IX

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Le sue spalle erano perfette, proporzionate, e anticipavano una schiena dritta, dalla pelle liscia ed estremamente morbida. Questo Varg non lo sapeva per certo, ma poteva percepirlo attraverso la stoffa che l'avvolgeva.
Hans non era stato molto ospitale, anzi, quasi per niente: aveva messo a loro disposizione solo quel divano duro come la pietra e quella poltrona sgangherata su cui ora sedeva Varg. Non avevano né coperte né cibo o acqua e il loro stomaco continuava irrimediabilmente a brontolare a causa della fame. Il problema principale, tuttavia, sarebbe stato il freddo pungente e assassino che li avrebbe portati quasi all'ipotermia, se non si fossero scaldati. La ragazza già tremava, coperta solo da una misera veste sporca, la stessa che aveva avuto addosso durante tutta la durata del viaggio. Varg, invece, conservava ancora il suo cappotto, abbastanza intatto da tenerlo al caldo ancora per un po'.

«Psst, vieni qui, non voglio farti del male.» le disse, non sapendo ancora quale fosse il suo nome.

Sofya si voltò verso di lui e si inchinò, quasi toccando con la fronte il freddo pavimento di pietra, tutta tremante e infreddolita, con la pelle d'oca che le ricopriva le braccia e le gambe. Si avvicinò lentamente al padrone e gli accarezzò titubante i capelli biondi, morbidi e folti, prima di abbassare lo sguardo e sedersi sulle sue gambe goffamente. Era così ingenua, inesperta, che a Varg venne istintivo respingerla. Non che non fosse una bella ragazza, ma la sua etica gli impediva di andare a letto con una schiava, una prigioniera. 

«No, no. Tu sei una donna, non una puttana. Capisci quello che dico?» le chiese scrollandola, con le mani sulle sue spalle.

Era così difficile riuscire a imprimere nella mente di quella ragazza il fatto di essere libera, una condizione che nessuno poteva negarle o concederle. Non doveva andare a letto con lui a meno che non fosse la donna in lei a volerlo, non doveva sentirsi obbligata, costretta, ma era così dannatamente difficile riuscire in quell'intento.

«Non conosco bene la tua lingua, padrone.» disse lei d'un tratto in un norvegese incerto, con una voce dolce e suadente con cui avrebbe potuto far cadere ai propri piedi qualunque re, zar o imperatore.

Varg fu come folgorato da quel suono e la guardò, costringendola ad alzare lo sguardo su di lui. Voleva sentirla parlare ancora, voleva essere gentile con lei, voleva tirare fuori la sua vera indole, il suo carattere, non restare ad osservare quella scialba slavatura della schiava che era diventata. Maledetta. I ricordi si affollarono nella sua mente e strinse i denti per respingerli.
Si sentiva in qualche modo attratto dalla Sofya donna, ragazza e anche bambina, ma non dalla schiava che aveva di fronte, non da quei modi servili, riverenti. Strinse i pugni adirato, arrendendosi a tornare col pensiero ad alcuni anni prima, quando era stato fatto prigioniero in una terra lontana e soleggiata dove gli era stata strappata via la libertà, dove non aveva fatto altro che sottostare alle leggi dei propri padroni per lunghi mesi, accompagnato costantemente dal ricordo del padre, dal ricordo di quell'unica frase che gli aveva rivolto prima di essere giustiziato.

"Un giorno sarai grande e capirai. Capirai che sotto c'è qualcosa di più grande, Varg."

Una misera sentenza in un mare di urla e grida, mentre il padre veniva sgozzato davanti ai suoi occhi: un'immagine macabra e raccapricciante, che tuttavia aveva forgiato l'animo del ragazzo, all'epoca ancora molto giovane per capire cosa il padre intendesse. Gli aveva lasciato tutto, i suoi soldi, i suoi abiti, la casa, ma lo aveva privato della libertà mettendolo nelle mani di perfidi e malvagi aguzzini. Ancora si chiedeva come avesse fatto a fuggire di lì, a ritornare a casa.

  «Padrone?» lo chiamò Sofya, iniziando ad aprire i bottoni della sua giacca, ancora convinta di essere la sua dannata kajira.  

Lo schiaffo che la colpì in pieno volto un attimo dopo le lasciò un profondo segno non solo sulla pelle, ma anche nel profondo del suo cuore. La mano di Varg, grande, callosa e possente, si era abbattuta sul suo viso esile e pallido, come un uragano in una giornata serena, una tempesta su un mare piatto e liscio. Le lacrime non tardarono a pizzicare gli occhi della giovane, che tuttavia rimase ferma al  suo posto, decisa a non farne cadere neanche una. L'uomo sorrise impercettibilmente, constatando quanto quel gesto fuori luogo e assolutamente inappropriato e inopportuno avesse fatto bene alla ragazza che aveva davanti: era testarda, cocciuta, non avrebbe pianto e Varg lo sapeva, sapeva che sotto quella molle scorza da inutile schiava si celava una persona meravigliosa e tenace, pronta a tutto. Era questo che voleva vedere, era questo ciò che cercava da ore, la vera Sofya.

Kajira - L'erede delle nevi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora