XVI

1.7K 60 14
                                    

Il paesaggio alberato e piacevolmente soleggiato scorreva davanti ai loro occhi mentre venivano sballottati da ore a destra e a manca in quella cassa di legno ricolma per metà dello stesso materiale. La cassa era stata subito caricata da uomini sconosciuti su di un treno, uno dei pochi che ancora resisteva, ben piantato sui binari incrostati di sporco, così come il resto della carrozza su cui si trovavano. Di tanto in tanto alzavano a turno la testa per guardare fuori e prendere una boccata d'aria, decidendo tuttavia di restare sempre all'interno della loro cassa finché non fossero arrivati a destinazione: non volevano certo rischiare di essere sorpresi a girovagare sulla minuscola vettura ed essere scambiati per ladri o mendicanti ancor prima di aver capito dove fossero.

Nelle loro orecchie risuonavano ancora l'eco del mare appena attraversato, le onde che si infrangevano sulle pareti robuste e resistenti della nave, i lievi sospiri scambiatisi durante quella notte trascorsa assieme, nudi, sullo stesso giaciglio. Era stato un caso unico, isolato, di cui non avevano mai parlato e ancora in quel momento non sembravano affatto intenzionati a farlo. Se ne stavano zitti e buoni, cercando di capire il vero motivo per cui l'uno avesse deciso di partire proprio alla volta della Germania e l'altra avesse deciso di seguirlo, pur non essendo la sua schiava, come lui molte volte si era ostinato a ripetere. 

Nessuna risposta sembrava adatta e in grado di soddisfare quel quesito che, tutto a un tratto, sembrava essere l'unico degno di nota nelle menti dei due. Lo stomaco di entrambi gridava e strepitava a causa della fame, ma erano così tanti giorni che mangiavano così poco e male che ci avevano ormai fatto l'abitudine ed ugualmente avevano fatto per l'odore di selvaggio e fuggiasco che entrambi emanavano. 

Varg se ne stava con il gomito poggiato al lato della cassa, con un mucchio di alberi e desolazione che scorrevano fuori dalla carrozza. La barba gli era cresciuta lunga sul mento, così come la lunghezza dei capelli biondi era aumentata negli ultimi giorni. Era passato dall'essere un benestante signorotto norvegese a, effettivamente, un profugo in cerca di vendetta, assetato di sangue. Erano ormai ore che andava avanti così, non potevano certo restare in quel luogo, nascosti, per tutta la vita, senza uscire fuori a cercare il suo maledetto aguzzino.


Tutto era iniziato quando lui aveva solo quattordici anni: un ragazzino turbolento, curioso, dagli occhi di ghiaccio e dai capelli biondi come il grano, caratteristiche decisamente comuni per il posto dove abitava. Viveva con il padre, da solo, anche se lui era spesso assente per "viaggi d'affari", almeno così li chiamava. La verità era che spariva per giorni, settimane, qualche volta anche mesi e lui era costretto a cavarsela da solo, senza l'aiuto di nessuno, se non quello di Agathe, la custode del posto in cui abitava assieme ad un paio di altre famiglie benestanti come la sua. Non sapeva, a dire il vero, se quella strana coppia che costituiva con il proprio padre si potesse definire famiglia, ma non aveva mai dato peso più di tanto a questa faccenda. Non erano quelle, insomma, le questioni che si affrontavano a quattordici anni, soprattutto in un mondo distrutto dalla guerra e dalla miseria, nonostante lui, personalmente, non avesse problemi dal punto di vista finanziario. Ma il corso degli eventi e il fato avverso non tardarono a mostrare al giovane Varg quale orrenda piega avrebbe preso la sua vita da giovane ed innocente adolescente nel momento in cui, in piedi alla porta, trovò un uomo dal forte accento straniero che portava notizie di suo padre.

«Lei lo conosce? È per caso morto?» chiese il giovane, subito allarmato dalla presenza dell'altro.

