My dearest Sherlock

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UN MESE PRIMA...


- Signora Hudson! Perché quest'uomo è nel mio salotto? -

- Lascia perdere Sherlock, sarei comunque entrato. - Mycroft si era accuratamente seduto sulla mia poltrona, le gambe accavallate e il portamento regale che lo distingue da sempre. Si sta spolverando via qualcosa dal vestito, qualcosa che non c'è, ma il suo essere così precisino lo porta a fare cose di cui nemmeno si accorge.

- Che cosa vuoi? - Gli chiedo mentre sistemo la mia vestaglia blu con un'alzata di spalle.

- Non rispondi ai miei messaggi, non sei rintracciabile nemmeno dall'ispettore Lestrade. - Mi guarda con quello sguardo severo che solo lui sa rivolgermi, mentre incrocia le dita delle mani fra di loro. Io sbuffo sonoramente e recupero il pacchetto di sigarette nascosto sotto al teschio, quello che non ho mai spostato da sopra il camino.

Già, John le nascondeva sempre lì sotto.

- Voglio stare da solo. - Mi metto seduto sulla poltrona. La sua. Per un attimo rimango immobile a stringere con le dita i braccioli, affondandole nella pelle. Non mi ci ero mai seduto da quando è stato scaraventato nel passato. Riesco a vederlo mentre si mette comodo col suo giornale e con la tazza di tè in mano, concentrato sulla prima pagina del quotidiano. Deglutisco rumorosamente e porto la sigaretta alle labbra con lo sguardo perso sul pavimento. Percepisco l'espressione contrariata di mio fratello sul fatto che fumassi contro la sua volontà, ma mi concede di stare zitto e non controbattere.

- Segui dei casi? -

- Mycroft. - Dico poco prima di sbuffare il fumo dalla bocca. - Non costringermi a spingerti fuori. - Si alza dalla mia poltrona, reggendo il manico del suo ombrello con la mano destra. Si aggira un attimo per la stanza, poi con lo stesso manico scosta la tendina della finestra e si sporge con la testa per sbirciare.

- A quanto pare qualcuno vorrebbe parlarti. - So di chi sta parlando. Il Dottore è ancora lì, fissa la mia finestra in continuazione. Lo fa sempre, per dei minuti interminabili.

- Tutti vogliono parlarmi ma nessuno ha ancora capito che voglio essere lasciato in pace. - Mormoro con voce impastata dal fastidio che sto provando da quando è entrato nell'appartamento. La sigaretta incastrata fra le labbra e lo sguardo perso a fissare il vuoto.

- Ti conosco abbastanza bene da capire che c'è qualcosa che non va. - Non rispondo e mi limito a sbuffare fuori altre nuvolette di fumo che vanno a disperdersi nel salotto. - Il dottor Watson è davvero andato dalla sorella, Sherlock? -

No, Mycroft, non osare.

- Ho controllato, fratellino. Sai che posso controllare anche gli spostamenti delle persone e non risulta che John sia partito. -

Non osare.

- John non è partito. Dov'è, allora? -

- Vattene. - L'ho detto con un tono rabbioso, dalla mia bocca esce il disprezzo, l'odio, la paura, la solitudine, la mancanza. Tutto ciò che ho provato in questo mese è uscito fuori con quell'unica parola, e a Mycroft il messaggio è arrivato forte e chiaro. Si è infatti raddrizzato sulla schiena e a passo lento si è avviato verso la porta. Non è uscito, però, si è girato per guardarmi un'ultima volta.

- Sherlock, per qualunque cosa io... - Non gli ho comunque dato il tempo di finire la frase. Mi sono alzato di tutta fretta e l'ho spinto fuori con entrambe le mani, poi ho chiuso la porta e mi ci sono poggiato contro con le spalle. Mycroft è ancora lì dietro. Lo sento sospirare, probabilmente si è sistemato la giacca con accuratezza, poi i suoi passi lungo le scale si fanno sempre meno udibili.

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