Where do I even start?

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Capitolo 1: Where do I even start?

Beacon Hills.
Stiles se l'era immaginata proprio così.
Piena di verde, con villette, un solo centro commerciale... sì, era proprio diversa.
Diversa da New York, diversa da ogni grande città che avesse visto, anche solo in foto. Persino gli odori erano diversi.
Accidenti, nemmeno sapeva che i bar potessero emanare un odore così forte di brioche calde da fargli venire l'acquolina in bocca prima ancora di aver visto o assaggiato qualcosa.

Beacon Hills era anche silenziosa.
Poche auto e pochi mezzi pubblici, esisteva anche una riserva che Stiles era convinto si trovassero solo in zone specifiche e ben protette.

In una parola, stentava a credere che suo padre - l'uomo degli hamburger e degli hot dog, che svolgeva il suo lavoro di semplice poliziotto della grande mela - fosse nato e cresciuto qui, in mezzo al nulla.

E, cosa ancora più sconcertante, che ci fosse tornato per rimpiazzare il vecchio sceriffo andato in pensione.
D'altronde, il medico era stato chiaro: vita sana, poco stress e aria pulita, se non voleva rischiare un infarto.
Suo padre aveva accettato il cambiamento ad una sola condizione: avrebbe dovuto accettare di trasferirsi a Beacon Hills.
Non ne aveva voluto sapere di altre città, aveva reso chiara l'idea, se doveva cambiare vita tanto valeva tornare nel paese che l'aveva visto nascere.

Stiles non capiva la sua ostinazione.
Prima del quasi infarto - che aveva provocato un quasi infarto a Stiles - suo padre non l'aveva mai nominato né ci erano mai andati in vacanza.

Era tutto strano e tutto nuovo, perciò suo padre non fu sorpreso di vederlo mangiarsi le unghie e battere velocemente il piede per terra, dentro l'auto di servizio, mentre osservava l'ingresso del liceo.
"Stai iperventilando." Gli disse, trattenendo una risata.

"Mh-mh."

"Sai già quello che devi fare, vero?"

"Mh-mh."

"Stiles!" Il padre lo richiamó, costringendo Stiles a guardarlo e il suo volto era così autoritario da convincerlo a smettere di muovere il piede e togliere le dita dalla bocca, mascherando l'agitazione.
"Allora?" Lo incitó, sperando che il figlio non gli rifilasse una delle sue solite battute per sdrammatizzare.

"Allora...".cominciò Stiles, strofinando le mani sulle gambe. "... devo cercare di non fare casini, studiare e prendere bei voti."

"E farti nuovo amici."

"Sì, forse."
Per Stiles non era importante né urgente fare nuove amicizie, almeno per il momento.
Voleva prima capire che genere di ragazzi vivessero in un posto del genere, di cosa parlassero e cosa facessero nel tempo libero.
Solo allora, si sarebbe fatto avanti.

Salutò il padre con un cenno della mano, aprì la portiera e si affrettó ad uscire quando sentì la campanella.
"Ah, Stiles!"

Si girò controvoglia all'ennesimo richiamo del padre, ancora agitato per la lunga giornata che lo aspettava. "Sì, pà?"

Vide suo padre fare una piccola smorfia saccente. "Prova a non litigare da subito con il professore di chimica."

Quella frase lo fece sorridere.
Nella scuola che frequentava a New York aveva avuto una marea di richiami, e tutti dal professore di chimica, e l'idea che il padre sapesse che il problema non era la materia ma il professore lo rassicurava e lo divertiva al tempo stesso.
"Sai che farò del mio meglio."
E, con un ultimo cenno della mano, si avviò verso le scale del liceo di Beacon Hills.

Il difficile non era stato entrare in classe, presentarsi o seguire le lezioni sperando di essere al pari con gli altri, no.
Il difficile era stato entrare in mensa.
Quello era il vero inferno.
Tutti, ma proprio tutti, si erano girati a guardarlo nel momento in cui l'avevano visto entrare, parlottando e ridendo sotto i baffi e Stiles non ci pensò su due volte prima di decidere di scappare.
Sì, doveva andarsene al più presto da lì, si sentiva soffocare sotto l'attenzione di tutti quegli occhi.

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