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*Colazione*

11 novembre 2016, Londra.

Naira's Pov

Mi svegliai con il sole che si infilava dalla finestra e si scontrava contro la mia pelle. Vicino a me riposava un ragazzo alquanto insopportabile, ma - glielo dovevo riconoscere - dannatamente attraente.
In men che non si dica mi ritornarono in mente le immagini della sera precedente e non sapevo se maledirmi o suicidarmi per aver permesso che tutto ciò accadesse. Che mi era passato per la mente? Sul momento sembrava perfettamente normale, la cosa giusta da fare, eppure adesso mi rendevo conto di quello che avevo lasciato che succedesse e cosa implicava il tutto. Gliel'avevo data vinta, l'avevo baciato io per prima e mi ero lasciata andare con lui. Di sicuro al momento lui doveva essere dannatamente fiero di sé stesso, e come biasimarlo.

Scossi la testa e mi alzai dal letto, decisa di andare a schiarirmi la idee, dato che tra quelle mura mi sentivo oppressa. Mi ritrovai a domandarmi dove diavolo fosse finita la mia felpa, ma poi mi ricordai di averla lasciata in soggiorno, dopo che Arian mi aveva attaccata al muro e me l'aveva sfilata. Andai a riprenderla e me la infilai, per poi uscire e iniziare a camminare nel bosco, con le cuffie nelle orecchie.

'Si mai am amintiri
Ele incearca s-aprinda in mine tot ce-i ars deja
Si n-o sa mai poata sa arda

Acele tale imi fac tattoo sub piele
Imi schimba sangele-n vene
Si as vrea sa imbatranim in doi'

Ero con la testa persa nei miei pensieri e, senza rendermene conto, mi ritrovai nel bel mezzo di una radura, ai confini della quale scorreva un piccolo tratto d'acqua. Mi sedetti vicino all'acqua e iniziai a buttare qualche sassolino sull'acqua nel vano tentativo di farlo rimbalzare, ma senza alcun risultato. Non avevo mai capito come si facesse, sapevo solo che dipendeva dal tipo di sasso, doveva essere piatto. Io però ero alquanto incompetente e non ci riuscivo comunque.

«Che cosa mi fai, Acida?» la sua domanda continuava ad assillarmi, a tornare a galla come per darmi il tormento e mi convincevo ogni volta di più che l'avesse veramente domandato. Io? Cosa gli facevo io? E lui allora? La domanda da un milione di dollari era cosa diavolo mi stesse facendo lui, non viceversa. Da quando avevo messo piede a Londra sembrava essere sempre tra i piedi, soprattutto nei momenti peggiori, in quelli in cui non avrei voluto proprio vederlo, eppure lui c'era sempre. E questa cosa mi faceva imbestialire in un modo incredibile. Non volevo fosse un mio punto di riferimento, anzi - dopo Andrew - non volevo proprio avere un punto di riferimento se non me stessa, eppure mi ritrovavo sempre lì. Incastrata nei drammi che si trascinava appresso, frustrata dal suo modo di fare, incazzata dalle sue battutine, smarrita nei suoi occhi neri come la pece, inebriata del suo profumo e persa in lui. Ecco cos'ero. Ero dannatamente ed irrevocabilmente fottuta.

«La smetterai mai di scappare?» mi richiamò alla realtà e io per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Dovevo fottutamente smetterla di perdermi nei miei pensieri quando sapevo che lui mi avrebbe trovata. Odiavo essere presa alla sprovvista.
«Dimmelo tu. La smetterai mai di farmi scappare?» replicai ironicamente, lasciandomi la testa all'indietro, mentre lui torreggiava su di me da dietro.
«In questo momento non sai cosa ti farei» rispose solamente, guardandomi con ardore negli occhi, mentre io mi leccai involontariamente le labbra, osservando un leggero gonfiore nei suoi pantaloni da tuta, facendolo così mugugnare.

In men che non si dica mi ritrovai distesa a terra, con il suo corpo che incombeva minacciosamente su di me, i polsi all'estremità della mia testa, i miei occhi incastrati nei suoi, i nasi che si scontravano, le labbra a pochi centimetri di distanza, le gambe aggrovigliate e la sua intimità che pulsava sulla mia gamba sinistra.

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