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*Scappatella*

16 ottobre 2016, Londra.

Naira's Pov

«Cosa, non dici più nulla adesso?» chiese, fissandomi con i suoi occhi del colore della cioccolata, che adesso erano diventati più scuri del solito.

Dischiusi le labbra, ma da esse non fuoriuscì nessun suono.
Eppure... Eppure io non volevo, non dovevo permettermi di essere così debole. Non potevo lasciare che si insinuasse in tal modo sotto la mia pelle, non doveva accadere.

«Allora, piccola Ne?» chiese e, in quel preciso istante, sentii la terra fuggirmi da sotto i piedi e allo stesso tempo tornai lucida.

Senza nemmeno rendermene conto, il mio ginocchio sinistro scattò verso l'alto e lo colpii nel punto più dolente.

«Porca puttana...» gridò come una ragazzina, portando velocemente le mani al cavallo dei pantaloni e scivolando lentamente per terra, con la faccia contorsionata dal dolore.
«Non. Osare. Mai. Più. Chiamarmi. Così» sibilai, abbassandomi al suo livello e scandendo bene ogni parola.

Lo sorpassai e andai in bagno, chiudendo a chiave la porta dietro di me.

Cazzo. Cazzo. Cazzo.

Perché? Perché diamine tutto mi riportava a lui, perché invece di andare avanti io ero rimasta indietro, intrappolata in un passato che non aveva futuro. Perché lui e non io?

Aprii il rubinetto e iniziai a sciacquarmi la faccia, cercando di darmi una rinfrescata e fare mente locale.
Io, Naira Burns me ne ero andata da Miami per dimenticare tutto il dolore, per andare avanti, per superare la perdita di Andrew e non essere più circondata da ricordi.

Ero venuta dall'altra parte del mondo per questo, a Londra, e cosa ottenevo? Ironia della sorte, i ricordi mi perseguitavano ovunque. Lui era ovunque. Era nei sorrisi della gente, nel profumo che alloggiava nell'aria, nei ricordi che conservavo di lui, nella mia mente.

Non potevo, non ci riescivo, qualsiasi cosa io facessi non riescivo a non pensarci e a non tormentarmi. Era fottutamente colpa mia. Ero io la sola e unica responsabile di tutto ciò. Io e nessun altro.

«Naira, porca puttana. Mi vuoi dire che cazzo ti è preso? Ti è per caso dato di volta il cervello?» gridò, iniziando a dare pugni contro la porta del bagno.
«Vattene» gridai, aggrappandomi al lavandino e sostenendo tutto il peso del mio corpo nelle braccia.
«No, cazzo, io non me ne vado da nessuna parte fino a quando tu non esci di lì e non mi dici cosa sta fottutamente succedendo!» continuò imperterrito. Era ostinato e non aveva intenzione di mollare, ma nemmeno io avrei gliel'avrei data vinta.
«Lasciami fottutamente in pace! Devi starmi alla larga, hai capito?» gridai, mentre sentivo una rabbia sovrumana impossessarsi di me.
«No, cazzo. Tu adesso esci da questo dannato bagno e parliamo» sbraitò.
«Ma cosa vuoi parlare te? Cazzo te ne frega? Non hai altro di meglio da fare che stare qui ad assillarmi? Capisci o no che non voglio avere nulla a che fare con te?» ringhiai, guardandomi allo specchio e a malapena riconobbi la persona che vedvo nel riflesso.

La mia faccia era contorsionata in una smorfia rabbiosa e i miei occhi avevano assunto una sfumatura molto più scura di quella che avevano normalmente.

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