4.

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Presente.


Strano a dirsi, ma la compagna di stanza di Lauren non era Normani, era una ragazza che si chiamava Alexa e che avevo già visto diverse volte, passando spesso del tempo in quella stanza.

Il tragitto dal nostro appartamento ai dormitori di Yale era stato breve e mi aveva fatto chiedere per quale motivo anche noi non avevamo deciso di alloggiare da quelle parti.

Chiesi a Dinah di poter andare da sola, dicendo che molto probabilmente sarei rimasta lì per la notte o avrei preso un taxi che mi avrebbe riportata a casa. La polinesiana era titubante, ma alla fine aveva acconsentito con un sospiro e mi aveva strappato la promessa di chiamarla, anche nel pieno della notte, se avessi avuto bisogno di qualcosa.

Alexa non era in camera, lo sapevo, così avevo recuperato le chiavi di riserva che lei e Lauren tenevano nascoste vicino alla porta della loro camera ed ero entrata.

La stanza era buia, l'unica luce proveniva da fuori, riuscivo appena a distinguere i libri impilati disordinatamente sulla scrivania che apparteneva ad Alexa, e la parte riservata a Lauren che rasentava la perfezione.

Il letto però era rimasto disfatto e aveva ancora sopra alcuni dei peluches che Lauren teneva con sé.

Camminavo lentamente senza emettere un rumore o un suono, sfioravo con la punta delle dita le copertine dei libri che aveva letto, posati sulla piccola libreria alle spalle del letto.

Uno solo era rimasto in posizione orizzontale, quello che ancora stava leggendo, lo presi e lo aprii, la pagina era marcata da un segnalibro che non era altro che una striscia di piccole foto di Lauren con Chris e Taylor.

Una parte era sottolineata con una punta di matita leggerissima.

Recitava:

"There is something demoralizing about watching two people get more and more crazy about each other, especially when you are the only extra person in the room. It's like watching Paris from an express caboose heading in the opposite direction--every second the city gets smaller and smaller, only you feel it's really you getting smaller and smaller and lonelier and lonelier, rushing away from all those lights and excitement at about a million miles an hour."

Sfogliai a ritroso altre pagine, altre citazioni sottolineate:

"I felt my lungs inflate with the onrush of scenery—air, mountains, trees, people. I thought, "This is what it is to be happy."

"I shut my eyes and all the world drops dead;
I lift my eyes and all is born again."

Provai a leggerne ancora, ma i miei occhi videro tutto sfuocato ed è in quel momento che mi resi conto di star piangendo.

Calde e copiose lacrime che scivolavano giù dai miei occhi, segnando un percorso sulle mie guance e pizzicandomi le labbra che nelle ultime ore avevo torturato con i denti.

"Chiudo gli occhi e tutto il mondo muore; apro gli occhi e tutto nasce di nuovo."

Questo recitava Sylvia Plath nel suo libro, nel libro che Lauren stava leggendo.

Ci provai, volevo sentirla anche io questa sensazione di rinascita.

Chiusi gli occhi e tutto diventò buio intorno a me, provai a fingere che il resto del mondo sparisse, morisse.

Riaprii gli occhi dopo qualche secondo, ma nulla rinasceva davanti a me, tutto era rimasto esattamente com'era: la stanza quasi buia, il letto non ancora rifatto e Lauren era ancora morta.

Il primo istinto sarebbe stato quello di gettare il libro a terra con quanta più forza possibile e urlare a Sylvia Plath che aveva mentito, che nulla rinasceva di nuovo e che quando aprivi gli occhi tutto poteva rivelarsi anche peggiore di come lo avevi lasciato.

Ma non lo feci.

Invece riposi nuovamente il libro al suo posto, esattamente come l'avevo trovato.

Nella mia testa tutto in quella stanza urlava di Lauren, ma la quiete al di fuori di me era assordante.

Sfilai una delle sue felpe poggiata sulla spalliera della sedia, era fredda ma c'era ancora il suo odore, lo inspirai profondamente e tentai d'imprimerlo nella mia memoria.

Lo avrei dimenticato un giorno. Sarebbe stato solo un vago ricordo che non sarei riuscita ad afferrare con chiarezza nella mia mente, ma non quella notte.

Infilai la felpa e mi lasciai avvolgere dal suo profumo, non c'era il suo calore ma ci sarebbe stato il mio; poi mi sfilai le scarpe senza slacciarle e scivolai tra le coperte ancora disfatte.

Anche il cuscino manteneva ancora il profumo dello shampoo di Lauren, che si sprigionò non appena vi posai contro la testa.

C'era qualcosa che la mente non riusciva proprio a concepire riguardo all'accettare il fatto che una persona che hai baciato, toccato, guardato fino al giorno prima, non esisteva più.

E c'era quel disgustoso cliché che ti portava a vedere tutti i suoi difetti come pregi e i suoi pregi come pura perfezione.

Lauren non era perfetta, io non lo ero, insieme non lo eravamo, ma non era di quello che c'importava.

E mentre cercavo stupidamente di trovare una definizione che spiegasse perfettamente cosa eravamo, un'altra cascata di lacrime m'invase gli occhi.

Tentai di ricacciarle vanamente indietro, finii per addormentarmi con il volto immerso nel suo cuscino e le sue lenzuola avvolte attorno a me.

The opposite of death. [Camren]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora