Capitolo 34. Nei guai.

411 53 17
                                    

Dopo altri due giorni immersi nella mia solitudine, mi ero abituata alla mia nuova vita.
L'infermiera mi aveva convocato nella sala comune: avevo una visita.
Uscii dalla stanza e strusciando i piedi per terra mi avviai annoiata.
Aprii la porta di legno bianca e vidi seduto al tavolo Jerry in compagnia di un uomo, che non avevo mai visto, ma immaginavo che fosse il mio avvocato.
Mi arrotolai le maniche della casacca arancio a metà braccio, i riscaldamenti erano davvero molto alti.
I miei lunghi capelli erano raccolti in una coda alta e senza un filo di trucco sembravo una morta vivente.
Appena mi vide Jerry si alzò di scatto, era sconvolto, stravolto dal mio aspetto.
<Leyla!>
Disse duro, confuso, come se non sapesse cosa dire, come se volesse accertarsi che fossi davvero io.
<Ciao.>
Lo salutai con un filo di voce, mi accomodai  sulla sedia di fronte a lui e quando fui finalmente seduta, lui fece lo stesso.
Ci guardammo, stavamo comunicando con gli occhi e nessuno dei due riusciva a dire nulla.
Per fortuna Billy non era con lui, gli avrei chiesto di non portarlo. Non volevo che mi vedesse in quello stato.
<Ti ho portato le sigarette e qualche cosa da mangiare. Ti serve altro?>
<Si, una spazzola.>
Non so perché tra tante cose che avrei potuto chiedere chiesi una spazzola.
Avrei potuto chiedere un riproduttore musicale, un libro, una rivista. Avrei potuto chiedergli di uscire, ma non lo feci.
MI mancava prendermi cura di me stessa e il primo passo verso la guarigione mi sembrava quello di smettere di trascurarmi.
Stavo convincendo me stessa di avere realmente bisogno d'aiuto.
<Te la porto domani.>
Cercò di ricuorarmi, mi avrebbe portato anche la luna.

Altro silenzio. Non sapevo cosa dirgli stavo male e si vedeva senza alcun bisogno di spiegazioni.
<Billy, sta bene. Ancora un po' scosso, ma ti giuro che farò del mio meglio per non fargli mancare nulla.>
Spostò l'argomento su qualcosa che mi sarebbe davvero interessato.
<Grazie Jerry. Non voglio che lo porti qui.>
Pronunciai quella frase tutta d'un fiato, come se mi mancasse l'aria.
<Mi ha minacciato Trouble.>
Scoppiai a ridere. Il suono delle mie risate vuote, senza allegria, rimbombò in quella stanza  e tutti si girarono a guardarmi.
<Jerry Blanco il malavitoso più pericoloso di tutta New York, si fa minacciare da un moccioso di nove anni.>
Il mio tono sarcastico venne fuori. Volevo sdrammatizzare la situazione, ma il vecchio Blanco non riusciva proprio a togliersi dalla faccia quel espressione preoccupata.
<Sa essere davvero un diavolo quel bambino.>
<È il mio sangue Jerry.>
Risposi come se stessi dicendo un ovvietà, indicando con un gesto teatrale il cuore al centro del petto.
<Inventa una balla. Digli che i ragazzini non possono entrare nel mio reparto. Digli che lo amo e che se vuole può scrivermi, io gli risponderò.>
D'un tratto mi sentii fragile e gli occhi mi bruciavano. Volevo piangere ma trattenni le lacrime.
Abbassai la testa e tornai a guardarmi le mani.
Il mio tono tornò serio.
<C'è un pianoforte, hai provato a suonarlo?> cercò di cambiare argomento accorgendosi del dolore che provavo quando pensavo al mio fratellino.
<È chiuso a chiave e poi Sophie non mi lascerebbe suonarlo.>

<Chi é Sophie?>
L'indicai alle mie spalle e lui si sporse a guardare la ragazzina, che aveva più o meno quattordici anni, seduta al piano.
Lunghi riccioli dorati scendevano sul suo viso pallido dalle gote rosse.
Gli occhi grigi fissi sul piano e le mani poggiate sul suo grembo.
Sembrava persa in un sogno, nel suo mondo. Non si muoveva, ogni tanto sbatteva le palpebre e poi ritornava a fissare il vuoto.
<Se vuoi posso provare a chiedere le chiavi o te ne faccio portare uno in camera.>
Stava esagerando, non volevo essere una privilegiata.
<Lascia stare.>
Risposi seccata continuando a guardare Sophie.
Era terribile quello che aveva passato, riuscivo a sentire il suo dolore, la sua frustrazione.
Jerry si alzò e si diresse da un'infermiera capii solo in quel momento che aveva richiesto le chiavi.
Testa dura. Pensai, ero ostinata quanto lui era incredibile quanto fossimo simili caratterialmente.
Si avvicinò alla ragazza in trance e lo aprì.
Lei sembrò non accorgesene, non mosse un dito, non girò lo sguardo, nulla.
Accennò solo un sorriso.
Molti pazienti si avvicinarono incuriositi, io feci lo stesso e mi sedetti al suo fianco.
Posai le mie mani sulla testiera e quel contatto accese in me una scintilla, che piano piano divampò in un incendio.
Suonai le prime note di Clair de lune, fu allora che notai nello sguardo della piccola una luce diversa.
Continuai a suonare fin quando non accennò un altro sorriso, questa volta più intenso. Dentro di me sapevo che quella melodia avrebbe potuto riportarla alla realtà.
Suonavo col cuore ed iniziavo a risentirlo vivo, ardente, pieno di speranza.
Mi lasciai trasportare chiusi gli occhi, stavo volando.
Volavo raggiungevo il cielo, le nuvole. Volavo verso l'orizzonte, verso posti inesplorati, verso il mare.
E poi davanti agli occhi l'immagine di Sam che si buttava dal terrazzo di un palazzo.
Sangue ovunque.
Smisi di suonare bruscamente sbagliando una nota.
Mi catapultai di nuovo nella realtà una realtà triste, senza gioia.
Sophie s'incupì di nuovo, iniziò ad urlare.
Jarry corse verso di me per trascinarmi via,mi prese in braccio mentre la disperata  Sophie inveiva contro il piano che strimpellava sotto i suoi colpi bruschi.
Il cuore si riempì di tristezza, l'ansia mi soffocava, abbracciai forte Jerry e cominciai a piangere.
La ragazza fu sedata all'istante e si accasciò a terra impaurita e sola. Tremava tutta sembrava essere attreversata da scosse che le provocavano dolori terribili.
Poi si acquietò e fu trascinata in camera sua da un gruppo di infermiere.
Tutti i pazienti sembravano essere irrequieti dopo quel episodio, ognuno di loro ebbe una reazione strana e violenta.
Il piano fu chiuso all'istante e furono distribuiti a tutti dei farmaci, me compresa.
Mi abbandonai tra le braccia di Jerry che mi coccolava seduto su una poltrona ed io sulle sue gambe.
Ero sconvolta, per quello che era successo, per il mio sogno ad occhi aperti.
<Bambina mia come ti sei ridotta.>
Mi sussurò disperato in un orecchio.
In quel momento capii quanto dolore stesse provando quel uomo.
L'uomo che avevo sempre amato e che adesso era lì che mi mi stringeva forte.
Mio padre.

Trouble.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora