VI

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Camminavano lentamente, in silenzio, accucciati sui loro cavalli per non farsi scorgere dalla moltitudine di persone che ogni giorno passava per quel bosco pieno di insidie e pericoli, dove non sarebbe stato affatto facile proseguire tra viuzze e stradine secondarie senza perdersi o inoltrarsi verso una direzione errata. Le due donne si limitavano a seguire Varg senza fiatare, spaventate dai sinistri rumori che le circondavano: con i loro versi, gli insetti riempivano il silenzio che li avvolgeva e il vento tra le foglie e i tronchi vuoti produceva uno strano e inquietante sibilo. Varg conosceva abbastanza bene quel posto da sapere che perdersi lì costituiva un pericolo reale e non indifferente e, probabilmente, se fosse successo avrebbero rischiato di restare lì per sempre. Certo non era un bosco enorme, ma ricopriva in ogni caso alcuni chilometri quadrati e i tre non avevano alcuna voglia di perdere tempo nel districarsi tra gli infiniti sentieri calcati dal passaggio dei cavalli.


 «Di qua.» disse d'un tratto Varg, cambiando improvvisamente e bruscamente direzione, lasciando sbigottite le due donne che erano con lui.

 «Dove diavolo –»  Lene iniziò la frase, ma non finì mai la domanda che stava per porre all'uomo, nel frattempo lanciatosi al galoppo.
Le due donne si guardarono impaurite, ma Lene tirò le redini del cavallo e scelse di seguire Varg, pur essendo ora abbastanza lontano per determinarne la posizione. La Mater aveva temuto per un istante di essere stata volontariamente abbandonata da quel selvaggio, quel rozzo uomo, che tuttavia sembrava volere nient'altro che la loro protezione. Perché mai avrebbe dovuto avvertirle dell'attacco svedese, altrimenti?

Galopparono su quell'animale stanco e deperito senza sapere cosa stesse succedendo o dove stessero andando, mentre Varg correva con il vento tra i capelli, chinandosi come un fantino in una gara per far accelerare maggiormente il suo cavallo. Ciò che aveva scorto in lontananza era stato abbastanza pericoloso da metterlo in fuga in meno di un istante: non gli era per niente piaciuto vedere otto uomini a cavallo proseguire nella loro direzione. Si sentiva un codardo ad aver lasciato indietro le due, ma non aveva avuto altra scelta. 

Vivere o morire, si era detto.

E lui, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di rischiare la propria pellaccia perdendo tempo a spiegare la situazione. La fuga significava pericolo e il pericolo era sinonimo di guai in arrivo, questo, credeva, era abbastanza chiaro anche a due donne sprovvedute come loro. Poco lontano da quelle, infatti, già si scorgevano in modo più delineato le figure degli otto, armati fino ai denti, dagli abiti logori e dai denti marci. Il capo di quelli, un tale con una pelliccia marrone a brandelli e una veste verde, le inseguiva con il suo purosangue, di certo molto più veloce di quelle specie di muli da soma che i tre si erano ritrovati a cavalcare. Sofya aveva iniziato a singhiozzare, stretta ad un lembo della veste della Mater, rimpiangendo la locanda e il breve periodo che aveva trascorso in quel luogo. Le altre kajirae si comportavano bene con lei, trattandola sempre con rispetto e amore, talvolta anche viziandola, prestandole qualche loro gingillo e acconciandole i lunghi capelli in trecce o boccoli che le conferivano un aspetto davvero regale. Adesso quegli stessi capelli erano sciolti e sporchi di terra, incrostati di fango e sporcizia, desiderosi di un po' d'acqua pulita. Era spaventata, glielo si leggeva in faccia. Sembrava un cucciolo di volpe tutto solo, smarrito, alle prese con il mondo e la vita, fuori dalla tana calda e accogliente in cui viveva fino a poco prima.

Lene non se la passava tanto meglio, ma almeno possedeva un briciolo di esperienza con quella dura realtà e sapeva reagire con prontezza, nonostante i pericoli fossero davvero tanti. In quella confusione di zoccoli, grida e lamenti, tuttavia, le redini le sfuggirono di mano miseramente, come se qualcuno lì su avesse voluto metterla alla prova per chissà quale motivo. La bestia su cui erano, visibilmente imbizzarrita, tornò indietro nella direzione del nemico, che intanto avanzava con estrema rapidità.
  «Fange! Fermo!» iniziò ad urlare all'animale, ma i suoi zoccoli si muovevano, assieme alle zampe agili e veloci, sul terreno accidentato, incuranti dei rimproveri, delle speronate e delle grida della propria padrona che impartivano ordini ben precisi.

Kajira - L'erede delle nevi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora