risposta, e ricambiò quello sguardo ammirato con uno altrettanto devoto.

«Mi sembri molto più sereno rispetto a quando ci siamo conosciuti» proferì cautamente Agata, continuando a fissarlo. Le loro mani, appoggiate sulla pietra calda, si sfioravano e la ragazza fu tentata di incatenare le sue dita a quelle di lui come facevano solo durante la settimana di luna nuova.

«Anche tu» sorrise lui imbarazzato, «Sei molto più spigliata e di buon umore. Mi piace vederti sorridere così spesso, mi piace anche il colorito che il sole ha dato alle tue guance, e come questo vento pieno di sabbia del deserto ti gonfia i capelli». E per enfatizzare quelle parole le infilò una mano nella criniera di ricci pece.

Il cuore di Agata era fuori controllo, come erano passati a parlare di tranquillità interiore ai suoi capelli? Un pensiero le attraversò fulmineo la mente. Non pensava sarebbe mai stata in grado di fare il primo passo con un ragazzo, ma se si trattava di Tseren, forse...

Era desiderio quello che leggeva nei suoi occhi?

Si avvicinò a lui impercettibilmente, sperando che il suo udito di drago non sentisse il ritmo incalzante del suo cuore.

«Ragazzi, cosa fate appollaiati lì? È pericoloso ed è ora di chiudere i cancelli per la notte». Tseren e Agata si voltarono contemporaneamente a guardare l'uomo che aveva parlato, un levantino baffuto con le mani rotte dal lavoro e i vestiti che puzzavano di concime.

Tseren fece scivolare delicatamente la sua Ascendente al suolo e i due seguirono in silenzio la guardia; prima di lasciare quel posto meraviglioso, Agata si voltò a guardare il muretto dove erano rimasti a lungo seduti, chiedendosi se avesse appena condiviso con il Drago il primo, vero, momento romantico della sua vita.

L'ultimo dei Draghi [completata]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora