Capitolo 23 - Quel delicato filo che ci unisce chiamato amicizia

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Un brivido gelido salì lungo la schiena di Calen, mentre questo, immerso in un sonno troppo irrequieto, assisteva impotente all'ennesima scena che prese vita attorno a lui.
Si trovava all'aperto. Poteva dedurlo dalla vista di un cielo notturno, rischiarato dalla luce della luna e costellato di puntini bianchi luminosi, che illuminavano appena l'intero ambiente, e da un'infinita distesa d'erba che si estendeva a perdita d'occhio verso l'orizzonte.
Di fronte a lui si ergeva imponente una sorta di gazebo elegantissimo in pietra bianca e perfettamente liscia, con pianta circolare. Aveva l'aria di un santuario costruito nel bel mezzo del nulla, una struttura che doveva ospitare sicuramente qualcosa di estremamente prezioso.
Le colonnine che delimitavano la costruzione, atte a sorreggere un'enorme cupola a ombrello, erano estremamente sottili e perfettamente equidistanti fra loro, spoglie e candide, senza nemmeno l'ombra di un'imperfezione. La volta sferica invece, quasi stonava con l'austerità dell'intero complesso. Sulla parte esterna, si alternavano ornamenti floreali dorati in rilievo sugli archi diametrali e spicchi colorati di un tenue verde pastello che convergevano verso una lanterna sufficientemente grande da riuscire a irrorare di luce l'intera struttura. All'interno della costruzione, ben protetto, era infine, poggiato su un piedistallo centrale, un cristallo ovale dalle screziature bianche e nere, grande all'incirca trenta centimetri.
Calen trovò molto strano il fatto di essere riuscito a concentrarsi abbastanza a lungo su ciò che lo circondava, tanto da riuscire a coglierne dei particolari così definiti.
Di solito le visioni a cui era abituato erano troppo frenetiche e frettolose per raccogliere dei dettagli così nitidi, tanto che era costretto a ripete l'esperienza più e più volte per ricavare degli indizi.
D'improvviso fu costretto a distogliere lo sguardo, quando si sentì afferrare la mano in una presa gentile e delicata che lo indusse a voltarsi appena e a scontrarsi con il viso di Julian, sul quale era leggermente abbozzato un timido sorriso.
Il più grande portava i capelli leggermente più lunghi rispetto a come li ricordava Calen e, allo stesso modo, anche la mandibola solitamente spoglia era coperta da un lieve velo di barba. Sulla tempia sinistra era comparsa una cicatrice che, era sicuro, non possedesse. Aveva l'aria stanca, proprio come quella di qualcuno che non si concede qualche ora di sonno da troppo tempo e due occhiaie scavate in profondità.
Eppure non furono questi i piccoli particolari che lasciarono Calen del tutto sorpreso e sì, anche un po' sconcertato. Julian lo stava guardando teneramente, come non era mai successo e, subito dopo, Calen lo aveva visto prendergli la mano per portarsela alle labbra. Baciò il suo palmo aperto per poi farlo scivolare sul petto, intrecciandovi le dita, sussurrando qualcosa che lui non riuscì a comprendere.
Percepiva dentro di sé una strana felicità mista ad un'apprensione che non sapeva spiegarsi. Sapeva però che quelle emozioni non gli appartenevano completamente, ma che erano frutto di quella visione incredibilmente strana.
Sentì le sue labbra curvarsi in un sorriso smorzato e tirato, mentre annuiva a quello che evidentemente Julian doveva avergli detto.
Poi fu come essere colpiti da un'onda violentissima.
Si ritrovò a barcollare in avanti cadendo fra le braccia di Julian che lo aiutò a tenersi in piedi, nel mentre alcuni rumori forti e indistinguibili iniziavano ad aggredirgli le orecchie, confondendolo ulteriormente.
Senza rendersene conto iniziò perfino a contorcersi sotto le coperte, mugolando cose senza senso.
La vista iniziò a venirgli meno, sfocando tutto ciò che si trovava di fronte, facendogli percepire solo chiazze scure e deformi. Infine, la velocità con cui le immagini si susseguivano le une alle altre cambiò di colpo, come se avesse messo in riproduzione un film a velocità quadruplicata.
Come ultima cosa percepì solo il suo corpo sgretolarsi, come in una normale trasmigrazione e poi venire avvolto in un buio gelido che lo fece sobbalzare e urlare nella penombra della sua camera da letto.
Si svegliò di soprassalto, spossato, allucinato, zuppo di sudore e tremolante fra le coperte stropicciate che erano state scaraventate un po' dappertutto.
Era stato più terribile rispetto alle altre volte, più vivido, più vero.
Portò una mano al petto sentendo il suo cuore pulsare impazzito e il suo intero addome contrarsi furioso, cercando di incamerare ossigeno.
Mai prima di allora sperava che una visione potesse non prendere vita sul serio, perché la sensazione di essere avvolti in quell'oscurità impenetrabile lo aveva spaventato a morte.
Ancora frastornato, sentì dei passi nello stretto corridoio che separava la sua camera da quella dei suoi nonni per poi vedere Maggie fare timidamente capolino nella sua stanza.
La nonna si fermò sull'uscio, non azzardandosi a fare un singolo passo se non esplicitamente autorizzata, guardando preoccupata il viso pallido di Calen che ancora tremava.
«Tesoro, tutto bene?» domandò con voce bassa, rauca, ancora impastata dal sonno interrotto bruscamente.
Il ragazzo per contro annuì poco convinto, fermandosi ad osservare il bizzarro pigiama rosa confetto che Margaret aveva indosso. Non seppe perché, ma quel piccolo particolare ebbe il potere di calmarlo. Era come se avesse realizzato che in quel momento, con nonna Maggie di fronte, era completamente e assolutamente al sicuro.
Fingendo una convinzione che non possedeva, spiegò che credeva di aver visto un ragno nel suo letto e di essersi agitato nel tentativo di mandarlo via, dopotutto il suo essere aracnofobico era ben noto a tutti.
Maggie storse leggermente il naso.
Era ancora convinta che il nipote stesse omettendo di raccontarle qualcosa e sebbene il loro rapporto fosse migliorato notevolmente rispetto a quando Calen aveva iniziato la sua attività di viaggiatore, lei non aveva mai abbandonato il sentore che si nascondesse qualcosa di grosso dietro gli strani atteggiamenti del suo ragazzino. Ma era notte fonda e non era proprio il caso di intraprendere un'altra vana discussione, così si limitò ad annuire, accarezzandogli la testa nell'intento di calmarlo, mettendosi poi a risistemare le coperte alla ricerca di questo famoso ragno e facendo infine dietro front verso la sua camera, continuando a ripetersi che prima o poi quella fase sarebbe finita.
Appena Margaret uscì dalla soglia di camera sua, Calen si alzò andando a recuperare il suo Grimorio. Iniziò a sfogliarlo come ormai faceva sempre quando non riusciva a dormire. Continuava a pensare e a ripensare ininterrottamente all'ultima missione, a Rowena, a Lady Ariel, alle cose in più che aveva scoperto sul conto di Hollow, alle teorie sui viaggi dimensionali portate avanti con così tanta dedizione e all'ultimo nome che era saltato fuori in extremis: Raginor Quall.
Aveva sbattuto la testa a destra e a manca per cercare di ricordare a cosa ricollegare quel nome, ma non era servito a niente se non a farlo avvilire ancora di più.
Erim era troppo complicata per la sua povera mente da diciassettenne terrestre, troppo piena di misteri da risolvere, troppo piena di equilibri delicati che lui ancora doveva riuscire a comprendere e di squilibrati a piede libero.
Per quanto la sua forza di volontà fosse enorme e pronta a compiere i più impensabili sacrifici, a volte doveva riconoscere che questo non era sufficiente. Aveva bisogno di conoscere, di sapere cosa si trovava di fronte e, acquisire nozioni in modo così frammentato e rado, gli faceva solo venire un gran mal di testa. Eppure non riusciva a far capire ai suoi compagni, o meglio a Julian, che il suo modo di fare non serviva a niente e, in tutto ciò, doveva ancora capire se quell'ostinazione nel volerlo sempre tenere un passo indietro fosse dettata dalla sfiducia nei suoi confronti o da altro.
Quando la sveglia suonò impietosa, Calen fu tentato di spegnerla e girarsi dall'altro lato per continuare a dormire. Alla fine aveva sfogliato il suo Grimorio quasi per tutta la notte, perdendosi a ricordare tutte le fatiche che aveva compiuto da quando lo aveva sfortunatamente trovato. Era quasi impossibile da credere che avesse finito col trascorrere ad Erim più di tre mesi e che, nel mentre, nella sua dimensione ne fosse trascorso solo uno.
Un mese in cui era comunque successo di tutto.
