7 - Comfort.

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Ed eccoli lì, seduti nuovamente attorno al tavolo, per cenare.

L'unica differenza era che, davanti a Michael, a capotavola, sedeva Calum.

«È davvero buonissimo, signora Clifford», sorrise il moro.

Mentre teneva lo sguardo fisso sulla donna, allungò la gamba sotto al tavolo e finì per colpire un piede, ma, invece di essere quello di Michael, era quello di Luke.

Il biondo lo guardò stranito, tirando indietro la gamba.

«Oh, tesoro, chiamami pure Karen. Infondo hai sopportato mio figlio per quattro lunghi anni, il minimo è che ti faccia diventare parte della famiglia», disse.

Karen era sempre buona con tutti, spesso troppo, ma non era in quel caso.

Quella sera la sua bontà non era stata vana. Calum era un bravo ragazzo, che si meritava quella dolcezza, ma purtroppo aveva perso entrambi i genitori in un incidente stradale ed era rimasto solo.

Aveva deciso di allontanarsi da casa - da tutta l'Australia, in realtà - per superare il lutto, era davvero difficile vivere nello stesso luogo in cui aveva vissuto la sua infanzia, con i suoi genitori, che ora non c'erano più.

Senza neanche accorgersene i suoi occhi iniziarono a pizzicare, mentre un groppo gli si formava in gola.

«Hey, caro, tutto bene?», domandò ancora Karen, mettendo una mano su quella di Calum.

«E-ecco, i-io...»

Sollevò lo sguardo e lo puntò in quello di Michael, che si alzò e affiancò l'amico.

«Vieni, Cal, andiamo in giardino», ordinò dolcemente il tinto. Il corvino annuì ed ubbidì, seguendo Michael finché non arrivarono fuori in veranda.

Si sedettero sul divanetto esterno, mentre Calum prese a singhiozzare.

Michael lo lasciò sfogare, piangere, soffocare urli contro il suo petto.

Ed era quello il loro rapporto: erano la spalla l'uno dell'altro, dei veri amici, pronti a sostenersi nel momento del bisogno.

«Tranquillo, sfogati, sono qui.»

Calum continuò a piangere, mentre Michael gli strofinava il palmo della mano sulla schiena.

Avrebbe voluto dirgli qualcosa per confortarlo, ma sapeva che in quei momenti non c'era nulla che migliorasse la situazione.

Le persone dicevano "mi dispiace", ma era palese che non erano dispiaciute per davvero, oppure se lo erano non potevano di certo migliorare la situazione.

«Mi mancano così tanto...», mormorò Calum, mentre tirava su con il naso.

«Sai anche tu che se fossero qui sarebbero molto fieri dell'uomo che sei diventato», disse il tinto.

Dopo un po' il neozelandese si calmò.

«Hey, vuoi che ti porti a casa?», chiese Michael.

«Non tornerò in quella casa piena di ricordi, andrò in un motel.»

Il tinto scosse la testa. Fece per parlare, ma vennero distratti dal bussare sulla porta di vetro. Era Karen, con un bicchiere d'acqua in mano e un pacchetto di fazzoletti.

«Scusate, ragazzi, ho pensato che- », iniziò, ma si fermò vedendo il sorriso riconoscente di Calum.

«Grazie Karen, ora levo subito il disturbo, non volevo creare scompiglio», si scusò il corvino.

«Non dirlo neanche. Dispiace a me se ho detto qualcosa di sbagliato, non volevo rattristarti.»

«No, non è stata colpa tua.»

storm ❅ mukeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora