Capitolo 14 - Tanato Nero

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Da poco il sole era spuntato timidamente nel cielo, rischiarando appena i contorni appuntiti delle montagne vicine. L'Aeronave era atterrata dolcemente da qualche minuto sulla piana di Eis, dichiarato ultimo porto ancora in zona sicura.
I quattro ragazzi scesero immediatamente, venendo accolti da alcuni inviati che li condussero repentinamente sul luogo del presunto avvelenamento, ragguagliandoli durante il tragitto su quanto erano riusciti a scoprire.
Appena si erano addentrati nelle periferie della zona rossa, un brivido aveva percorso ciascuno di loro e non tanto per il freddo e per il vento pungente, ma per il clima che aleggiava nei dintorni.
C'era un silenzio quasi assordante, interrotto solo dal rado chiacchiericcio serrato di quanti stavano lavorando per mettere in sicurezza il perimetro.
Tutto l'intorno era desolato. Le case basse e tozze completamente vuote, tutti gli esercizi chiusi e gli edifici del tutto abbandonati. Sarebbe stato un posto quasi magico, totalmente immerso nel verde, se solo non fosse stato colpito da quella sciagura.
I quattro procedevano attentissimi mentre gli inviati riferivano loro le entità dei danni dettagliatamente.
Quello dove si trovavano ora era il quarto villaggio colpito, evacuato immediatamente in misura precauzionale e dove ora si stavano compiendo alcuni interventi per tentare di arginare, o al meno di rallentare, la corsa del torrente ed evitare così di propagare ancora di più l'infezione.
Le zone più a nord, da dove era partito il contagio, erano state del tutto chiuse al traffico. Nessuno entrava e nessuno usciva, quasi nemmeno chi doveva effettuare i sopralluoghi.
La situazione, a quanto stavano riferendo gli addetti, era davvero tragica. Tutto era completamente morto. Piante, alberi, pesci e anche qualche animale che sfortunatamente era venuto a contatto con il liquido. Tutto era seccato, annerito, quasi come se fosse marcito. Persino il terreno si era scurito, diventando friabile e inconsistente come sabbia scura.
A mano a mano che avanzavano, i ragazzi potevano rendersene conto da soli. Le sponde del torrente si tenevano su per miracolo, mentre la scarsa acqua che circolava nel solco ancora visibile, sembrava brulicare e ribollire, scura e minacciosa.
«Fossi in voi non mi avvicinerei troppo.» li riprese una voce baritonale alle loro spalle. «Finireste stecchiti prima che possiate accorgervene.»
Tutti e quattro si voltarono contemporaneamente, incontrando una figura bassina e tonda, con le tozze braccia appoggiate sui fianchi ed un ghigno sinistro ad incurvargli le labbra.
«Copper.» sbuffò Julian contrariato, con una palese smorfia di disappunto stampata in faccia.
«Julian.» replicò quest'ultimo con la medesima espressione.
Taddeus Edgar Copper era veramente l'ultima persona che Julian si aspettava di vedere in quel posto e, a dirla tutta, l'ultima che avrebbe voluto vedere in ogni caso.
Taddeus era completamente svitato, partito di testa da parecchi anni, ma stranamente ancora in servizio. La regina aveva una particolare predilezione per i suoi servigi e Julian non ne aveva mai capito il motivo, dato che le poche volte che aveva collaborato con lui, l'avrebbe volentieri preso a schiaffi. A dimostrazione del fatto che non era ben visto nemmeno dai suoi colleghi, questi iniziarono a parlottare sotto voce, dileguandosi dal posto alla spicciolata.
Copper non suscitava simpatia, piuttosto repulsione e già solo osservare come si presentava al pubblico bastava a farsi un'idea precisa del soggetto.
I capelli di media lunghezza sembravano perennemente unti, di un colore oscillante fra il giallo paglierino ed il grigio smorto, disordinati e sempre spettinati. Sul naso spiccavano un paio di occhiali dalla montatura spessa e da lenti doppie quanto tre fondi di bottiglia messi insieme, che contribuivano a rimpicciolire gli occhi già di per loro minuscoli e strabici, di un vivace color celeste.
I denti ingialliti dalla troppa incuria e gli abiti sdruciti, coperti ora da un camice verde pastello, erano forse il dettaglio più emblematico della sua personalità sudicia e trasandata.
Copper non era solo arido all'esterno, ma ben più gravemente all'interno, dove si aggiravano sempre pensieri strani, distorti e spesso nocivi per chi lo circondava.
Non rifletteva un secondo prima di parlare e non amava troppo fare giri di parole. Il tatto non era una delle sue migliori qualità, mentre l'essere doppiogiochista e menzognero, completavano il quadro di quella figura che sarebbe stato meglio evitare se si passeggiava tranquilli per le strade.
Si vociferava che in passato fosse stato tutto un altro tipo di uomo. Fedele alla moglie ormai scomparsa, di parola, gentile, onesto e altruista. Un trauma, a detta dei pettegolezzi, aveva scatenato in lui un cambiamento emotivo tale da ridurlo in quello stato patetico e insopportabile, col quale terrorizzava a morte chiunque vi avesse a che fare.
L'uomo grassoccio si avvicinò zoppicando malamente, facendo segno ai quattro ragazzi di seguirlo nella capannella che avevano allestito lui e i suoi collaboratori, al centro esatto del villaggio.
Julian fu davvero tentato, come del resto anche i suoi compagni, di non seguirlo, purtroppo però non potevano ignorare, in quel caso, l'unica fonte di informazioni riguardo quel disastro.
Copper fece accomodare tutti attorno ad un tavolo di fortuna che ospitava alcune carte e provette, sedendosi a sua volta con un tonfo sull'unica sedia decente che aveva tenuto per sé.
Starnutì pulendosi disgustosamente il naso con il bordo della manica del camice e iniziò a snocciolare il nodo del problema, senza che nessuno ponesse alcuna domanda.
E chi ne avrebbe avuto lo stomaco del resto?
«Quei farabutti l'anno pensata bella.» aveva iniziato, gracchiando con quella sua voce bassa e roca. «Non vedevo un miscuglio così potente da anni ormai e sapete perché? Perché è proibito. Non si trovano più nemmeno nei dispacci illegali le robacce che servono per fabbricarlo. Nessuno tratta più certe porcherie.» grugnì. «Vorrei incontrare quei gran bastardi solo per chiedere in quale lercio buco melmoso hanno scavato per tirare fuori questi ingredienti.» proseguì, accompagnando l'eloquio con tutta una serie di smorfie che ben si addicevano alla materia trattata.
Calen, più che dal discorso in sé, cominciò a sentirsi nauseato a causa del tanfo che aveva iniziato ad alzarsi per tutta la tenda. Storse il naso, cercando di mascherare il suo disagio, seguito a ruota anche da Scarlett e Cassidy che si scambiarono un'occhiata più che eloquente.
«Arriva al sodo Copper.» lo riprese infine Julian, iniziando forse ad essere anche lui infastidito da tanto mal odore e da tanta inciviltà.
Taddeus assottigliò lo sguardo, riducendo se possibile ancora di più la grandezza dei suoi bulbi oculari. «È Tanato Nero.» sussurrò sporgendosi in avanti sulla sedia, come se quello che aveva appena pronunciato fosse uno dei peggiori improperi che l'umanità conoscesse.
Gli altri quattro lo guardarono inespressivi e in silenzio.
«Ovvero?» borbottò la rossa, coprendosi naso e bocca con una mano. Stava letteralmente per svenire.
Copper tornò a sistemarsi sulla scranna stravaccandocisi sopra e guardando quelli che – secondo il suo parere – altro non erano che ridicoli insettucci, con aria di sufficienza.
«È un veleno.» rispose ovvio «Uno dei più difficili da replicare, ma con un'efficacia ed un raggio d'azione eccellenti. Comunque deve esserci anche qualcos'altro sotto, qualche altro elemento che non riesco ad identificare con le stupide carabattole che la regina mi ha messo a disposizione.»
Julian strinse i pugni sulle ginocchia, resistendo all'impellente impulso che aveva di malmenarlo.
«Il Tanato è inodore, incolore e insapore, ma assolutamente letalissimo proprio perché è praticamente irriconoscibile. È bastata una goccia per contaminare tutto il torrente.» espose.
«Va bene, ma allora perché l'acqua è scura, praticamente evaporata, gorgoglia e sputa fumo? E se è bastata davvero una sola goccia per combinare questo macello, come mai si è riusciti ad arginare il corso del fiume e a evitare la propagazione dell'avvelenamento? Sono passati quasi tre giorni dopotutto e l'area infetta è tutto sommato circoscritta.» intervenne Cassidy suscitando dei giusti interrogativi.
Interrogativi che comunque non piacquero a Copper né per il tono con cui erano stati esposti né soprattutto perché lo scienziato non possedeva elementi sufficienti per dare una completa spiegazione del fenomeno e Taddeus odiava non essere esaustivo.
«Guarda tu questi ragazzini che giocano a fare gli intellettuali!» lo scimmiottò in un improbabile falsetto. «Se avessi a disposizione strumentazioni serie sarei riuscito ad analizzare tutto il composto e invece, come al solito, mi mandano in questi letamai senza nemmeno un po' di giusta retribuzione.» sbraitò sputando a terra il secondo dopo.
Fra tutte le cose più ripugnanti che Calen aveva visto nella sua vita, Copper le batteva tutte indubbiamente.
Julian era ormai decisamente a corto di pazienza. Si alzò minaccioso dalla seduta in pietra su cui si era appoggiato, facendo cenno ai suoi compagni di seguirlo fuori dalla tenda. «Puoi anche tornartene a casa allora. Da qui in poi ci pensiamo noi.» proferì con la sua usuale sinteticità.
La presenza di Copper non era essenziale, anzi, nessuno si aspettava di trovarlo lì. Avevano il compito di prelevare dei campioni e poi ci avrebbe pensato Elijah a studiarne la composizione per loro. E in quel momento se la scelta da fare era fra Bloomwood e Taddeus, anche se a malincuore, Julian avrebbe comunque scelto il primo.
Taddeus imprecò coloritamente prima di alzarsi a fatica e corrergli dietro.
«E ve ne andate così?» sbraitò.
«Hai detto tu di non essere stato in grado di scoprire altro. Quello che avevi da dirci ce l'hai detto, quindi siamo a posto.» replicò Julian, facendolo infervorare ancora di più.
«Non hai l'autorità di tagliarmi fuori dalle indagini!» abbaiò preoccupato di non ricevere il suo amato compenso.
Il ragazzo si girò con espressione dura, scoprendosi l'avambraccio su cui era tatuato lo stesso simbolo a forma di giglio che aveva usato in altre occasioni, smorzando immediatamente le proteste. «Io dico di sì.»
Copper digrignò i denti, emettendo una specie di ringhio soffocato. Julian e quella maledetta investitura.
«Se vuoi collaborare inizia a farlo seriamente, in caso contrario: togliti dai piedi.» sentenziò perentorio il ragazzo, non ammettendo repliche.
Taddeus sapeva di non avere possibilità, non in quel frangente per lo meno. Così girò i tacchi e sparì nella tenda iniziando a raccogliere le sue cose alla rinfusa. Piuttosto che sottostare agli ordini di qualcuno come Julian, avrebbe detto addio ai soldi extra e poi, ad essere sinceri, non gli importava granché dell'intera questione. A lui interessavano solo i soldi e il mettere le mani su quegli intrugli. Finito di raccattare i suoi gingilli, si diresse a passo spedito verso il porto, lasciandosi alle spalle quella desolazione.
«Prima o poi troverai dei guai più grandi di te, stanne certo.» aveva infine borbottato fra sé e sé, lanciando un'occhiataccia bieca a Julian che, ignaro, aveva iniziato a impartire ordini agli addetti.
Senza perdere ulteriore tempo inutilmente, Cassidy si fece aiutare per raccogliere qualche campione in più da riportare a Elijah, assieme a tutte le altre analisi già effettuate.
Fece attenzione a sigillare il tutto in modo ermetico e meticoloso, secondo le istruzioni che gli erano state date e ripose poi le provette nella borsa con estrema attenzione, incaricandosi nuovamente di trasportarle e farle arrivare intatte fino al castello.

A palazzo invece la situazione era rimasta pressoché immutata. Il via vai di aiuti continuava incessante visto che sempre più persone continuavano ad arrivare preoccupate e allarmate.
Non si conoscevano ancora le modalità, ma sembrava che la notizia dell'avvelenamento fosse trapelata in qualche modo, spingendo anche abitanti di altri paesi confinanti, ma dichiarati sicuri, a spostarsi verso la capitale, facendo inevitabilmente ingrossare le fila di quanti chiedevano asilo in quella struttura ormai al collasso.
Non sarebbe stato facile riportare la calma e assicurare a tutte quelle persone che, una volta risolto il problema, sarebbero potute rientrare tranquillamente nelle loro abitazioni. Come si poteva, dopo quello, avere la certezza di essere al sicuro? Quanto tempo sarebbe occorso alla gente per defluire dalla capitale e rientrare nei propri borghi fantasma? Quanto tempo sarebbe servito per rimettere in piedi il territorio distrutto? Certo era che, chiunque avesse progettato quell'attacco, aveva sicuro in mente l'obiettivo di voler far scatenare il finimondo. Camminare per i corridoi oramai saturi di persone era diventato perfino soffocante. Costretti a farsi largo fra la folla, i quattro arrivarono nella sala del Consiglio trovandovi già Callista ed Elijah intenti in una discussione su nuove sistemazioni e nuove richieste di forze di sicurezza.
Appena i ragazzi si affacciarono all'uscio, i due scattarono in piedi, avvicinandosi subito in cerca di novità e di spiegazioni da chi sul posto ci era stato di persona.
«Meno male che avete fatto in fretta» aveva detto la maga «qui non si capisce più niente e in mezzo a questo putiferio iniziamo a temere che possano succedere altri disastri. Abbiamo letteralmente perso il controllo della situazione.»
Cassidy sfilò la tracolla passandola a Elijah, evadendo accuratamente qualsiasi contatto visivo, per evitare un qualunque principio di conversazione a cui avrebbe dovuto per forza rispondere.
«Non ci sono ancora novità su chi possa essere stato?» domandò Julian, sperando in un qualche passo avanti.
Callista scosse il capo. «Nessuna. Tutte le testimonianze sono uguali alle altre, a quanto sembra nessuno è riuscito ad identificare la figura ammantata e comunque, anche se avessimo un nome, sarebbe una gara a cercare un ago in un pagliaio.»
«Sai che questa è la sua firma.» asserì di nuovo il ragazzo guardandola in modo eloquente.
«Lo sappiamo.» rispose questa volta l'alchimista «Ma potrebbe anche trattarsi di qualche svitato o di un emulatore che crede nel mito di Hollow.»
Julian lo guardò storto. «Ma dai? Un uomo solo che architetta tutto questo, che si veste in quel modo e che causa un tale scompiglio solo per emulazione? Quali altre prove vi servono? Sono sicuro che ci sia Hollow dietro tutto questo.»
Elijah sospirò aprendo la borsa. «Nessuna, non è me che devi convincere. È la prima cosa che ho pensato anche io. So come lavorano in quegli ambienti, sono pronto a scommettere che questo è tutto un diversivo per arrivare a qualcosa di più grande. Gli piace creare confusione e poi colpire, fa sempre così.» confessò, anche se Callista gli aveva espressamente chiesto di tenere per sé certe considerazioni e, in effetti, l'occhiataccia che ricevette da parte sua fu glaciale. Cassidy invece storse il naso esponendo un sorrisino amaro. Certo che sapeva come lavoravano in quegli ambienti, lui stesso ne faceva parte fino a poco tempo prima!
«Sono solo ipotesi.» intervenne poi la maga stessa per evitare di gettare altra benzina sul fuoco, ma ormai Julian era già partito con le sue congetture.
«Sì, ma potrebbe essere un'ipotesi valida e non del tutto insensata. Almeno tienilo in considerazione.» annuì.
Callista gli posò una mano sulla spalla. «Non abbiamo il tempo per correre dietro a queste teorie, ci sono cose più urgenti da sistemare. Ed è il caso che qualcuno si chiuda in laboratorio a esaminare le provette. Abbiamo bisogno di un antidoto.» concluse eloquente, voltandosi di nuovo verso Elijah che aveva già afferrato l'antifona.
Così Bloomwood scrollò le spalle e, senza aggiungere altro, se ne andò pronto ad immergersi nel suo lavoro.
«E se avesse ragione?» insistette Julian guardando la donna negli occhi.
«Non. Ora.» scandì l'altra chiudendo definitivamente la questione.

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