Ma non ci fu alcuna risposta: l'uomo lo tramortì con un colpo potente e, per quanto il ragazzo fosse allenato, non ebbe scampo contro la mole massiccia del suo avversario che continuò a colpirlo per un tempo indefinito, lasciandolo a lungo privo di sensi.

Si risvegliò solo molto tempo dopo, in un posto che non conosceva, dove la gente parlava addirittura una lingua diversa dalla sua e lui, sfortunatamente, non riusciva a capire una sola parola di quello che dicevano. Recluso in una cella senza cibo né acqua.

Quanto tempo era passato?

Forse giorni, settimane e non ricordava nulla. Ben presto, tuttavia, comprese l'errore che aveva commesso lasciando entrare l'uomo in casa, quando lo riconobbe come suo carceriere.

Il padre l'aveva visto una volta sola, proprio nel momento in cui aveva aperto gli occhi per la prima volta dopo quel lungo sonno: quello era seduto nella cella di fronte la sua, su una sedia di paglia malandata e sembrava che i suoi occhi non lo vedessero lì, malnutrito, sporco, sangue del suo sangue, come aveva sempre creduto. Ma poi, prima di essere liberato e portato via chissà dove, aveva detto qualcosa che per un po' lo aveva fatto riflettere, qualcosa che ora gli appariva come tremendamente insulso e insipido, una bugia ad effetto per mascherare la pura verità: lo aveva venduto. 
Per giorni e giorni Varg non parlò, non emise un suono, né un gemito, nonostante le numerose percosse e frustate che aveva ricevuto durante la sua permanenza in quel luogo. Non gli facevano domande e lui non rispondeva, non gli offrivano del cibo e lui non mangiava, non beveva, sarebbe presto morto di fame e di stenti se due grandi occhi non lo avessero visto un giorno, per una fortunata coincidenza. 

  «Tu...tu chi sei?» chiese la giovane donna che era apparsa da dietro l'angolo, ma Varg non si mosse dalla posizione in cui era da circa due ore.Era chiaramente una schiava e non parlava la lingua degli altri carcerieri, bensì quella dell'uomo che lo aveva rapito.

   «Io non voglio farti male. Io voglio aiutare.» disse lei, in tono incerto, cercando di spiegarsi tramite gesti, forse capendo le difficoltà del ragazzino che aveva davanti. Quindi prese un tozzo di pane dalle tasche della veste che indossava e lo allungò a lui attraverso le sbarre, conquistando con non poca difficoltà la sua fiducia.


Trascorsero alcuni giorni e, durante questi, numerose percosse, ma di quella lì neanche l'ombra. Varg era ormai ad un passo dalla morte, ma fu proprio lei, la donna, a donargli una seconda vita, una rinascita. Nonostante non capisse neanche una singola parola di quello che lei gli avesse detto, i suoi occhi si illuminarono quando la vide nuovamente svoltare l'angolo, si riempirono di lacrime, ma non ne versò neanche una. Lei si avvicinò e, così vicina, non poté che sembrargli una creatura divina, una sorta di madre premurosa intenzionata ad aiutarlo ad ogni costo. La madre che non aveva mai avuto.

Un attimo dopo le mani di lei armeggiavano con il lucchetto e una chiave rubata chissà dove, ma non c'era tempo per discutere, fare congetture o restare a pensare. Sul volto di Varg si dipinse un'espressione stupita, mista a paura e gratitudine: voleva a tutti i costi fuggire, ma non sapeva assolutamente dove andare o come fare a sopravvivere.

A questo avrebbe necessariamente pensato in un secondo momento.

  «Corri, malen'kiy Prints!»  gridò lei, mentre dei passi lontani prendevano lentamente forma e spalancò la porta che separava il ragazzino dalla libertà.

«Nora!» la voce grave di quello che era stato un tempo suo marito ed ora il suo padrone, la scosse mentre il ragazzino correva con l'ultimo briciolo di forze che aveva in corpo.

Avrebbe dovuto pagare a caro prezzo quel gesto.

      



Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 21, 2017 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Kajira - L'erede delle nevi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora