Calen non era sicuro di aver compreso con esattezza cosa fosse successo. L'unica cosa che sapeva era che si trovava, improvvisamente, in una zona diversa di quel bosco in cui erano entrati solo poche ore prima, il suo braccio ancora stretto in una presa ferrea tra le mani di Julian.
I due si guardarono spaesati e increduli per qualche istante, poi Julian fu colto da una fitta che lo costrinse a piegarsi leggermente in avanti, portando una mano a premere sul petto.
«Julian?» la voce di Calen era incerta, tremolante.
«Non è niente, non ti preoccupare.» rispose questo mettendosi dritto.
«Col cavolo non è niente, stai ancora sanguinando.» esclamò guardandosi attorno. A pochi metri di distanza, riuscì ad intravedere una di quelle piccole casupole di legno, pensate come rifugi, nascoste tra le fronde degli alberi. «Vieni, entriamo lì dentro per ora.»
Fece passare un braccio di Julian sulle sue spalle e, facendo forza sulle gambe, lo aiutò a tenersi in piedi e a raggiungere la piccola costruzione. Una volta all'interno lo fece sedere su una specie di giaciglio costruito nell'angolo sotto una finestrella. Era niente più che una rudimentale tavola di legno su cui era stato steso un telo di sacco. L'intera casetta di per sé era molto essenziale, ma al momento non potevano puntare a niente di meglio. Calen doveva prima accertarsi di come Julian stesse realmente, poi si sarebbero potuti azzardare a trovare la strada per il villaggio o un qualsiasi altro modo per tornare a Wendes.
Delicatamente lo aiutò a togliersi ogni strato di indumenti, fino a che non rimase col torso scoperto e la ferita all'aria. A prima vista non sembrava estremamente grave, fortunatamente Julian possedeva una prontezza di riflessi davvero disumana, il che gli aveva consentito di evitare un colpo diretto. Se non fosse stato così svelto nel muoversi, gli squarci sarebbero stati molto più profondi e severi. Calen rabbrividì al solo pensiero.
La pelle si era lacerata in modo sconnesso, i bordi rigonfi e arrossati contornavano un incavo di qualche millimetro di profondità e di almeno un paio di centimetri di larghezza. Il taglio più lungo, tra i quattro, correva da appena sotto la clavicola e arrivava ininterrotto fino all'altezza dello stomaco. Calen poteva solo immaginare quanto dolore e fastidio dovesse provocare una lesione del genere, eppure l'espressione di Julian non dava a vedere nulla. I suoi occhi chiarissimi erano più freddi e calmi che mai, l'espressione sempre dura e impassibile. Calen non riusciva a dire se si stesse trattenendo dal cacciare qualche smorfia solo perché lui era lì o se invece il suo autocontrollo fosse tanto forte da renderlo così coriaceo. L'unica cosa di cui era certo, era che si sentiva di nuovo tremendamente in colpa, non poteva farci nulla.
«Stenditi, vediamo cosa possiamo fare.» gli ordinò Calen, sfilando la tracolla.
Julian lo guardò interrogativo per qualche secondo. Pensò di dirgli che non c'era bisogno di farne un dramma e che stava bene, ma una volta osservata l'espressione sul suo viso, si decise ad accontentarlo senza protestare.
Non era una lesione fatale né invalidante, ma sapeva anche lui che, se non veniva trattata subito, rischiava di infettarsi. Calen intanto iniziò a rovistare nella borsa. Recuperò la borraccia con l'acqua, delle bende pulite e l'esile tubetto di pomata di Ydris che gli era rimasta.
Era già un po' di tempo che non ne faceva più uso, ma ogni volta che si doveva spostare da palazzo, non poteva fare a meno di portarsela dietro assieme ad altre medicazioni generali. La sua borsa era in tutto e per tutto più simile ad un kit di pronto soccorso. I suoi compagni gli avevano affidato il compito di portare materiali di prima necessità fin dalla loro prima uscita e da allora era diventata un'abitudine. La previdenza per loro non era mai troppa.
Quando ebbe disposto tutto con cura sul bordo del letto, si guardò attorno concentrato. Serviva qualcosa per lavare via tutto il sangue, ma non c'erano stracci in giro e la tunica di Julian era così sporca di terreno che era praticamente inutilizzabile.
Dopo aver ponderato per diversi istanti, si spogliò prima della giacca, poi della maglia a maniche lunghe, procedendo fino a sfilare l'ultimo strato rimasto. Si rivestì in fretta, sotto lo sguardo attentissimo di Julian e iniziò a fare a pezzi il tessuto appena tolto.
«Credo che la moda di strappare indumenti ti sta sfuggendo di mano.» mormorò il più grande, ricordandosi di Walyco.
Calen non lo degnò di uno sguardo, in realtà non aveva neanche sentito quello che gli era stato detto. Era troppo perso a pensare che non se ne era accorto.
Julian non insistette, si mise tranquillo pazientando. Aveva imparato che, in queste circostanze, era meglio lasciarlo stare e dargli il tempo necessario affinché nella sua mente tornasse la quiete.
Con movimenti rapidi, Calen bagnò le pezze con l'acqua e iniziò a passarle dolcemente sulle ferite per pulirle il più possibile. Julian aveva provato a dargli una mano, vista tutta la titubanza con cui si accostava alla sua pelle per paura di fargli male, ma Calen lo aveva scansato con un movimento fin troppo brusco. La sua espressione era piena di rimorso.
Alla fine Julian si era arreso e si era imposto di distogliere lo sguardo dal suo viso, chiudendo gli occhi. Se Calen non voleva parlargli in quel momento, niente di quello che avrebbe voluto dire sarebbe servito. Si stava dedicando a medicarlo con dovizia, ma era palese che la sua mente non fosse altrettanto concentrata.
Dopo aver messo da parte gli stracci zuppi, Calen prese un altro pezzo di tessuto e iniziò a cospargerlo interamente di pomata, lo applicò sulle ferite e iniziò a fasciare il tutto in modo che non potesse muoversi. Ormai era diventato un esperto di medicazioni veloci. Almeno avrebbe retto fino a che non avessero trovato il modo di lasciare che gli winged a palazzo dessero un'occhiata.
Quando ebbe finito si alzò, chiudendo tutte le pezze sporche nella tunica sopra la cotta di maglia, facendone un sacchetto. Recuperò una coperta abbandonata sul baule di legno ai piedi del letto e la stese su Julian, riparandolo alla meno peggio.
Guardò fuori dalla finestrella il sole farsi sempre più basso, era già pomeriggio inoltrato.
Senza dire niente si avvicinò alla porta facendo per uscire.
«Dove vai?» domandò Julian con voce allarmata, scattando a sedere.
«Resta a letto.» rispose lui stringato.
«Sì, se tu resti qui.» obiettò di rimando.
Calen si bloccò sui suoi passi, guardandolo di sfuggita per un attimo. «Ci siamo solo tu ed io. Non mi succederà niente se anche esco a prendere un po' d'aria.»
«Calen...»
«Resta a letto.» ripeté prima di richiudersi il battente alle spalle.
Quella casetta era diventata all'improvviso troppo stretta. Aveva bisogno di spazio e, soprattutto, di un po' di solitudine. Questa volta aveva deciso di non rimuginare troppo, voleva solo scacciare ogni cosa dalla testa, voleva aspettare che, come un lenzuolo appena lavato, vento e sole prosciugassero ogni goccia di preoccupazione. Cosa che gli sarebbe stata impossibile rimanendo chiuso tra quelle quattro mura.
Si incamminò, senza conoscere la meta, per un sentiero già tracciato in precedenza grazie ad uno steccato di legno scuro. Inspirò a fondo aria pulita più e più volte, continuando a muovere le gambe a ritmo tranquillo. In fin dei conti portava ancora addosso le tracce guida che avevano attirato Alister. Se questo avesse voluto tornare indietro per portarlo con sé, lo avrebbe già trovato e preso con la forza. Per il momento, probabilmente, si era accontentato di aver recuperato il diario di Raginor e aveva fatto dietro front, in parte soddisfatto. Il suo insegnante era una persona prudente e prima di rischiare il tutto per tutto, ponderava ogni scelta. Tentare subito un nuovo agguato non era nel suo stile.
Proseguendo sul sentiero battuto di fronte a sé, solo una era la cosa che continuava ad assillare Calen: come faceva Alister a sapere così tante cose sul suo conto? Che lo avesse spiato ogni secondo da quando era arrivato ad Erim, senza che lui se ne rendesse conto? Che intendesse questo quando gli aveva detto di averlo tenuto d'occhio per tutto questo tempo?
Non era sicuro, ma gli sembrava alquanto improbabile. C'erano cose, dettagli, sottigliezze, che non avrebbe potuto carpire così facilmente, solo osservandolo. Così come era altrettanto impossibile che fosse riuscito a infiltrarsi a Wendes indisturbato, eludendo tutta la sicurezza.
Ciò non toglieva che quell'imboscata fosse stata la batosta finale dopo Walyco.
Ora, almeno, non solo sapeva l'identità del nuovo viaggiatore che lavorava per Hollow, ma anche quel era il loro obiettivo: non lo volevano morto, lo volevano e basta. E non perché fosse un Riftwalker, ma perché era un sanguemisto, uno degli ingredienti fondamentali per permettere al piano di Hollow di prendere vita.
Più realizzava quanto la sua presenza lì fosse una minaccia, più si domandava perché, alla fine, il Grimorio di Diamante lo avesse scelto.
Senza accorgersene arrivò alla fine della recinzione, sbucando in uno spiazzo pieno di alberi altissimi e cespugli di bacche. Piccoli animaletti dal pelo immacolato, le staccavano una ad una con le zampette anteriori, portandole alla bocca e macchiandosi il muso con il succo colorato.
Calen rimase per qualche secondo in disparte a osservarli. Sembravano dei conigli leggermente più minuti. Si tenevano in piedi sulle zampe posteriori, ma quando dovevano spostarsi, si accucciavano sui quattro arti spiccando dei balzi amplissimi. Avevano delle orecchie molto lunghe che tenevano dritte verso l'alto e che continuavano ad orientare in tutte le direzioni. La punta era macchiata di un rosso molto tenue, quasi rosato, così com'era macchiato il morbido batuffolo in cui culminava la lunga coda spelacchiata.
Appena avevano visto Calen avvicinarsi, alcuni erano scappati via, più veloci di un fulmine, altri si erano semplicemente fatti da parte, osservando l'intruso da lontano.
Calen si sedette al lato di un cespuglio staccando a sua volta una bacca, osservandola tra le dita. I frutti erano grandi quanto un fagiolo, con la forma di una pera in miniatura, di un violetto intenso. Titubò qualche istante prima di portarla alle labbra, ma, dopo aver addentato la superficie morbidissima, nella sua bocca si sprigionò un succo dal sapore talmente dolce da fargli credere che le papille gustative si fossero per un attimo sciolte, causandogli un formicolio alle guance.
Istintivamente ne prese altre fino ad avere le mani piene. Alcune le mangiava, mentre altre le riponeva con cura nella sua borsa, pensando di portarne qualcuna anche a Julian.
Passato qualche attimo e vedendo che Calen non rappresentava alcuna minaccia, i roditori si avvicinarono senza paura. Certi tornavano ai loro affari incuranti, mentre un paio si erano avvicinati al ragazzo annusandolo con quel piccolo nasino che si muoveva velocemente. Calen tenne alcune bacche sulla mano aperta, aspettando che qualche bestiolina si avvicinasse per prenderle. Quando successe, con attenzione, posò la mano sul pelo morbidissimo. A primo impatto, la creaturina si irrigidì spaventata, poi, dopo un paio di carezze, si spostò sulle sue gambe facendosi coccolare volentieri.
Era così soffice che sembrava di accarezzare una nuvola.
La lunga coda si muoveva sinuosa e leggera avanti e indietro, come un pendolo ipnotico.
Pian piano qualche altro coraggioso si avvicinò sulla scia dei suoi simili, chiedendo un po' di carezze anche per sé. Da che tutte se ne tenevano a debita distanza, Calen si ritrovò quasi sommerso da un mare di peli candidissimi che si arrampicavano sulle sue gambe e sulle sue braccia, giocando incuranti. Si era così abbandonato a quella serenità che, ad un tratto, aveva persino chiuso gli occhi per riaprirli solo molto tempo dopo, solo quando un leggero venticello gelido aveva preso a soffiargli sul viso, facendolo rabbrividire.
Quella si era dimostrata un'ottima distrazione.
Il cielo si era fatto scuro, coperto da grossi nuvoloni grigi che minacciavano pioggia. Calen non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso, sapeva solo che non c'era più traccia degli animaletti che aveva incontrato e che si era indiscutibilmente fatto troppo tardi.
Con riluttanza si alzò in piedi scrollando i calzoni e, di corsa, si incamminò a ritroso sul percorso che aveva seguito. Lungo la strada si fermò giusto una manciata di secondi per raccogliere qualche altro frutto, nella speranza di mettere qualcosa sotto ai denti una volta rientrato.
Era sicuro che Julian lo avrebbe rimproverato per essere stato fuori in mezzo al nulla per tutto quel tempo, pensandoci bene, non era così entusiasta di rimettere piede nella casupola.
Quando si trovò di fronte la porticina lignea, non poté fare a meno di mordicchiare le labbra ripetendo silenziosamente la scusa che aveva accampato per giustificarsi.
Come aveva previsto infatti, Julian non era per nulla di buon umore.
Aveva strappato a metà la sottoveste e l'aveva usata come giacca, coprendosi parzialmente, poi aveva acceso un piccolo fuocherello nel caminetto di pietra all'altro angolo della casetta ed era rimasto in piedi a ravvivare le fiammelle con un bastoncino lungo e sottile. La luce batteva sul suo viso ad intermittenza, illuminando quei tratti duri e perfetti, ora coperti da un velo di irrequietezza.
Quando Calen era rientrato non si era mosso di un millimetro. Non gli aveva fatto cenno e non gli aveva detto niente.
Non era un buon segno.
A testa bassa il ragazzo si avvicinò a lui tendendo le mani verso il calore, sentendo i brividi di freddo percorrergli il corpo come una scossa.
Julian finalmente lo osservò con la coda dell'occhio, alzando poi una mano a sfiorargli il viso.
«Sei congelato.» osservò inespressivo «Dove sei stato?»
Calen si morse il labbro mostrandogli la borsa piena di bacche e altri frutti.
«Cercavo cibo.» mormorò mesto.
Julian sospirò rumorosamente, scuotendo il capo. «E ne hai già anche approfittato.»
Calen piegò la testa di lato sorpreso.
«Hai la lingua viola.» ribatté l'altro.
Aggrottando le sopracciglia, Calen tirò fuori la lingua più che poté cercando di osservarla. «È vero.» esclamò poi.
«Non dovresti andare in giro a mangiare le prime cose che ti capitano sotto mano, non sai se possono essere commestibili.» lo sgridò.
«Lo so.» borbottò offeso «Però ho ascoltato quello che ha detto il capo villaggio sui raccolti e ho anche visto degli animali mangiarle, ero abbastanza sicuro che non fossero pericolose.»
Julian sospirò rumorosamente, scuotendo il capo di nuovo.
Calen abbassò lo sguardo stringendosi nelle spalle. Pareva essersi rimpicciolito di tre taglie. «Scusa.» biascicò talmente a bassa voce che per Julian, sentirlo, fu un miracolo.
«Per cosa?»
«Per essere stato via così tanto.»
«È un inizio.»
«A mia discolpa posso dire che sono stati quei roditori a trattenermi. Erano così carini, mi sono messo a giocare con loro e ho completamente perso la
cognizione del tempo... diciamo anche che ho avuto un colpo di sonno...» disse con troppa enfasi, gesticolando con le mani.
«Solo tu potevi metterti a giocare con delle bestioline nel be mezzo di un bosco che non conosci e, ovviamente, solo tu potevi addormentarti all'aria aperta, sempre in mezzo a un bosco che non conosci. E io che continuo a stupirmi.» schioccò la lingua.
«Ovvio, se fossi venuto anche tu, con la faccia che hai, li avresti fatti scappare tutti a prima vista.» ribatté eclissando l'ultima parte.
«Ah sì, perché? Che faccia ho?» domandò incrociando le braccia al petto.
«Arrabbiata.»
«E di chi è la colpa secondo te?»
Calen gonfiò le guance imbronciato. «Mi dispiace, va bene? Non volevo farti preoccupare, ma ci siamo solo tu ed io persi in mezzo al nulla.»
«Non è una scusa.»
«Avevo bisogno di aria.» si giustificò ancora.
A quel punto Julian si girò completamente verso di lui. Gli occhi chiari erano scuriti da un'ombra di tristezza. «Lo so, l'avevo capito.» disse «Accantonando la preoccupazione, sono più arrabbiato perché mi hai ignorato tutto questo tempo.»
Calen non comprese subito. Se doveva essere onesto, era rimasto abbastanza perplesso a quell'affermazione di mancate attenzioni. Julian non sembrava quel genere di persona.
«Me lo avevi promesso.» aggiunse poi il più grande, tornando a ravvivare il fuoco.
Solo ora, il vero significato di quelle parole trafisse Calen all'altezza del cuore come una pugnalata.
Glielo aveva promesso.
Più di una volta a dire il vero, gli aveva promesso che avrebbe smesso di affrontare i problemi da solo; che avrebbe smesso di stare in disparte senza chiedere aiuto. Gli aveva promesso che, qualsiasi cosa fosse accaduta, loro l'avrebbero affrontata insieme.
Gli aveva promesso che qualsiasi cosa l'avesse turbato, reso triste o felice, l'avrebbe condivisa con lui, che ne avrebbero parlato, che avrebbero risolto.
Insieme.
Alla fine era scappato via ancora una volta.
Le braccia gli caddero lungo i fianchi, con le mani strette in due pugni.
Si sarebbe preso a schiaffi da solo.
Era così concentrato su sé stesso da aver letteralmente lasciato Julian indietro. Anche se non era stato intenzionale, si sentì tremendamente in colpa ancora una volta.
«Mi dispiace.» sussurrò.
Non aveva osato aggiungere altro.
Qualunque altra parola avesse fatto uscire dalla bocca, sarebbe stata pronunciata con la voce di chi era sull'orlo del pianto e lui aveva promesso anche che non avrebbe più versato una lacrima.
Prima che potesse finire, Julian lo afferrò per un braccio tirandoselo addosso, incurante delle ferite.
Calen provò a protestare, facendoglielo notare, ma Julian non volle sentire ragioni. Gli strinse le braccia attorno alla vita poggiando il mento contro la sua fronte.
«Va bene. Ma io sono qui per te. Te l'ho già detto, no?»
A quel punto Calen non poté fare altro che annuire e stringerlo a sua volta, baciandogli l'attaccatura del collo. L'unica cosa che fece in seguito, fu solo continuare a ripetergli quanto fosse dispiaciuto.
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RIFTWALKERS I - Il Grimorio Di Diamante - [Viaggio Tra Due Mondi]
FantasyCalen Fairman è solo un povero diciassettenne a cui il destino farà trovare, nella biblioteca dove lavora, un libro estremamente bizzarro che gli consentirà di compiere viaggi dimensionali. Tra giorni a scuola passati a scappare dai bulli che fanno...