14.
Un pomeriggio di inizio dicembre, esattamente uguale agli altri che lo avevano preceduto, ero seduta nel salotto di mia madre.
Stavo rammendando una maglietta quando, all'improvviso, lei comparve con una delle mie valige in mano e l'aria risoluta stampata in viso.
Sgranai gli occhi, sbalordita da quell'entrata in scena così plateale, e poggiai la maglia sulle ginocchia.
«Che c'è? Vuoi sbattermi fuori?»
«Precisamente.»
«Come, scusa?» gracchiai, credendo di non aver sentito bene.
«Non ti voglio qui dentro a ciondolare, quando potresti essere benissimo a Dublino a lavorare. Non ho cresciuto una persona svogliata, ma una che si impegna, che vince.»
Il suo tono fu così autoritario che, per un momento, temetti di essere tornata al punto di partenza, con lei.
Ma, quando incrociai i suoi occhi volitivi e sì, la sua speranza che uscissi dal buco nero in cui ero caduta dalla sparizione di Ronan, compresi.
Da quando Lithar era scomparsa nelle acque scure del porto, erano passati quasi due mesi, due mesi in cui non erano più giunte notizie, speranze, voci di alcun genere.
Per quanto mi fossi ripromessa di non cedere allo sconforto, ci ero comunque finita dentro e ora arrancavo, mi muovevo a stento come nella melassa.
Credere in una seppur flebile speranza, era sempre più difficile.
Vedere mia madre così determinata a scacciare i fantasmi di tale torpore, quindi, mi sorprese.
Stava cercando, a modo suo, di darmi una mano.
Sapeva che il lavoro era un'àncora di salvezza per molti, e sperava che fosse così anche per me.
Mi sollevai in piedi, perciò, sgranchendomi le gambe e le braccia e, volutamente ironica, chiosai: «Di certo, non potrai dirmi che sono scappata dalla finestra, stavolta.»
«E' sprangata» sottolineò lei, accennando un sorriso.
A quel punto sospirai e, nell'avvicinarmi a lei, le sfiorai il viso con un dito.
Non le piacevano ancora, gli abbracci, ma ogni tanto le accarezzavo il volto.
Apprezzò il mio sforzo, e si lasciò toccare.
«Sei sicura che starai bene, qui da sola? La casa è grande, e c'è tanto da fare.»
«Farò come i nonni, e affitterò una stanza o due» mi spiegò lei, scrollando le spalle come se niente fosse.
La fissai scettica, e non potei esimermi dal dire: «Dovrai cambiare registro, allora. Alla gente bisogna sorridere, ogni tanto. Non puoi soltanto grugnire ordini.»
Mi fissò burbera, ma disse perentoria: «So come si fa.»
«Lo spero per i tuoi poveri villeggianti» ironizzai, mettendo calore nel mio dire.
«Sciocchina» disse allora lei, dandomi una pacca sul sedere prima di mollare accanto ai miei piedi la valigia vuota.
Strabuzzai gli occhi, indecisa se pregare Dio e ringraziarlo del miracolo, oppure starmene semplicemente zitta e godermi il momento.
Scelsi la seconda e, irriverente, dissi soltanto: «Quanto tempo ho?»
«Due ore. Quando Ronan tornerà, gli dirò che sei tornata al lavoro, se già non glielo dirai tu per telefono, e lui ti raggiungerà là. Ma non voglio vederti un solo giorno di più ad aspettare indolente che il tuo uomo torni. Lui si sta impegnando a sostenere la sorella, tu impegnati nel tuo lavoro, visto che lo sai fare bene.»
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The Dream of a Dolphin - Irish Series Vol. 1
خيال (فانتازيا)Sheridan O'Connell è una figlia ribelle e selvaggia della campagna irlandese, fuggita a soli diciotto anni per raggiungere Dublino con il suo ragazzo. Dopo una vita travagliata e sofferta, è infine diventata fotoreporter per il National Geografic; s...