VIII

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Il silenzio avvolgeva le tre donne come se fossero in una bolla ermetica. Si guardavano tra di loro per cercare di comprendere l'una i pensieri dell'altra, come a voler scrutare l'anima della persona che avevano di fronte, come se fosse possibile.
Il braccio destro di Selene era stretto nella morsa gelida della mano della Mater che quasi le bloccava la circolazione, impedendo al sangue di fluire nel suo modo normale, consueto. Alina apriva e chiudeva la bocca, come fosse un pesce fuor d'acqua, incapace di mettere insieme poche e semplici parole a formare una frase di senso compiuto. Il suo cuore batteva con una forza tale che il suo petto sembrava sul punto di esplodere, di frantumarsi in migliaia di piccoli pezzi. Tuttavia la sua psiche era già di per sé gravemente compromessa e non aveva certo bisogno di questa ulteriore sofferenza. Immaginava intanto il volto della Mater segnato dalle rughe, dallo scorrere del tempo, dagli anni e contorto in un'espressione indecifrabile di vergogna, stupore e rabbia repressa da chissà quanto tempo. Solo Selene sembrava calma, rilassata, come dopo un lungo e dolce massaggio tonificante. La pelle del suo viso era liscia, fresca e pulita e gli occhi e le sopracciglia mostravano quasi una voglia, un desiderio di sfida nei confronti della Mater e di quel sistema brutale con cui le nuove arrivate venivano costrette all'obbedienza, attraverso una sofferenza psicologica che solo i padroni di casa avrebbero potuto interrompere. Lei stessa era stata trattata in quel modo, ma la sua indole testarda e la sua inesauribile voglia di vivere avevano fatto sì che resistesse agli abusi, ai soprusi e ai volgari vizi dello zar, il suo padrone.
Selene sapeva di aver fatto del bene alla povera ragazza che ora si nascondeva sotto il letto, ancora bendata e legata: le aveva donato conforto, l'aveva amata per quei pochi istanti in cui le onde delle loro voci avevano condiviso lo stesso spazio, l'aveva resa l'essere più forte del mondo per alcuni attimi infinitamente piccoli. Ma era successo. Alina si era davvero sentita forte, amata, al sicuro, mentre le parole di una ragazza che non aveva mai visto le accarezzavano le orecchie coperte dalla spessa benda che ancora indossava. D'un tratto, Alina sentì dei passi pesanti provenire dall'esterno, forse dal corridoio, ammesso che ce ne fosse uno. Il suo capo fu rivolto immediatamente in quella direzione e lei si accorse, non nascondendo un certo stupore, che i suoi sensi erano nettamente migliorati durante quella breve prigionia. Quel dettaglio era forse rilevante nel piano losco che avevano ideato la Mater e il padrone del palazzo?

«Mater!» tuonò una voce maschile, mentre i passi si facevano sempre più rapidi e vicini.

«Mio signore, io – » la voce della Mater fu interrotta dallo schiocco violento di uno schiaffo, ma Alina non seppe dire a quale delle due donne fu destinato il brutale trattamento.

«È tutta colpa mia.» sentenziò una voce familiare, senza neanche una punta di vergogna o esitazione.

Un altro schiaffo. Questo, quasi sicuramente, destinato a Selene.

«Sono stata io ad entrare qui mentre la Mater era via, sono consapevole della punizione che mi spetta, ma la nuova arrivata non ha avuto uno dei migliori trattamenti.» continuò imperterrita Selene, anche questa volta con coraggio e sicurezza disarmanti, senza vacillare, senza temere l'ira del padrone, senza temere la morte.

Ci fu un altro colpo e poi un tonfo sordo, come un grave che precipiti su di un pavimento di pietra dura. Alina poteva sentire, toccare la tensione che avvolgeva il piccolo gruppo presente nell'angusto spazio in cui aveva vissuto per alcuni giorni. Il suo respiro era irregolare, la testa pulsava con violenza; le mani, le gambe, tremava tutta, come sepolta sotto metri di neve.

«Non hai il diritto di parlare, shlyukha. Ti ho per caso chiesto di farlo?» chiese lui, iracondo, assestando un calcio preciso e potente al corpo minuto della ragazza sul pavimento.

Ad Alina sfuggì un singhiozzo a quelle parole, il primo suono dopo interminabili minuti di silenzio. I passi dell'uomo si fecero pesanti, forti, veloci, nella sua direzione, poi una mano la afferrò per il collo e la alzò di peso. La benda le fu brutalmente strappata dagli occhi, che iniziarono a lacrimare per la troppa luce che entrava dalla porta spalancata. La vista era offuscata, annebbiata, ma riuscì chiaramente a distinguere il viso dell'uomo che le stringeva il collo sempre con più forza: gli occhi erano iniettati di sangue, sormontati da folte sopracciglia nere, il naso era aquilino, sfiorava quello di Alina, spinta contro la parete fredda e umida.

Kajira - L'erede delle nevi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora