Continuo Capitolo 22.

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<Leyla, ascoltami...>
Si alzò in piedi insieme a me seguendomi a ruota.
<...non fare il mio stesso errore, Trouble, non tenerti tutto dentro.  Se Jerry non é in grado di farlo, io sono sicuro che posso!>
Mi disse senza distogliere lo sguardo da me.
Le sue parole erano vere e sincere lo sentivo, ma Arthur non avrebbe mai potuto immaginare che vita facessi.
Lui era abituato ad avere le cose senza un minimo sforzo, sborsando soldi, anche per risolvere un piccolo problema.
Io mi facevo il culo per portare avanti dignitosamente quello schifo di vita che conducevo.
La mia unica priorità era Billy ed il mio unico obbiettivo era renderlo felice.
<Esattamente, Arthur, cosa vuoi che ti dica?! È complicato, la mia cazzo di vita é complicata!>
Mi tirai i capelli all'indietro, lasciando una mano in testa massaggiandomi il cuoio capelluto.
Pensare a tutti i problemi che avevo in sospeso, mi faceva perdere la ragione.

<Complicata? Andiamo... Cosa può esserci di complicato nel lusso sfrenato che ti da sicuramente Jerry, nelle serate sul palco e nella folla che ti acclama, come appunto é successo ieri sera, sii realista piccola!>

Lusso? Serate? Popolarità?
Avevo finto per bene la mia parte, tanto da far cascare anche Mr. Lewis nella mia fitta rete di bugie.
Scoppiai a ridere, una risata isterica, una risata piena di tristezza.
Ogni santo giorno lo passavo cercando di incollare i cocci della mia vita, ormai spaccata in mille pezzi.
Era per me impossibile cercare di mettere tutto apposto, avevo dei vuoti nel mio cuore che non mi permettevano di fare chiarezza e di andare avanti.

<Capo, mi sa che il tuo é un errore di valutazione...
Io vengo dalla periferia di New York ed abito in uno squallido monolocale al quinto piano di un palazzo senza ascensore.
Jerry mi doveva un favore, per questo sono qui.
Non é tutto oro quel che luccica !>

Mi stupiva il fatto che un manipolatore e maniaco del controllo come lui non avesse fatto delle ricerche su di me.
Doveva fidarsi veramente tanto di Jerry.
Nell'udire quelle parole Arthur dovette pensare esattamente la stessa cosa che pensai io.
Si sentiva sicuramente uno stupido, un superficiale ed un idiota.
Ma d'altronde come poteva immaginare che io fossi una poveraccia.
<<Sai che quasi quasi non ci credo...>>
Disse risiedendosi sul letto ed appoggiando i gomiti sulle ginocchia, guardandomi dal basso verso l'alto.
Era stravolto.
Io scossi la testa, sapevo che non ci avrebbe creduto, uno come lui non poteva nemmeno lontanamente cercare d'immaginare una realtà come la mia.
Come mi era saltato in mente di raccontargli tutto.

<Bene, anzi meglio così...
Che cazzo ne sai tu della fame Mr. Lewis? Che ne sai della responsabilità di portare avanti una famiglia?!
Che ne sai tu di non riuscire a dormire la notte per la paura di non riuscire a pagare i debiti?!
Sai che ti dico, meglio se non ci credi...>
Ero frustrata, incattivita ed umiliata.
Non sapevo precisamente perché mi sentissi così arrabbiata, ma in quel momento gli avrei spaccato la faccia.
Se avessi avuto i suoi soldi, se fossi stata viziata, non sarei mai andata da lui ad elemosinare 45.000 dollari.
Chissà cosa cazzo aveva creduto, che forse ero la mantenuta di Jerry?!

<<E tu... Che ne sai cosa significa scoprire che sei nato figlio di puttana nel vero senso della parola e che devi parte della tua fortuna a quella scopata che tua madre si è fatta con un fottutissimo vecchio miliardario...
Sai cosa, piccola Trouble, non so se sarebbe stato meglio continuare a soffrire la fame in quella maledetta fattoria o stare qui, avere tutto ma restare qui dentro, arido...>>
Si posò una mano in mezzo al petto, guardandomi fisso negli occhi.
Quelle parole aprirono in me una voragine profonda, che mai nella vita ero riuscita a colmare.
Mia madre era l'interrogativo che affliggeva la mia mente ogni giorno.
Anche io ero una figlia di puttana, la mia era una di quelle che puntava ai suoi interessi, senza pensare alle conseguenze dei suoi errori.
Io non sapevo nemmeno se l'uomo del quale io portavo il cognome, era mio padre e questo mi destabilizzava, facendomi sentire inadeguata, sporca senza averne colpa.
Ma in quel momento, senza veli, non sentii il bisogno di nascondermi.
Arthur era il mio riflesso.

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