Partendo dal principio, aveva fatto venire una crisi di nervi a sua nonna, inducendola a pensare di lui le peggio cose; aveva finito per far mettere in punizione due dei suoi tre tormenti personali, battendo ogni record mai registrato, aveva litigato con i suoi migliori amici di sempre, scatenando una guerra e, ultimo, ma non meno importante, era anche riuscito ad assistere al suo incubo peggiore: Fran e Danny insieme.
Nemmeno nelle sue fantasie più sfrenate avrebbe potuto immaginare una cosa del genere, invece era sicuro che quello che aveva visto pochi giorni prima non se lo fosse immaginato.
Era stato tentato dall'idea di avvicinarsi alla sua migliore amica e parlarle, ma alla fine aveva desistito. Sia perché si era ricordato il modo poco carino con cui si erano salutati, sia perché quando erano a scuola, Danny non le si scollava di dosso un attimo. Durante la pausa erano sempre assieme, in cortile, a parlare e lo stesso poteva dirsi per la mattina prima del suono della campanella. Faceva sempre un certo effetto vederli insieme a chiacchierare normalmente, come se tutto ciò che era accaduto negli ultimi due anni fosse solo una sciocchezza, come se l'uno non fosse mai risultato odioso all'altra.
Samuel invece mancava ancora all'appello dalla sera del suo compleanno e Calen doveva ancora trovare l'occasione per vederlo.
Era strano, tutto troppo strano per lui.
Come avevano fatto le cose a sfuggirgli di mano a quel modo? Come accidenti aveva fatto a rovinare l'unica cosa decente della sua intera esistenza in così poco tempo? Come era stato possibile che le sue priorità fossero cambiate così drasticamente?
Continuava a chiederselo e alla fine ad incolpare solo se stesso.
Con un sospiro scocciato, si tirò a sedere inforcando le ciabatte, scendendo poi al piano di sotto, talmente controvoglia da sbattere pesantemente i piedi al suolo ad ogni passo.
Sbadigliò senza preoccuparsi di coprire la bocca, mentre entrava in cucina e biascicava fra i denti un buongiorno, salutando i nonni e andando a sedersi al suo solito posticino, dove ad attenderlo c'era già una bella tazza fumante di latte.
Thomas alzò gli occhi dal giornale accantonandolo, per poi sorridergli ammiccante, sporgendosi sulla sedia verso di lui.
Calen conosceva bene quello sguardo.
Aveva visto il nonno rivolgerglielo un sacco di volte e, il fatto che avesse addirittura distolto l'attenzione dal suo amato quotidiano, era una conferma.
Thomas aveva avuto un'idea, un'altra illuminazione per un suo nuovo romanzo e, come da rituale, prima di proporla a qualsiasi altro essere vivente, questa doveva essere attentamente vagliata dal suo nipotino.
Dopotutto, il nonno era convinto che la fortuna dei suoi best sellers fosse dovuta al fatto che Calen promuoveva o bocciava in tronco qualsiasi cosa ritenesse opportuno. Lui era e sarebbe sempre stato il suo primo editore.
Con che forza riuscisse a parlare di quelle cose a colazione rimaneva comunque uno dei misteri dell'universo.
Inzuppando un biscotto nel latte, Calen si girò verso Thomas, blandendolo scherzosamente. «Devi ancora finire di pubblicare l'ultimo libro che hai scritto e stai già pensando al prossimo?»
L'altro rise di gusto. Suo nipote era davvero un ragazzo sveglio.
«Non decido io quando farmi venire un'idea. Queste bussano quando meno te lo aspetti.» sussurrò teatralmente, facendo scuotere il capo alla moglie. Ormai Maggie era così abituata alla stravaganza di suo marito che non ci faceva nemmeno più caso o meglio, aveva capito che era meglio starne fuori.
«D'accordo, allora? Di che si tratta?» domandò curioso.
Per quanto non gli piacesse ammetterlo, lui amava davvero quel lato creativo e fantasioso di suo nonno.
Thomas era capace di costruire da zero mondi che non esistevano, personaggi in carne ed ossa con emozioni vere e apparenze discutibili, condendo il tutto con situazioni assurde. Sempre con una tale facilità e leggerezza da lasciarlo interdetto. Calen ammirava il suo talento, rammaricandosi a volte di non possederne nemmeno un briciolo. Almeno avrebbe potuto dire di essere bravo in qualcosa, a parte fare figuracce.
Il nonno iniziò a gesticolare con enfasi, come al solito, impelagandosi nella descrizione della sua nuova favola avventurosa che, questa volta, seguiva le vicende di riscatto di un re tradito dalla sua stessa corte e per questo caduto in miseria.
Sicuramente un altro bel tomo da settecento pagine e più che il nipote avrebbe comunque divorato nel giro di una settimana.
Ma quando finalmente Thomas rivelò il nome con il quale aveva deciso di chiamare il suo protagonista, Calen per poco non si soffocò mandando di traverso una sorsata di liquido chiaro, facendosi immediatamente paonazzo.
«Ho deciso che proverò con un nome diverso dal solito, con qualcosa di comune, ma non troppo usato. Qualcosa che sappia di... uomo forte e maturo. Che ne dici di Julian? È un bel nome, no? Non si sente spesso e penso che venderà!» esclamò euforico il nonno, dando sfogo al suo lato imprenditoriale.
In quel momento, come se quelle parole fossero state una specie di incantesimo, l'unica cosa che si materializzò nella mente di Calen fu ciò che aveva visto in sogno quella notte.
Era riuscito a non pensarci sia durante tutta la nottata che aveva passato sveglio, sia appena alzato, ma al solo suono di quel , qualcosa nel suo cervello era scattato – proprio come l'interruttore che accende una lampadina –.
Julian, di solito, non era sinonimo di belle cose per lui, anzi. Solitamente tremava non appena il suo orecchio percepiva quelle tre consonanti e quelle tre vocali mischiate fra loro. Eppure, nonostante stesse cercando con tutte le sue forze di non rimuginare su quella visione, la cosa gli era evidentemente sfuggita di mano.
Aveva finito per soffermarsi solo sulla parte finale di quella visione, quella in cui si era scatenato l'inferno, ignorando il fatto che, il secondo precedente, aveva visto Julian prendergli una mano e baciarla in atteggiamento troppo confidenziale. Si sentiva frastornato come una ragazzina alle prime esperienze e non è che il paragone fosse tanto sbagliato.
Era sicuro che, quel gesto e che quelle sensazioni vissute all'interno della visione, fossero frutto di un lunghissimo trascorso che nella sua mente rifiutava di prendere forma.
Non riusciva proprio ad immaginare il suo rapporto con Julian diverso da come era in quel momento, ma quei fotogrammi futuri gli stavano aprendo la mente a troppe ipotesi sul come potessero essere giunti a quei livelli e la curiosità di voler scoprire quale di queste ipotesi fosse quella corretta, lo stava mandando al manicomio.
La sua mente si rifiutava anche solo di credere per un momento che quello che aveva visto potesse mai realizzarsi. Aveva anche pensato che, forse quella, alla fine, non fosse neppure una visione, ma solo un incubo giocato dalla stanchezza e dai troppi viaggi extradimensionali.
Non sarebbe mai riuscito ad andarci d'accordo probabilmente e lo dimostrava il fatto che, se anche Julian gli aveva promesso di impegnarsi a cambiare atteggiamento nei suoi confronti, nulla era in realtà mutato. Le liti erano rimaste, le esclusioni pure, perfino il modo che aveva di smontarlo e metterlo in ridicolo non era scomparso. Non c'era verso che il loro rapporto potesse mai sbocciare anche solo in una timida parvenza di amicizia normale. Quello che comunque lo turbava al momento era il fatto che non sapeva dire o meno se, una volta che si fosse trovato faccia a faccia con la fonte della sua esasperazione, sarebbe riuscito a dissimulare e a non cadere in atteggiamenti strani. Forse, conoscendosi, era più probabile che avrebbe finito col pensare a quell'immagine traditrice ogni volta che i suoi occhi si fossero fermati in quelli blu del più grande.
Se prima era confuso riguardo i suoi sentimenti, quello era stato decisamente il colpo di grazia.
«S-sì, va bene. Insomma, se piace a te...» strascicò in una risposta - per Thomas assai deludente - dopo essersi ripreso da quell'elucubrazione durata meno di tre secondi.
«Non so, mi sembrava buono.» insistette il nonno osservando il nipote agitarsi sulla sedia, come se sulla seduta fosse stata piantata una foresta di spilli.
«Allora penso che dovresti chiamarlo così, dopotutto è una tua decisione.» replicò ancora Calen, sperando di far cadere quel discorso che, senza un motivo apparente, per lui era diventato estremamente imbarazzante.
Thomas annuì non del tutto convinto chiedendosi cosa potesse avere quel nome di così strano per scatenare tutta quell'ansia. «D'accordo.» si arrese alla fine, tornando a concentrarsi sul suo periodico, avendo momentaneamente perso tutto l'entusiasmo iniziale.
Dopo quella visione e dopo la colazione burrascosa, Calen aveva capito che, anche quella mattina, si era rivelata una mattina iniziata proprio dal verso sbagliato.
Per l'ennesima volta si era ritrovato a percorrere il tragitto da casa a scuola con la sola compagnia del suo inseparabile lettore musicale e di una pioggia torrenziale venuta giù all'improvviso. Odiava quel periodo di ottobre, sempre pioggia, vento e nuvole. Un tempo grigio, proprio come il suo umore in quel momento.
Non aveva mai pensato alla solitudine come a un qualcosa di brutto, anzi, si poteva dire che avere i suoi spazi fosse per lui una necessità, una cosa che gli era sempre piaciuta. Eppure nell'ultimo periodo si sentiva svuotato completamente, come se non riuscisse più a chiamare sue le cose che un tempo credeva lo fossero. Sentiva la mancanza di qualcosa, anche se non sapeva spiegarsi esattamente di che cosa si trattasse. Andava avanti sentendo sempre maggiore distanza fra sé e quello che lo circondava, come se ci fosse un piccolo muro invisibile a separarlo da tutto, come se il suo mondo non gli appartenesse più e forse era proprio così.
Ogni giorno che passava si sentiva sempre più spaccato a metà, con i pensieri che lo trascinavano da una parte e dall'altra senza controllo, senza ordine, senza logica.
Stava lentamente impazzendo e non solo a causa dei continui sbalzi temporali, ma anche a causa della sua doppia vita diventata quasi impossibile da gestire.
Un minuto prima parlava di magia, morti e complotti, mentre quello dopo se ne stava tranquillamente seduto al banco in una delle aule della sua scuola, ascoltando una noiosissima lezione e trovava le due cose estremamente inconciliabili. A volte arrivava persino a dubitare della sua stessa realtà.
Dopotutto se esistevano mondi paralleli e dimensioni alternative, perché tutto quello che gli accadeva doveva essere necessariamente considerato vero e reale? Perché porsi tutti quei problemi, se la causa che li scatenava poteva benissimo essere un'illusione?
Volente o nolente non poteva fare a meno di sentirsi totalmente e incondizionatamente dipendente da quell'illusione. A volte pensava a come sarebbe stato se non fosse più tornato a casa, mentre altre volte pensava a come sarebbe stato se non avesse più potuto trasmigrare. Alla fine, finiva sempre per sentirsi in colpa per le risposte che trovava. Non era più in pace con se stesso da un bel po' e iniziava a credere sul serio che, prima o poi, sarebbe crollato per davvero. D'altra parte questo è ciò che accade a qualcuno che crede alla finzione che la propria vita sia ordinariamente normale.
Andare a scuola, preoccuparsi per delle litigate fra amici, preoccuparsi di essere nel mirino di qualche idiota senza migliore occupazione che tormentare la vita di qualcun altro, preoccuparsi dei voti, di non fare tardi a lavoro, di convincere i parenti che sia tutto a posto. Gli sembravano cose così banali.
Ricordava come Scarlett all'inizio gli avesse rivolto più o meno queste stesse parole, facendogli intendere che, per quanto lui credesse che i suoi problemi fossero enormi e irrisolvibili, ce n'erano sempre di peggiori dietro l'angolo e Calen, alla fine, aveva potuto sperimentarlo direttamente sulla sua pelle.
Aveva cambiato modo di vedere le cose, aveva cambiato il modo di affrontare le cose e forse, ora, tutto quello a cui era sempre stato abituato iniziava a stargli decisamente stretto.
Eppure si sentiva ancora bloccato a metà strada; fermo in una sorta di limbo del quale non vedeva la fine; intrappolato in un quotidiano divenuto troppo piccolo, ma con la consapevolezza di essere ancora troppo mediocre per un universo che non conosceva ancora fino in fondo.
Ce la farò mai? si chiedeva ogni tanto e l'assenza di qualcuno capace di sollevarlo dai suoi dubbi, dandogli qualche sicurezza, faceva pesare sempre di più quell'interrogativo.
A conti fatti Calen non aveva nessuno con cui sfogare le sue crisi esistenziali.
A Erim erano tutti troppo presi da questioni decisamente più impegnative e lui aveva percepito forte e chiaro il fermento proveniente da ciascuno dei suoi compagni, il nervosismo che cresceva di giorno in giorno, dettato dalla frustrazione di essere sempre e comunque un passo indietro rispetto al loro nemico.
A casa invece nessuno avrebbe compreso quello che stava attraversando, nessuno gli avrebbe creduto più che altro e, soprattutto, nessuno in quel momento gli ispirava la fiducia necessaria per farlo aprire. Era triste il solo pensare che poco tempo prima a Fran e a Samuel avrebbe affidato la sua stessa vita, mentre, in quel momento, sembravano essere diventate due persone qualunque, esattamente come tutti gli altri.
Forse era veramente colpa sua come gli avevano detto, colpa dei suoi atteggiamenti diversi, colpa delle sue nuove stravaganze. Ma gli amici non dovrebbero rimanere accanto in qualunque circostanza? Non dovrebbero essere una specie di seconda famiglia? Non dovrebbero cercare di capire e supportare un compagno nel momento del bisogno?
Tutto quello che sapeva era che Fran non ci aveva pensato due volte prima di simpatizzare con gli stessi tizi che gli avevano fatto conoscere l'inferno per ben due anni, con le stesse persone che lei stessa aveva sempre disprezzato. Mentre Samuel non aveva nemmeno riflettuto prima di metterlo in mano ad un pervertito, sentendosi addirittura in diritto di poter sparare sentenze sulla vita che conduceva.
Ed era inutile dire che, tutto questo, lo aveva ferito più di tutte le ginocchia sbucciate, dei tagli, delle contusioni e dei fallimenti che aveva collezionato da quanto faceva la spola fra il suo mondo ed Erim.
Era inutile dire che, varcando il cancello di quella scuola che lui tanto odiava e vedere quella che un tempo era la sua migliore amica già in cortile, avvinghiata al braccio di Danny, non gli avesse fatto nascere una stretta allo stomaco tale da lasciarlo momentaneamente senza fiato.
Per un secondo gli occhi di Fran incontrarono quelli di Calen che, come paralizzato, guardava insistentemente in sua direzione.
Fran si era sentita in colpa, una traditrice forse, una codarda per non aver parlato al suo migliore amico di quello che si era accorta di provare verso una di quelle persone che tecnicamente non avrebbe mai dovuto frequentare. Eppure, per come stavano andando le cose, non si sentiva nemmeno in dovere di dargli delle spiegazioni.
Erano giorni, o forse settimane che Fran rimuginava su cosa fare. A casa, a scuola, tutti l'avevano vista assente, persa con la testa fra le nuvole, impegnata a scegliere cosa fosse più giusto fare: dare retta ai suoi sentimenti o rimanere fedele al proprio migliore amico.
Tutti tranne Calen.
Negli ultimi tempi al biondo sembrava non importasse più niente né di lei né di Samuel che, dal canto suo, si era impegnato tantissimo per starle vicino e per consigliarle cosa fare. Avevano discusso così tante volte per colpa sua e lui nemmeno lo sapeva, molto probabilmente. Così come sicuramente non sapeva che se Chase, Paul e Danny si erano dati una calmata era stato sostanzialmente grazie a lei. Calen si era distanziato, allontanato nel suo mondo al quale non era consentito l'accesso a nessuno e, da troppo tempo ormai, né Fran né Samuel avevano sentito uscire dalle sue labbra un «come state?».
Non sapevano più come prenderlo, come comportarsi o cosa dire visto che, in ogni situazione, Calen sembrava essere sempre sulla difensiva, come se ormai prendesse qualunque cosa come un'offesa.
Non sapevano più come fare ad avvicinarsi e, da qualche giorno, si erano anche stancati di essere gli unici a provare a fare qualche sforzo per rimediare alla situazione che si era creata.
Eppure lo sguardo che Calen aveva in quel momento, aveva fatto credere per un attimo a Fran che lui non si fosse reso conto, nemmeno in quel momento, di come le cose stessero realmente. Lo sguardo che aveva era quello di un amico ferito, che viene tradito nel peggiore dei modi e questo l'aveva inevitabilmente fatta sentire uno schifo per l'ennesima volta.
Fu esattamente in quel momento che decise di provare a fare un ultimo tentativo.
Gli avrebbe parlato un'ultima volta, avrebbe fatto lo sforzo di essere lei la prima ad avvicinarsi per l'ultima volta e se anche in quel caso niente sarebbe cambiato, sarebbe stato chiaro che ormai le loro strade erano costrette a separarsi una volta e per sempre.

RIFTWALKERS I - Il Grimorio Di Diamante - [Viaggio Tra Due Mondi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora