Fourtyfive;

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Suona la sveglia. Cazzo. La odio. Ma devo alzarmi per forza.

Mi dirigo in bagno cercando di fare neanche il più minimo rumore per non svegliare Jack, che dorme nella stanza accanto alla mia, non dovendo andare a scuola. Mi preparo velocemente indossando un paio di boyfriend jeans, un crop top bianco, e una camicia a quadri per rendere il tutto più adatto alla scuola.

 Mi preparo velocemente indossando un paio di boyfriend jeans, un crop top bianco, e una camicia a quadri per rendere il tutto più adatto alla scuola

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Ai piedi indosso delle Superga bianche con la suola alta, le adoro. Aggiungo anche un orologio color oro all'outfit.

Passo al trucco, il quale è molto veloce, e dopo aver lavato i denti e arrotolato le maniche della camicia, esco di casa con tutte le cose essenziali nel mio Eastpack nero.

Arrivo nel cortile della scuola, e come sempre infilo nelle orecchie le cuffiette, schiacciando il pulsante play per avviare una canzone a caso della mia playlist.

Alzo ancora di più il volume sentendo le risa di scherno da parte dei miei compagni, mi viene da piangere, ma non lo faccio, ho imparato a mantenere dentro di me le mie emozioni. O quasi.

Purtroppo, quando entro in classe, sono costretta a togliere le cuffiette e a metterle via, anche se so che, essendo seduta all'ultimo banco, non se ne accorgerebbe nessuno. Ma ormai, nella mia vita, il rendimento scolastico è l'unica cosa che va veramente bene, e non posso rovinare anche quello.

Il professore ancora non c'è, e proprio nel momento in cui ripongo le cuffiette dentro la tasca dei pantaloni, entra lui, con i suoi amici pecoroni.

Nate Maloley. Il ragazzo perfetto per chi non lo conosce. Un mostro per chi gli sta intorno.
Si guarda intorno, e non appena il suo sguardo si punta su di me, inizia a ridacchiare lanciando pacche sulle spalle dei suoi amici palestrati. Si sta avvicinando al mio banco, come sempre.

"Hey, dolce Madison, anche oggi sola, vedo."

Abbasso lo sguardo. Posso mantenerlo con tutti, almeno credo, ma non con lui. Faccio per dire qualcosa, neanche penso a cosa di preciso, ma non mi lascia iniziare. Mi posa un dito sulle labbra per farmi intendere di stare zitta, poi mi afferra la mandibola con forza, facendomi puntare gli occhi nei suoi.

"Shh, non dire nulla. Rimarrai sola, lo sei sempre stata e lo rimarrai per sempre."

**

Mi alzo per sgranchirmi le gambe e mi dirigo verso il distributore di bibite. È ricreazione e tutti stanno insieme ai propri amici, poi ci sono io, che esco in cortile e mi siedo sotto un albero, con la schiena appoggiata alla corteccia, sola.

"BEER! OGGI NON SEI IN BAGNO A TAGLIARTI?" urla Dylan in lontananza, facendo ridere l'intera scuola. Una lacrima scappa. Ma solo una. Le fermo subito.

Questa cosa va avanti da anni. Precisamente dalla prima media. Sono sempre stata timida, e non avevo molti amici, e c'era sempre il bulletto che mi prendeva in giro. Poi qualcosa è cambiato all'inizio del liceo. Non so cosa gira nella testa delle persone, non ho la piu pallida idea del motivo per cui sono vittima di bullismo. Sia chiaro, non è mai stato bullismo fisico. Sempre psicologico. Probabilmente hanno capito che fanno più male le parole di un calcio. Il segno del calcio guarisce. L'impronta delle parole della mente non va via. Come le impronte dello scarpone del primo uomo sulla Luna. Sono ancora lì.

Ora sono al terzo anno di liceo. Quasi sei anni. Sei anni che convivo con questo problema. Nessuno lo sa. Nessuno.
La campanella suona. Mi alzo per tornare in classe, ma non guarando dove metto i piedi, vado a sbattere contro Paige Hood.

"I casi sono tre: o hai gli occhi pieni delle lacrime che ti offuscano la vista, o sei cieca, oppure stai pensando a quanto ti rendiamo la vita una merda. In tutti e tre i casi, sarei felice."

E se ne va. Mi trattengo per l'ultima volta. Alla quarta, scoppio a piangere. Non me ne frega un cazzo. Ogni fottuto giorno dell'anno è così, per sei anni, facciamoci un calcolino.

Le ore passano. Suona la campanella. Vado verso l'armadietto per prendere i miei libri. Li ripongo in borsa e faccio per tornarmene a casa da questo inferno, ma qualcuno mi rovescia un secchio di acqua gelida addosso.

"Spero che l'acqua stimoli la tua mente all'idea del suicidio." mi offende pesantemente Carter. Era il mio migliore amico, una volta, tanto tempo fa. Colui che mi faceva sorridere semplicemente ridendo, o facendo una di quelle sue solite battutacce squallide. Quasi sette anni fa. Le lacrime a questo punto iniziano a scendere, e non voglio fermarle.

Inizio a correre sentendo le risate di tutti, e non mi fermo anche se sono fuori da scuola. Corro fino a casa, entro sbattendo la porta dietro di me e salgo le scale correndo. Sento Jack richiamarmi, preoccupatissimo, ma adesso non mi frega di niente e nessuno. Mi chiudo in camera, mi cambio velocemente e mi butto sul letto, piangendo ancora. Decido di postare una foto su Twitter della mia faccia, non per vantarmi di piangere come le altre ragazze per un unghia rotta, ma semplicemente perché su quel social posso essere me stessa. Sento che lì, i miei follower sono come degli amici virtuali con quali posso confidarmi, loro non mi giudicano. Conosco veramente pochi di loro, circa una ventina su un milione, ma non mi importa. Loro ci sono.

MadisonBeer: “È incredibile quanto una persona possa stare male per delle parole

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MadisonBeer: “È incredibile quanto una persona possa stare male per delle parole. È quello che accade a me. Non ho paura di ammetterlo.”

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