Elena

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Venerdì 30 settembre 2016

Elena aveva sempre odiato il rumore del tapis-roulant.
Eppure, neanche le cuffiette riuscivano a eliminarlo del tutto.
Sospirò, gli occhi stretti in un'espressione di fastidio.
Spense la macchina e si decise a scendere asciugando il sudore con il piccolo asciugamano che si portava dietro.
Guardò l'orologio respirando profondamente.
21:56
Era davvero ora di tornare a casa.
So cambiò in fretta e uscì salutando l'allenatore con un gesto della mano. Si rimise le cuffiette alle orecchie, e si avviò verso la metro.
La periferia di Roma aveva un'aria magica la sera: così unica che ti entrava nel cuore.
Il freddo pungente le faceva congelare il naso e le dita delle mani, ma lo apprezzava, questo l'avrebbe resa più resistente.
D'altronde era su questo che si basava la sua vita.
Resistenza.
Forza.
Già, forza.
Ma quanta ne aveva?
Quanto poteva continuare con quella vita?
Tornò a guardare le luci della via Casilina, in quel tratto dove si incrocia con Torre Maura. Brutta zona.
Poi spostò lo sguardo vero la stazione della metro C, le luci fredde dai riflessi verdi la facevano sembrare come un'inquietante oasi si salvezza in un mare di oscurità.
Respirò con la bocca, e una nuvoletta di vapore le offuscò i pensieri.
Così, entrò nella stazione della metro.

Una volta a casa si cambiò dopo essersi fatta una lunga doccia. I suoi non erano ancora a casa, strano dato l'orario. Era distesa sul divano a guardare un demenziale programma di aspiranti cantanti in tv, quando il campanello trillò.
La ragazza si diresse alla porta, sicura fossero i suoi genitori.
Aprì, e si ritrovò di fronte il suo ragazzo, Marco.
-Ehi...
Elena sussurrò abbassando lo sguardo. I capelli ricci le cadevano morbidi sulle spalle ma era struccata, e non si aspettava visite.
-Ciao, piccola.
Il ragazzo la baciò.
Lei rimase dov'era, sul ciglio della porta, come a sbarrargli la strada.
-Allora, mi fai entrare o no?
Marco fece tintinnare le chiavi che portava attaccate alla cintura e mosse le spalle in avanti, come per controllare se ci fosse qualcuno in casa.
-Veramente...
-Oh, su, non fare la stronza.
I suoi toni erano duri, la sua voce rauca.
Poi, con una spallata, entrò.
Si diresse sul divano, appoggiando testa al bracciolo, e incrociando le gambe sul tavolino.
-Portami da bere.
Ogni volta la stessa storia. Ogni volta che lo incontrava.
Era il classico cliché dell'uomo ubriacone e violento, e lei era la donna vittimizzata.
Ecco cos'era.
Una vittima.
Debole.
Ma no, lei era forte.
Anche fisicamente.
Andava tutti i giorni in palestra, si allenava duramente. Avrebbe potuto batterlo, se avessi voluto.
Ma lui la amava.
Non poteva deluderlo.
Gli portò una coca cola e la poggiò sul tavolo.
-Ehi, Elena.
Marco la osservava.
-Vieni qua, stasera ho voglia.
Elena si ritrasse, andando a sbattere sulla tv.
Stava tremando. Come sempre.
"Perchè dio, perchè? Perchè io?"
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
-Non... posso. Ho il ciclo.
-Ma chi se ne fotte
Il ragazzo ridette, con il suo tono grave.
-Vieni dai, che quella puttana non c'era oggi al bar.
Marco scattò in piedi, prendendola per i fianchi e portandola sul muro. Poi, le afferrò la testa e fece per farla abbassare.
-No.
Elena si scansò.
-Ti ho detto che non posso.
Cercava di mantenere un tono calmo e di non guardarlo negli occhi, o sarebbe scoppiata in lacrime. Ma lui si era già slacciato i pantaloni e si avvicinava con aria furente.
Marco era un ragazzo di 16 anni molto alto e robusto, si erano conosciuti in palestra. Aveva già il pizzetto che racchiudeva un viso scolpito da molte cicatrici.
All'inizio era gentile.
Poi aveva conosciuto i suoi amici.
Poi aveva scoperto che la notte andavano a bruciare le panchine nei parchi.
Poi aveva scoperto che loro erano i responsabili del pestaggio di un ragazzo gay alla fermata dell'autobus.
Poi aveva scoperto che Marco faceva parte di un gruppo criminale di spaccio e traffico di armi di Roma.
Poi.
Poi, lui la amava.
Poi, lei era sua.
Poi, lei gli apparteneva.
Poi.
Si avvicinò, e ancora una volta poggiò il suo corpo contro il suo, sussurrando frasi che avrebbero fatto vergognare il demonio.
E lei, di nuovo, si scansò.
Lui la prese e le tirò un ceffone, con la sua forza da sedicenne in cerca di sesso.
La guancia di Elena sanguinò.
-Eddai, elè, sei te che mi fai arrivare a sto punto.
Lui riprovò ad avvicinarsi, ed Elena lo lasciò fare, sconvolta dal gesto.
La abbracciò, in un abbraccio freddo che sapeva di lussuria, non di amore.
Poi Elena inizio a piangere.
E lui la lascio fare.
Approfittò di lei, del suo corpo traumatizzato e immobile.
La buttò sul pavimento.
Lui scagliava su di lei ogni suo singolo desiderio sessuale, ogni sua perversione.
Lei era il suo giocattolo.
Quando ebbe finito, si riallacciò i pantaloni e se ne andò, senza salutarla.
Lei rimase lì.
Sul pavimento freddo, che le faceva gelare il naso e le dita delle mani. Ma a lo apprezzava, perchè la rendeva resistente.
Resistente.
Resistente.
Rimase la, sul pavimento ghiacciato, le lacrime che le rigavano la faccia, i pantaloni del pigiama strappati via con violenza, la pancia che le faceva male per la violenza ricevuta, l'innocenza rubata, la guancia sanguinante.
Aveva solo 14 anni.
14 anni della sua vita che aveva passato a lottare per non diventare una delle tante.
E ora cos'era?
Cos'era diventata?
Avrebbe potuto fermarlo.
Avrebbe dovuto.
No, lui la amava.
Si alzò, cercando di pulire il casino.
E ci riuscì, come sempre.
I capelli le cadevano morbidi sulle spalle.
Era distesa sul divano, fissava il muro.
La porta di casa si aprì.
-Ehi, tesoro, scusa il ritardo, problemi con il capo, tutto ok?
Era la madre.
Elena sorrise.
-Si.
Tutto bene.

La notte non dormì.
Tanto lo sapeva, domani, se le fosse andata bene, sarebbe successo lo stesso.
Oppure, se Marco era di cattivo umore, l'avrebbe costretta a venire a casa sua, e lì l'avrebbe picchiata. Si divertiva così, a volte.
Le ripeteva spesso scusa, che lui a volte era un po'manesco. Lei se ne andava, con l'espressione spenta e qualche nuovo livido su braccia e gambe.

Il cellulare squillò, illuminando con lo schermo la stanza buia.
Due nuovi messaggi.

Da Marco:
Scusami per stasera amore. Ma sto periodo c'ho bisogno, lo sai.

Elena lo ignorò
Poi, da un mittente sconosciuto:

Attenta bimba, o la purezza non sarà l'unica cosa che perderai...
Allegata, una foto:
Ritraeva il momento in cui Clara veniva uccisa, nella sua camera da letto.

Maria era la ragazza di uno degli amici di Marco. Si diceva che lui fosse il più spietato di tutta la banda, che fosse il "capo".
Maria l'aveva conosciuto per un giro di droga che lui gestiva, ma lei si era innamorata di lui, per davvero, erano addirittura andati a convivere. Elena non l'aveva mai incontrata.
Lui aveva levato tutte le porte dentro casa, in modo che lei non si potesse nascondere, e così era libero di abusare di lei in tutti i modi, anche in gruppo, con gli altri amici. Girava voce di vere e proprie torture dentro quella casa, ma Maria non poteva fare niente contro di lui.
Così lui un giorno è arrivato ad ucciderla.
L'ha uccisa con un ferro da stiro
Gliel aveva raccontato Marco, giurandole che lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere, giurandole amore eterno.
Ma quel messaggio.
Così tetro e così pieno di verità.
Chi era stato?
Forse sarebbe dovuta semplicemente andare dalla polizia.
Ma non le avrebbero dato ascolto, una quattordicenne vittima di abusi, figuriamoci.
E poi marco la amava.
Forse lei sarebbe stata la prossima Maria, è vero.
Forse, doveva solo lasciarlo.
Ma se l'avesse lasciato che ne sarebbe stato di lei?
Come avrebbe reagito la sua anima furiosa?
Ma no, tanto lui la amava, era solo un periodo di stress, avrebbe smesso.
"Lui mi ama" continuava a ripetersi "Lui mi ama".
Lui mi ama.

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