Capitolo 24. Buon Compleanno.

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Ritornai all'interno correndo, cercai con tutta me stessa di prendere l'ascensore, ma vidi le porte chiudersi, mentre la donna premeva distrattamente un bottone.
"Ok devo correre..."
Presi le scale, era praticamente impossibile arrivare all'ultimo piano a piedi. Al quinto avevo la lingua di fuori e un fiatone pesantissimo. Dovevo decisamente smettere di fumare.
Presa dallo sconforto più totale, mi venne una brillante idea.
Avrei preso l'ascensore di servizio, quella per il personale.
Quella lì per far si che andasse in funzione aveva bisogno di una chiave che l'azionasse, che solo una delle cameriere sud americane possedeva.
Quello era orario di pulizia e proprio su quel piano c'era una di loro.
Iniziai a Frugare sul carrello della biancheria, niente nessuna chiave e poi da lontano la vidi, penzolante dalla tasca della colombiana che distrattamente cantava in spagnolo, mentre spazzava a terra.
Trascinò il carrello vicino all'ascensore, inserì la chiave e le porte si aprirono.
Non si era nemmeno accorta della mia presenza tanto che era intenta a muovere quel sedere enorme a ritmo di musica, che stava ascoltando dagli auricolari bianchi che aveva alle orecchie.
<Mi scusi signora devo entrare!>
Dissi agitata mentre cercai invano d'inserirmi.
<No, no puedes. Esto es por el personal...>
Disse rigida la cameriera che subito ritornò alla realtà, agitando in aria una mano mentre con l'altra reggeva la scopa.
Quell'aria minacciosa non mi fece barcollare e senza tirarmi indietro, replicai
<E io devo. Mi dispiace...>
Entrai con forza spingendo il carrello dentro in modo da allontanarla.
Dovevo fare presto, il mio obbiettivo era avvertire Arthur prima che Veronica entrasse nell'ufficio.
<He dicho que no puedes!!>
La donna lo spinse ancora una volta, ma con molta più forza, che quasi persi l'equilibrio.
<E va bene, volevo essere gentile, ma lei sembra non capire!!>
Presa dalla foga, scostai la giacca di pelle dai polsi e posai con forza le mani su quel maledetto coso trascinandolo fuori dall'ascensore e con esso la cameriera che sembrò scioccata e senza neppure la capacità di replicare indetreggiò.
Scattai in avanti ed entrai, prima che lei potesse riavvicinarsi.
<Adios cabrona!>
La salutai con la mano, mentre le porte si chiudevano.
Bastarono pochi secondi e mi ritrovai all'ultimo piano.
Veronica era lì fuori la porta a battente di pelle nera e con lei c'era Ramon.
Iniziai a correre, stavo quasi per raggiungerli, quando la maestrosa donna scomparve dietro di essa, lasciandosi alle spalle il nano bastardo che le lanciava occhiatacce lascive.
<Che cazzo fai la lasci entrare?>
Gli dissi col fiatone, mentre mi poggiavo con le spalle al muro, per cercare di ossigenare di nuovo i polmoni .
<Certo, era questo che lui aspettava...>
Rispose lui incredulo, cercando di capire il perché di tutta quella moina.
<Capisci che lui non era mentalmente pronto a questa cosa?>
<Arthur l'ha lasciata entrare...
Era tutto seri, per un attimo ho avuto paura per quella donna, poi mi sono tranquillizzato.>

Mi misi dritta, di certo non erano affari miei, ma quella frase mi colpì così tanto da lasciarmi senza parole.
Sicuramente Arthur gliel'avrebbe fatta pagare a quella lì, sicuramente gliene avrebbe cantate di santa ragione.
Presa dalla curiosità e dalla voglia di saperne di più mi avvicinai alla porta con la speranza di riuscire ad origliare e a capire cosa si stavano dicendo.
Dopo qualche secondo vidi il nano eccitato fare lo stesso, ma niente, non riuscivo a sentire niente.
<Senti qualcosa tu?>
Bisbigliai all'orecchio di Ramon con la speranza che lui sapesse come fare a capirci di più.
<Nulla... anzi no, aspetta... le ha detto:
"GUARDAMI, COME IN TRIBUNALE!">
Mimò il nano, imitando la voce possente e autoritaria del suo capo.
La nostra attenzione era completamente rivolta a quella conversazione, quando dei forti rumori provenienti dalla stanza ci fecero sobbalzare a tal punto da farci allontanare.
<Che sta succedendo adesso?!>
Domandai spaventata posandomi una mano sul petto, mentre il piccoletto sembrò restare tranquillo.
<Aaah finalmente hanno fatto pace...>
Lo guardai stranita, come una sciocca bambina che non riesce a comprendere, poi afferrai il suo stupido doppio senso.
Mi allontanai di scatto, rossa in viso per l'imbarazzo e corsi in direzione della mia stanza, lasciandomi quel maniaco alle spalle, ancora intento ad origliare.

Quando tornai nella suite, tutto era in ordine e pulito, tranne che per la moquette ancora macchiata del mio sangue e per qualche danno che avevo lasciato alle pareti.
C'erano ancora cose da sistemare, ma tutto sommato stava riprendendo di nuovo l'aspetto della stanza che avevo visto pochi giorni fa.
Nella mia testa quell'immagine mi fece capire il senso di tutto quello che mi era successo.
La vita mi stava mostrando davanti agli occhi una grossa metafora, in cui io rappresentavo il cambiamento e la svolta per tutte le persone che incontravo sul mio cammino.
Una svolta che mi avrebbe lasciata ancora una volta al margine, come una cosa messa da parte priva d'importanza.
Tutto stava riprendendo il suo equilibrio e quel trambusto sarebbe servito solo a darmi l'ulteriore conferma della mia precarietà.
Gettai sul letto il giubbino di pelle che mi feci scivolare velocemente dalle spalle e spedita mi diressi nel bagno.
Mancavano pochi minuti e sarebbero iniziate le prove per la serata.
L' abito di scena era sorprendente, proprio come lo avevo rischiesto, rosso, stretto, luccicante. Proprio adatto alla sera di natale e al tema che avevo scelto.
Mi diedi una risistemata veloce al make up ed in pochi attimi lasciai di nuovo la stanza.
Ramon era sparito non era più inginocchiato e schiacciato al muro cercando di godersi ogni rumore ed ogni parola ansimante dei due amanti passionali.
Passai davanti alla porta di pelle nera e con la coda dell'occhio mi soffermai a guardarla.
Sicuramente Arthur sarebbe stato in compagnia di Veronica quella sera, la donna che aveva soggiogato per sempre il grande ed il potente Lewis.
Che poi a dirla tutta in quella circostanza non sembrava nemmeno che.mi somigliasse così tanto, come poche ore prima mi ero convinta che lo fosse.
Solo a pensare di perdonare Michael dopo tutta la mia sofferenza, mi si ribolliva il sangue nelle vene.
L'amore era altro per me.
L'amore significava restare, nonostante i guai, nonostante i problemi, nonostante tutto.
L'ascensore finalmente si aprì.
Dentro un giovane cameriere biondo dagli occhi color nocciola e i lineamenti perfetti, mi guardò.
Tra le mani aveva un mazzo di fiori coloratissimi, uno di quelli che quando li guardi resti senza parole.
<Mi scusi lei è Leyla Jane Hallen?>
Quella domanda sembrò quasi scivolargli dalle labbra, come una delle più armoniche melodie mai esistite al mondo.
<Si, sono io...>
<Questi sono per lei... buon compleanno!!>
Rimasi immobile.
Per un attimo avrei sperato che il mio regalo di compleanno oltre i fiori fosse lui.
Sarei stata sicuramente più che benone in compagnia di quel bel biondino dalle labbra ciliegia e il fisico mozzafiato.
Ma chi mi mandava dei fiori?
Entrai nell'ascensore e guardai il biglietto.
"Per la mia bella Leyla, il mio 'guaio' preferito.
Buon Compleanno, piccola.
Jerry."

Un sorriso spuntò sul mio viso.
Mai nessuno si era ricordato del mio compleanno, mai nessuno aveva avuto così tanta premura nei miei confronti.
Il cuore mi scoppiò in petto dalla gioia.
Non so cos'era, ma in un certo senso ero riconoscente a quell'uomo, gli volevo bene e mi sentivo legata a lui, anche se non avevo nessun motivo per esserlo.
Per un attimo pensai anche che avrei potuto innamorarmi di lui. Dopotutto era un bel uomo, affascinate, ma decisamente troppo vecchio.
Le porte si aprirono e mi riportarono alla reale,così frettolosamente e un po' impacciata uscii.
<Ehm, ci si vede... Thomas...>
Salutai il cameriere leggendo il suo nome sulla targhetta di metallo attaccata al centro del petto.
Lui mi guardò intontito, alzò un angolo della bocca e senza distogliere lo sguardo dai miei occhi ricambiò il saluto.
<È stato un piacere Leyla...>
Le porte si richiusero e il ragazzo dai lineamenti perfetti e gli occhi nocciola scomparve dietro di esse.

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