Capitolo 7

1K 74 13
                                    



7.


Una cintura per attrezzi in cuoio, nuova e ancora scricchiolante, un martello e dei guanti di pelle.

Okay, i casi erano due.

O Ronan se li era dimenticati sulla panca – cosa molto strana, visto che era maniacalmente preciso – oppure era un sottile invito a darmi da fare.

Con un mezzo sorriso di sfida, infilai in fretta la cintura, che profumava di pelle e di nuovo.

La saggiai attorno alla vita e, annuendo tra me, mi incamminai verso il capanno in legno, dove Ronan ci stava dando dentro con martello e incudine.

Aprii la porta senza annunciarmi e là, vicino al banco da lavoro, lo vidi impegnato a dar grandi martellate a un pezzo di metallo.

Doveva essere uno dei rinforzi metallici da inserire sotto la chiglia della barca, a giudicare dalla curvatura che gli stava dando a suon di colpi.

Le masse muscolari della sua schiena guizzavano potenti, e lenti rivoli di sudore scivolavano giù, andando a scomparire oltre la linea dei jeans lisi.

Ma non dormiva mai, quell'uomo? Erano solo le otto del mattino, e lui era già a pieno regime.

Stetti a osservarlo per puro diletto, comunque.

Dopotutto, anche se scorbutico come un'arpia, era pur sempre un bel esemplare di uomo, e alle prese con un mestiere duro, il che faceva uscire la sua parte più primitiva. E la mia.

Sorrisi appena quando cambiò posizione, stiracchiandosi per un attimo, ma sobbalzai terrorizzata quando mi disse: «Quando hai finito di lustrarti gli occhi, là ci sono dei chiodi nuovi, oltre alle assi da sistemare all'interno della barca.»

«Ops» sussurrai ridacchiante, affrettandomi a prendere il nuovo sacchetto di chiodi e le assi da sistemare.

Lui si volse a mezzo, mi fissò con i suoi chiari occhi color acquamarina e aggiunse: «Bene, l'hai trovata.»

«Grazie.»

Lisciai teneramente con le mani la cintura nuova e lui, con una scrollatina di spalle, continuò il suo lavoro.

«Visto che sei così ficcanaso da non saper stare al tuo posto, tanto vale che ti rendi utile. E non mi andava che tu usassi i miei attrezzi.»

L'ultima frase fu così carica di ironia che mi aspettai di sentirlo ridere a crepapelle.

Ovviamente non avvenne, ma mi divertii in ogni caso, nel sentirlo così gioviale.

Gli feci la lingua per puro divertimento e, nel sistemarmi all'interno della barca, iniziai a darci dentro di martello.

Andammo avanti così, senza parlare, per un tempo indefinito e, man mano che il tempo passava e le mie spalle si indolenzivano, il mio sorriso si fece più ampio.

Le tossine, accumulate durante la notte, andarono disperdendosi come il sudore sulla mia fronte, e io mi sentii sempre più a mio agio, sempre più tranquilla.

L'attività fisica mi stava rinvigorendo, così come quel luogo così lontano da tutti i miei problemi e le mie ansie.

Terminai di sistemare le assi in un tempo piuttosto soddisfacente, almeno secondo i miei standard e, quando mi fermai, quasi lanciai un urlo degno di una sirena.

Ronan era fermo accanto alla barca e mi stava osservando con attenzione.

Non mi ero neppure accorta che lui aveva smesso di dare martellate, tanto mi ero immersa in quel lavoro.

The Dream of a Dolphin - Irish Series Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora