Capitolo 11 - Dalla Padella alla Brace

799 84 3
                                    

Eccolo di nuovo, pensò Calen, mentre assisteva per la millesima volta alla visione che lo tormentava ormai da quella che gli sembrava un'eternità. Sempre mentre dormiva per giunta, come a volerlo disturbare ad ogni costo. Sentì immediatamente i muscoli irrigidirsi e tendersi, come se stesse compiendo per davvero gli stessi movimenti del sogno e la testa appesantirsi sul cuscino. Non sapeva mai definire con esattezza in che stato cadesse quando si manifestavano questi episodi. Sapeva solo che era per metà cosciente e per metà immerso in quel sottilissimo strato che stava a metà fra il reale e l'immaginario. Non riusciva nemmeno a spiegarsi come facesse a passare dal sognare cose abbastanza normali a quello.
Trattenne involontariamente il fiato e la pelle si fece d'oca quando percepì il cambiamento di ambientazione. Ora era completamente immerso in acque freddissime, con lo sguardo fisso verso il basso, mentre osservava una specie di tentacolo avvinghiato alla sua coscia tenerlo ben saldo. La visuale era offuscata, ma poteva distinguere pochi centimetri più in là, la figura di Julian trovarsi più o meno nella sua stessa condizione: bloccato ad una gamba e ad un braccio. Sentì il suo corpo girarsi di lato per mettere a fuoco i soliti dettagli e cercare di carpire qualche informazione in più, ma non notò nulla di diverso da quello che era solito vedere: sabbia, alghe colorate ed un buio pesto alle sue spalle.
Dalla primissima volta in cui si era manifestata quella visione era riuscito a fare progressi enormi e aveva soprattutto imparato a familiarizzare con queste apparizioni improvvise, senza rimanerne spaventato e traumatizzato. Quello che ancora lo sconcertava era l'assoluta mancanza di controllo sul proprio corpo. Era presente, cosciente, ma totalmente incapace di comandare alle sue membra come muoversi e questo gli impediva di fare praticamente qualsiasi cosa. Vide Julian indicargli lo spadino che teneva legato in vita e fargli segno di usare quello per liberarsi. Poi iniziò la solita sequenza che scorreva rapida prima del suo risveglio: lui che disobbediva, Julian che aggrottava le sopracciglia e la sua voce adirata che proveniva ovattata da dietro la bolla enorme che gli copriva la bocca.
Calen aprì gli occhi di scatto, prese un respiro profondo a pieni polmoni, restando poi cinque minuti in contemplazione del soffitto bianco, perdendosi a seguire il solco lasciato da qualche piccola crepa nell'intonaco. Passò entrambe le mani sul viso per darsi una svegliata e cercare di riprendersi, infine si girò pigramente fra le coperte, recuperando il cellulare lasciato sul comodino. Erano appena le sei e dieci. Decisamente troppo presto per i suoi standard, eppure stranamente non sentiva gli occhi pesanti o la solita stanchezza che nell'ultimo periodo lo aveva letteralmente consumato. Perse un'altra decina di minuti aprendo applicazioni a caso sul telefono, decidendosi poi a scendere per fare colazione.
Non aveva questa grandissima voglia di rivangare quanto appena sognato. Aveva studiato quella visione già abbastanza, quasi da non poterne più. Callista aveva ragione: la chiaroveggenza se non allenata era solo una dote davvero molto fastidiosa e lui avrebbe pagato qualsiasi cifra pur di vedere quella tortura finire, ma ogni sera si ritrovava sempre punto e a capo. Ormai poteva dire di averci fatto il callo e che, quelle esperienze, non lo toccassero più così in profondo come all'inizio. Per sua fortuna.
Stranamente energico scese le scale affacciandosi alla porta della cucina, dove Margaret era già all'opera con tazzine di caffè, fette di pane tostato e pacchi di biscotti ovunque per preparare la colazione a lui e al nonno. Quando questa si girò e si vide comparire davanti il ragazzo portò una mano al petto per lo spavento. Si limitò a guardarlo con occhi sgranati assicurandosi di non essere in preda ad allucinazioni mattutine. «Come mai già in piedi?» lo salutò con un bacio.
