Capitolo 13

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13.


Ferma sulla spiaggia, le lacrime che solcavano il mio viso simili a lame infuocate, faticavo a respirare normalmente.

Ogni boccata d'aria sapeva di veleno e, per un momento, desiderai lasciarmi andare ai flutti, annegare, terminare in quel modo silente la mia vita.

Ronan non c'era più, me lo avevano strappato via nel modo più crudele, dandomi colpe che non avevo e senza concedermi la possibilità di parlare a mio favore.

Le onde lo avevano cancellato al mio sguardo, forse per sempre, e io non avevo il coraggio di alzarmi da quella spiaggia ghiaiosa.

Volevo indietro il mio Ronan, ma sapevo benissimo che non lo avrebbero mai liberato.

Non finché io fossi stata in vita, per lo meno.

Cinquanta, sessant'anni, e lui avrebbe rivisto la libertà.

Io, la morte.

Se non fossi morta prima di inedia o crepacuore.

«RONAN!» urlai per l'ennesima volta, la voce resa roca dal troppo gridare.

Un'onda lunga sfiorò le mie ginocchia, bagnandomi i jeans, raggelandomi.

Fissai stordita il fucile accanto a me, tastai il mio fianco dolorante e, a fatica, tornai ad alzarmi.

Afferrai l'arma che, in quel momento, avrei voluto usare con maggiore efficacia contro Stheta e, con passi lenti, risalii la scogliera.

Morire sarebbe stato facile, persino piacevole e, a conti fatti, mi avrebbe risparmiato un sacco di dolore.

Ma quanto ne avrei causato, io, con quel gesto egoista?

Mia madre aveva appena perso il marito, i miei nonni il loro unico figlio.

No, non potevo semplicemente gettarmi in mare perché mi avevano strappato il cuore dal petto.

Avrei sofferto in silenzio e, altrettanto in silenzio, me ne sarei andata.

Sarei tornata al mio lavoro, alla mia città, e avrei cercato di andare avanti. Non sapevo ancora come, ma l'avrei fatto.

Non avrei fatto soffrire la mia famiglia ora che, in qualche modo, ci eravamo riavvicinati.

Potevo farlo. Ero abbastanza forte e cocciuta per impormi una simile afflizione.

Ma, quando raggiunsi il faro, le lacrime non avevano smesso di correre sul mio viso affaticato.

Entrai in casa, risoluta, e ripulii per bene la confusione che, l'arrivo di Stheta e dei suoi uomini, aveva lasciato ogni dove.

Quando anche l'ultimo barlume di polvere fu scomparso, mi accucciai sulla poltrona di Ronan e afferrai il cellulare.

Cercai fiacca un numero in particolare nella mia rubrica, che mai avrei pensato di utilizzare così a breve, e chiamai.

A rispondermi fu una voce stanca, arrochita dal sonno e dal fastidio di essere destato alle due di notte.

«Chi diavolo è a quest'ora?!»

Sorrisi appena nel sentire la voce irritata di Cormac MacHugh e, con un sospiro, mormorai: «Sono Sheridan. Lo hanno portato via, Cormac... non c'è più, e io ho bisogno di lei. Sono al faro. Venga qui, la prego.»

Udii un'imprecazione soffocata, del trambusto in sottofondo e, senza neppure un saluto, la comunicazione venne interrotta.

Chiusi gli occhi, lasciai scivolare a terra il cellulare e, stringendomi le ginocchia al petto, mi lasciai andare a un altro pianto silenzioso.

The Dream of a Dolphin - Irish Series Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora