The Kiss, The Caos

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Joris stava provando a concentrarsi sui libri da ormai una buona mezz'ora. Ma da quando Nathaniel lo aveva raggiunto, per giunta di corsa, la sua attenzione era andata persa. Provava a rileggere più volte la stessa frase per non perdere il filo del discorso, ma la presenza agitata dell'altro non gli permetteva di farlo. "Non mi hai degnato nemmeno di uno sguardo da quando sono arrivato..." si lamentò e il moro immaginò che avesse un delizioso broncio sul volto. Avrebbe davvero voluto voltarsi per sorridergli, ma quello sarebbe significato mettere da parte i libri e perdersi un po' nei ricordi di quella notte.

Per fortuna del temporale non c'era più nessuna traccia, ed il sole era tornato a splendere su Santa Monica, più impetuoso che mai. Essersi svegliato con lui, stretto sullo scomodo lettino dell'infermeria, dentro la quale lo aveva trascinato per stare più comodi, era stato strano ma bello. Aveva sentito tutti i muscoli intorpiditi per via delle carezze lascive che si erano fatti, le labbra stendersi in un sorriso imbarazzato e gli occhi lucidi riempirsi di sentimenti inqualificabili.

"Sto cercando di studiare" si giustificò mordicchiandosi le labbra. Guardò di sfuggita le onde del mare poggiarsi leggiadre sulla sabbia, bagnandola e rendendola più fragile, cercando di non rivedersi in quella stupida metafora. Sentiva di essersi fatto travolgere dall'onda anomala che era Nathaniel, di essersi rammollito sotto alle sue mani, alle sue cure, all'amore che aveva sentito nascere quando si erano stretti e si erano donati del reciproco piacere. "No, mi stai evitando. E' diverso!" sbuffò e tornò a sedersi al suo fianco, evitando di punzecchiarlo ancora.

Quando il ballerino quella mattina si era svegliato avvinghiato alla sua vita aveva creduto di morire. Non aveva mai visto niente di più piacevole che quel ragazzino addormentato con le labbra schiuse ed i capelli sulla fronte, sparpagliati e più neri che mai. C' era stato un momento in cui aveva pensato di svegliarlo per potersi beare della tempesta dei suoi occhi grigi, ma quando l'aveva guardato meglio aveva deciso di restarsene ancora un po' a sentirlo respirare e russare leggero. Sembrava pacifico, tranquillo, tutto il contrario di quello che dava a vedere quando era vigile e sempre sull'attenti. Ma quella mattina non poté impedirsi ad un sorriso di nascere, perché il ragazzo aveva abbassato le difese per quella notte e si era lasciato amare. Aveva sentito il cuore stringersi al sentirgli uscire dalle labbra quelle parole tremende. L'immagine di un piccolo tredicenne come lui, sparato e sanguinante al pavimento lo aveva torturato a lungo. E adesso il pensiero di lasciarlo da solo faceva molto più male; non voleva più farlo.

"Non è vero Nathaniel" si lamentò a quel punto, voltandosi per la prima a guardarlo da quando era arrivato. Il riccio sorrise furbo e si mordicchiò le labbra. Non si era mai sentito così con qualcuno come con lui. Non lo aveva capito subito, si era incazzato molte volte, lo aveva esasperato, ma mai nessuno gli aveva permesso di provare tutto quello che stava traboccando dal suo cuore in quel momento. Era stupendo con gli occhi un po' lucidi e le guanciotte arrossate per il pungente sole, che gli aveva dipinto anche il naso. Il pallore per un po' sparì dalla sua vista, lasciandogli ammirare un ragazzino dai capelli neri come tanti altri, come se non avesse più nessun dolore dentro. "Mi distrai..." borbottò accusandolo, ma senza essere duro.

Nate rise e strisciò più vicino, gattonando e fregandosene di sporcarsi. Quella mattina era corso via troppo presto per un servizio fotografico con Sebastian - che aveva subito notato l'occhio lucido e le labbra tumide, iniziando a torchiarlo senza successo - e non aveva potuto salutarlo per come si deve, lasciandolo fuggire a casa per darsi una sistemata e andare a scuola.

Si sentiva terribilmente strano, come se fosse in diritto di pretendere da lui l'attenzione meritata. Dopo aver fatto l'amore si era arrogato da solo il diritto di poterlo baciare, avere, di poterlo accarezzare e circuire per come meglio credeva. Aveva perso la testa per lui e non era certo di poter accettare un suo rifiuto senza impazzire. Ne aveva paura. Quando Joris aveva lasciato il loro rifugio di una notte intensa, immediatamente era stato assalito dal panico, chiedendosi come si sarebbe comportato da quel momento in poi. Aveva il terrore di vederlo innalzare nuovamente le sue stupide barriere, di vederlo scappare e nascondersi ai suoi occhi; era impaurito dal suo essere schivo e chiuso, impaurito da quel terreno arido che era certo di aver bagnato un po'.

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