L'altro alzò le spalle ricambiando il saluto. «Niente di particolare.» biascicò, sedendosi a tavola e addentando un biscotto al cacao. Margaret squadrò da capo a piedi suo nipote, come se lo vedesse per la prima volta dopo tanti mesi di lontananza, fissandosi un po' troppo ad esaminare quel corpicino ingabbiato nel suo pigiama preferito, tutto nero con la stampa di un gatto bianco sul petto. Non poté fare a meno di notare come avesse messo su un po' di massa e raddrizzato la postura che, a detta sua, sembrava quella di un manichino di pezza a riposo.
Finì di portare confetture e crema di nocciole in tavola, continuando tuttavia a lanciargli occhiatine di sfuggita, sorprendendosi sempre di più nel constatare quanto stesse iniziando ad assomigliare ad un uomo, a quanto stesse iniziando a ricordargli troppo suo figlio Emmett. Sentì un vuoto all'altezza del petto pensando a quanto nell'ultimo periodo il loro rapporto si fosse incrinato. Prima si confidavano qualsiasi cosa e si capivano con uno sguardo, adesso invece lei lo vedeva distante, lo percepiva assente, troppo perso nel suo mondo per potersi preoccupare del resto. Margaret l'aveva già passata una volta con suo padre la fase dell'adolescenza, ma vederla riproposta così a distanza di tempo, l'aveva momentaneamente destabilizzata. Era normale che ora Calen cercasse di stare il più possibile sulle sue, che avesse dei segreti o che tentasse di averne, che volesse a tutti i costi iniziare a vedere il mondo con i suoi occhi. Si era lasciata prendere dal panico. Vedere tutto ad un tratto quello strano cambiamento l'aveva sconcertata. Ne aveva parlato con Thomas fino allo sfinimento e si era vista costretta ad ammettere che, effettivamente, aveva esagerato ad assillarlo in quel modo e soprattutto a punirlo per una sciocchezza. Il fatto che si chiudesse in camera sua era forse un modo per dirle che aveva bisogno dei suoi spazi, che voleva starsene un po' per conto suo. E il fatto che fosse così stanco poteva essere imputato a un sacco di cose, non necessariamente di cattiva natura. Così alla fine era stata costretta a farsi un esame di coscienza e a cercare di darsi una calmata, cambiando un pochino quell'atteggiamento troppo soffocante ed iperprotettivo.
Mentre si avvicinava al tavolo, guardò di nuovo in faccia Calen, credendo fosse il momento giusto per comunicargli l'esito delle sue riflessioni.
«Ci ho pensato.» iniziò, cogliendo di sorpresa il biondino sedutole di fronte «Credo di aver esagerato mettendoti in punizione. Insomma, sono convinta che non vai in giro a frequentare brutta gente perciò non ha senso che ti imponga di rimanere chiuso in casa, anche perché non è cambiato poi molto a dire il vero.» esordì senza preamboli. Calen intanto ascoltava, annuendo confuso, il discorso di sua nonna, pensando che in effetti lui con gente strana se la faceva eccome, ma lei non poteva saperlo. «Hai diciassette anni ormai, hai i tuoi bisogni, le tue esigenze e lo capisco. Sai, ho anche letto su un articolo che i cambi di stagione sono devastanti per certe persone. Poi tra la scuola, il lavoro...» fece una pausa non sapendo come portare avanti la discussione. «Quello che voglio dirti è che mi fido di te e sono convinta del fatto che se tu dovessi avere qualche problema me lo diresti sicuramente. Ti chiedo solo di non escludermi completamente dalla tua vita.» concluse, lasciandogli una carezza sulla guancia.
Quel discorso senza capo né coda, che agli occhi di Margaret aveva il chiaro scopo di sollevarlo da ogni responsabilità, per Calen fu solo l'ennesima coltellata che lo fece sentire un verme.
Finì di masticare esibendo un sorriso tirato, cercando qualcosa di abbastanza intelligente da dire. Non poteva farle promesse, né tanto meno assicurarle che il caratteraccio degli ultimi tempi non sarebbe tornato. Anche perché non aveva la minima idea di quanto altro tempo e quanto altro impegno gli potesse essere richiesto, né per quanto ancora sarebbe stato costretto a viaggiare. Quello di cui era sicuro era che, in quell'ultimo periodo, gli erano mancati i suoi affetti come non riteneva possibile. Si sentiva realmente diviso a metà e ancora non capiva come fare a convivere con quella sensazione ansiosa che a volte lo mandava in confusione.
«L'ultima cosa che voglio è escluderti dalla mia vita.» le rispose tranquillizzandola «Sia tu che il nonno siete davvero importanti per me e mi dispiace sul serio che nell'ultimo periodo vi abbia fatto preoccupare così tanto. Però ti assicuro che non è cambiato niente. Io sono sempre io e tutto continua a filare liscio.»
Bugia!
Niente filava liscio prima della comparsa del Grimorio, figurarsi ora.
Margaret dal canto suo sembrò accontentarsi della risposta, tanto da schioccargli un altro bacio sulla guancia. Poi gli si sedette accanto, iniziando a chiacchierare del più e del meno, facendogli compagnia mentre consumavano la colazione. Sembrava che quei pezzi andati sparpagliandosi in giro stessero cominciando a formare un mucchietto raccolto e chissà che un giorno non sarebbero tornati a comporre lentamente il quadretto iniziale.
Finito di prepararsi Calen si guardò allo specchio, vedendo per la prima volta qualcuno che quel giorno sembrava un po' meno cupo del solito. Era felice e aveva deciso che quella giornata sarebbe finita in bellezza, così come era iniziata.
Come ogni mattina si fermò a parlottare con la foto dei genitori, sempre esposta sul mobiletto nell'ingresso, sentendosi un po' meno triste, nonostante fosse appena trascorso l'anniversario della loro scomparsa. Non sapeva dire il perché, ma Erim stava avendo una sorta di potere terapeutico sul suo umore. E questo non riguardava solo il superare il dolore di una perdita, ma anche la sua vita scolastica a contatto con i suoi tormentatori personali. Sentiva di possedere una scappatoia adesso, un posto dove potersi dimenticare di tutto il male che subiva quotidianamente, un posto che piano piano lo stava aiutando a mettere ordine anche nella sua vita di tutti i giorni. Dopo aver soffiato un bacio alla foto di Emmett e Joanne, uscì di casa, avviandosi con calma verso l'angolo di strada dove lo attendevano abitualmente Fran e Samuel.
«Hai deciso di far nevicare in anticipo per caso?» lo salutò l'amica prendendolo in giro.
«Non è che alla fine siamo noi in ritardo stamattina?» si allarmò Samuel guardando in faccia la riccia, per poi ridacchiare.
«Ha, ha, ha. Che amici simpatici.» li rimbeccò il biondo mentre insieme si incamminavo verso scuola.
«Spero tu sia in forma per domani.» gli urlò praticamente nell'orecchio Samuel, strattonandolo per un braccio.
Calen lo guardò con un'espressione tipica di chi cade dalle nuvole, fingendo di non sapere di cosa stesse parlando. «Domani?»
L'altro gli mollò un pizzico su una guancia sbraitando indignato. «LA FESTA!»
«Sai cosa? Sei più entusiasta tu per questo ritrovo che io.» ridacchiò Calen massaggiandosi la pelle arrossata.
«Certo che lo sono. Tu sei un povero ingrato, ma io ci ho messo l'anima per organizzare questo evento e credimi.» gli puntò contro l'indice «Ti sorprenderò.» promise, lanciandosi un'occhiata di intesa con Fran, che non sfuggì al diretto interessato. Il solo pensiero di quello che poteva aver combinato, nonostante tutti gli ammonimenti e le raccomandazioni, gli faceva venire i brividi. In ogni caso ormai si riteneva pronto a tutto. Dopo aver visto letteralmente cose dell'altro mondo niente poteva più scalfirlo. «Non ho dubbi.» replicò divertito e curioso allo stesso tempo. Doveva ammettere che non vedeva l'ora di passare un po' di tempo con loro, aveva bisogno di un po' di normalità nella sua vita e di ricominciare a recuperare certi ritmi che aveva inevitabilmente perso.
Fecero insieme il breve tragitto che li separava dalla moderna costruzione gialla con molta tranquillità, arrivando poco prima dell'apertura del cancello. Si appartarono in un angolino del giardino, continuando la discussione avviata poco prima riguardo il cosa indossare, ma furono costretti ad interromperla quando sentirono distintamente il rombo di una moto che svoltava per entrare nei parcheggi.
Calen si girò con calma, sentendo già lo stomaco annodarsi dal nervosismo. Chase, come ogni mattina, fece il suo ingresso trionfale, guardandosi subito in giro per cercare la sua preda: era tornato. Altroché se era tornato e Calen doveva essere il primo a saperlo.
Tolse il casco lentamente, con gesti calcolati mentre vedeva Danny avvicinarsi e sorridergli cupo. Poco più indietro anche Paul varcava la soglia dell'istituto con un sorriso soddisfatto in viso e la voglia di prendersi la sua agognata rivincita su chi aveva osato fargli passare dei guai.
I suoi genitori avevano fatto molte pressioni al preside e all'allenatore affinché archiviassero il caso di bullismo, consentendogli di riprendere le lezioni e, soprattutto gli allenamenti, il prima possibile. Essendo i Doherty fra i maggiori finanziatori di progetti extra-scolastici e non solo, quel minuscolo ed isolato caso era stato comunemente e miracolosamente declassato a "incidente" senza che nessuno sapesse niente. Nessuno a parte Calen, Paul e genitori, il preside e la Pence.
«Perché sono già tutti qui? Paul non era stato sospeso?» sparò a raffica Calen, cadendo nel panico. Era venerdì per la miseria, ormai era convinto che per quella settimana sarebbe stato a posto.
Addio bella giornata.
Samuel lo prese per un braccio, trascinandoselo dietro prima che uno dei tre si accorgesse della sua presenza. «Vieni con me.» sussurrò, schizzando diretto all'interno dell'edificio, lasciando indietro Fran, proprio mentre suonava la prima campanella.
Mascherati dalla folla dei ragazzi del primo anno che si accalcava per entrare, riuscirono a salire nella loro aula a tempo di record, trovando la stanza completamente deserta. «E per ora l'abbiamo scampata.» constatò Samuel mentre col fiatone si sedeva al suo posto. «Wow, era dai tempi del primo anno che non entravo puntuale.» scherzò, cercando di sdrammatizzare. Calen lo guardò mortificato, prendendo posto accanto a lui, pensando al suo essere costantemente un grandissimo vigliacco. Per quanto ancora poteva sperare di evitarli? Per quanto ancora sarebbe riuscito a svignarsela? Mancavano ancora sette mesi alla fine della scuola e aveva come l'impressione che sarebbero durati un'eternità. Anche se aveva imparato come difendersi, era sicuro che si sarebbe paralizzato di fronte al pericolo reale. Julian aveva ragione ancora una volta: lui era davvero una piaga.
E non poteva fare a meno di trovare contraddittorio il fatto che quando era con lui pensava che non ci fosse niente di peggiore, mentre ora rimpiangeva non poco di non averlo accanto. Ma solo perché avrebbe saputo come mettere al tappeto Chase e compagnia con uno schiocco di dita.
Fran, nel frattempo, era rimasta ferma nel cortile della scuola da sola. L'avevano praticamente mollata lì e quando aveva capito che stavano cercando un posto dove nascondersi non aveva fatto in tempo a seguirli.
Il motivo? Semplicemente era stata avvicinata da un incredibile e quantomeno inaspettato contrattempo.
Danny D'Angelo in persona camminava con lo sguardo fisso su di lei, mentre Paul e Chase se ne stavano in disparte, chiacchierando di cose incomprensibili. Arrivatole di fronte, a pochi passi di distanza, il ragazzo infilò le mani in tasca sfoderando un sorrisetto sghembo che, in realtà, puzzava molto di presa in giro. «Dov'è il tuo amichetto biondo?» domandò con tono canzonatorio.
Fran rimase per un attimo interdetta, non aspettandosi che uno di loro si facesse avanti. Era evidente che erano molto arrabbiati e che, sicuramente, a Calen ne avrebbero combinate di tutti i colori. «È rimasto a casa. Si è ammalato.» mentì guardandolo in faccia, mostrandosi sicura in modo che lasciasse perdere. Purtroppo Danny era un tipo decisamente perseverante e, in quattro anni di convivenza in classe, Fran lo aveva capito fin troppo bene.
Il ragazzo sbuffò indispettito, assottigliando lo sguardo in due fessure taglienti. «L'ho visto tre secondi fa ed ora è sparito. Risparmiami la fatica e dimmi dov'è, tanto sai che lo troverò comunque.»
Fran si morse il labbro colpevole, inventando un'altra scusa banalissima. «Non ne ho idea.» disse stringendosi nelle spalle. Che poi, altro non era che la verità. In quel momento non aveva idea di dove si fossero nascosti lui e Samuel.
Danny incrociò le braccia al petto. «Avanti Matthews dimmi dov'è.» insistette avvicinandosi di qualche passo. L'altra abbassò lo sguardo per un momento. Danny sapeva come mettere in soggezione ed il fatto che fosse un bel ragazzo non aiutava per niente, restava il fatto che lei non avrebbe mai permesso a lui e ai suoi amici idioti di fare del male a Calen. «Ascolta» mormorò «non è che potresti evitare e lasciarlo in pace? Alla fine lui non c'entra niente e lo sai, è stata tutta colpa di Paul. Se non voleva avere problemi, avrebbe dovuto evitare di comportarsi come ha fatto. Siete... siamo all'ultimo anno. Volete davvero rischiare il diploma per questo?» provare con la diplomazia non poteva fare danni pensò.
Il moro però non era di questo avviso. Si avvicinò ancora di più, piegandosi leggermente in avanti finché la punta del suo naso non andò a sfiorare quello dell'altra. Fran credette di svenire, ma era quasi sicura che Danny non avrebbe mai alzato le mani contro una donna. Almeno era quello che sperava.
«Va bene, come non detto. Cercherò da solo.» le rispose «Comunque non credo che questa sia una cosa che ti riguardi. Rischiare il diploma dici? Non penso tu sappia con chi stai parlando.» asserì poi sorpassandola, gettandosi delle occhiate intorno per cercare di trovare da solo chi voleva scovare.
In un attimo di pura infermità mentale Fran lo afferrò per un braccio, inducendolo a fermarsi e a girarsi. Non voleva che andasse a cercarlo, non voleva avere davanti agli occhi di nuovo l'immagine di nasi sanguinanti o peggio. Per questo voleva fermarlo, voleva dirgliene quattro in realtà, ma appena quegli occhi grigi si fermarono nei suoi perse ogni facoltà di parlare, dimenticandosi completamente anche di respirare. Danny la guardò sorpreso non aspettandosi così tanta determinazione. «Mi piacciono le ragazze decise Matthews, ma è meglio se non ti metti in mezzo, perciò...» si avvicinò di nuovo, spostandole dietro l'orecchio una ciocca di capelli ricci che usciva ribelle dal berretto azzurro «restane fuori, d'accordo? Fallo per me.» concluse, allontanandosi definitivamente.
Solo il suono della seconda campanella fu capace di riportare la ragazza alla realtà.

RIFTWALKERS I - Il Grimorio Di Diamante - [Viaggio Tra Due Mondi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora