VII

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Bjordal era una città piccola, devastata dagli scontri armati e ormai abbandonata a se stessa. La neve cadeva lentamente, a piccoli fiocchi e i tre, sui loro cavalli, se ne stavano contriti e chini a causa del freddo. Lene aveva gli occhi arrossati dal vento, le labbra screpolate, spaccate e le mani bluastre che tenevano debolmente le redini del cavallo su cui era. Respirava a fatica, ancora scossa per la violenta scarica di adrenalina che l'aveva colta poche ore prima, permettendo a lei e ai suoi compagni di viaggio di procedere lungo il sentiero che stavano percorrendo. In un contesto diverso non si sarebbe mai permessa di compiere un gesto simile, forse non le sarebbe neanche passato per la testa. Non era affatto una donna violenta, ma quella era stata una scelta importante, addirittura di vitale necessità, che era stata costretta a prendere per istinto di conservazione, più che altro. Non era stata lei, in ogni caso, ad uccidere l'uomo che, a quell'ora, era stato probabilmente già spogliato delle vesti ed esposto alle intemperie. Immaginava quell'ammasso di carne ed ossa, privato della vita per una condizione insita nella propria indole di animale: la paura. 
Ogni uomo, dalla notte dei tempi, aveva avuto paura almeno una volta nella propria vita. Lene rabbrividì, sia per quel corpo morto, abbandonato nei boschi, sia per il freddo e la neve, che ora cadeva sempre più fitta.

  «Ci siamo quasi.» si limitò a dire, raddrizzando la schiena e schiarendosi la voce, mentre avanzava in testa al gruppo.

Ci volle circa mezz'ora prima che arrivassero alla porta di una casa minuscola ed estremamente logora, che pareva dover crollare da un momento all'altro. Lene picchiò alla porta con la forza che le era rimasta, rischiando di conficcarsi nelle nocche minuscole schegge di legno.
Per alcuni interminabili istanti, nessuno rispose.

Varg, pochi passi dietro di lei, fremeva, irrequieto, non riuscendo a restare fermo per l'impazienza. Che Lene li avesse portati lì per qualche suo losco e sconosciuto fine?
Sofya, intanto, si era avvicinata lentamente a lui, timorosa di recare fastidio, ma allo stesso tempo desiderosa di avvicinarsi a quello che era -definitivamente- il suo padrone. Varg si lasciò scappare un lieve sorriso che allentò la tensione: era la prima volta che Sofya faceva qualcosa, seppur così banale, di sua iniziativa. La osservò con la coda dell'occhio, guardando i suoi capelli lunghi e sporchi, l'abito semplice, anch'esso macchiato, di sangue e terra. Eppure, pensava, anche in quello stato pietoso conservava un briciolo di femminilità e compostezza. Sentiva di doverla proteggere, di doverla portare in un luogo sicuro, lontano dalla guerra e dalla miseria. Non la voleva come schiava, come serva, ma se proprio avesse dovuto tenerla con sé per qualche tempo, avrebbe preferito trattarla come la donna che era, come un essere umano. La sua condizione, un tempo, non era stata tanto diversa da quella della ragazza, ma probabilmente a lei non pesava così tanto com'era stato per lui in passato. Pensò, anzi, che qualcuno le avesse fatto un lento, sistematico ed efficace lavaggio del cervello per portarla a credere che l'unica condizione possibile a lei fosse quello di schiava sessuale di un padrone che non la rispettava, che non teneva a lei, ma che la usava come un mero oggetto su cui sfogare le proprie frustrazioni e fantasie sessuali.

Un attimo dopo la porta si spalancò con brutale violenza, fin quasi a scardinarsi.

«Chi diamine bussa alla mia porta a quest'ora?» sbraitò un uomo sulla sessantina, a braccia conserte.
Si bloccò dopo un istante, strabuzzando gli occhi e spalancando la bocca, quasi avesse visto un fantasma. Anzi, tre fantasmi.

«Quello chi è?» chiese a Lene dopo essersi ripreso, senza muoversi d'un passo dall'uscio di casa sua.

«Prima dimmi dove possiamo far riposare i cavalli, arriviamo dritti da Bergen, è stato un lungo viaggio. Poi ti racconterò ogni cosa, personalmente.» replicò lei con voce tremante.
Quasi sembrava più spaventata in quel momento che quando si era trovata al cospetto di Arvid, con un fucile puntato contro. A Varg bastò un istante per capirlo, ma ciò che non riuscì a comprendere fu il motivo di quel suo comportamento. Poi il suo sguardo ricadde ancora una volta sulla figura esile di Sofya e le cose si fecero leggermente più chiare: perché mai Lene avrebbe dovuto portare con sé l'ultima ragazza comprata, se non perché la stessa non le apparteneva più?        

Kajira - L'erede delle nevi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora