Ludovica

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Sabato 1 ottobre 2016

La ragazza tornò a casa, stanca per l'ennesimo giorno di scuola che sembrava durare dieci ore invece che cinque.
Ma non c'era tempo da perdere, doveva mettersi a lavoro, subito.
Tirò fuori dallo zaino il libro di latino, e iniziò a sottolineare alcune frasi.
Provò a ripetere, ancora e ancora finché gli occhi non le facevano male.
Poi, posò il libro e sospirò, strizzando le palpebre.
Guardò l'orologio: 15:32. Era passata un'ora.
Si diresse in cucina, dove la aspettava il pranzo che la madre le aveva lasciato: mangiò di corsa, senza pensare a nulla.
Appena finito si diresse rapida verso il bagno, dove si struccò e si legò i capelli. Doveva ricominciare a studiare, subito.
I suoi piani furono interrotti dall'improvviso squillo del citofono.
Ludovica imprecò mentalmente.
-Chi è?
-Apri Ludo.
-Mamma... dovevi tornare stasera...
-Si beh... c'è stato un imprevisto.
-Ma...
-Vuoi aprirmi o mi lasci qui fuori?
La ragazza aprì la porta, e lasciò entrare la madre.
Clara Demedici.
-Ciao amore.
Abbracciò la figlia, tenendola stretta.
-Com'è andata a lavoro?
-Imprevisti...
-Del tipo?
-Quante domande oggi eh...
La donna sorrise leggermente.
Ludovica considerava sua madre una grande donna. Lei era forte, entrata prima nell'esercito e poi in polizia, aveva risolto un sacco di casi è beh, era l'unica che l'aveva cresciuta.
Forse un po'militarmente, ma le voleva bene.
Ludovica guardò il lampadario.
Lo faceva ogni giorno.
Quel lampadario.
Da dove era iniziato tutto.
Quel maledettissimo giorno di sette anni fa, quando il padre era morto sotto le macerie dell'Aquila.
Lei era a Roma.
Non aveva potuto fare nulla per salvarlo.
Scacciò via quei pensieri, cercando di tornare a studiare. Ma in quel momento, successe qualcosa di parecchio insolito.
La madre aveva lasciato la porta dello studio leggermente socchiusa.
Era un evento.
Ludovica si precipitò dentro, dopo aver controllato che la madre fosse sotto la doccia.
Sua madre si chiudeva per ore li dentro, lì c'era tutto il frutto del suo lavoro, tutte le sue teorie, tutta la sua mente.
I pannelli di sughero attaccati alle pareti mostravano vari casi, con fogli e foto collegato da frecce e schemi.
Ma in uno, quello al centro, la ragazza trovò qualcosa di molto strano.
Le foto di tutti i ragazzi della sua classe, compresa lei.
Ci mise un po'a capire, ma quando arrivò fece male: sua madre stava indagando sui suoi amici. E non le aveva detto nulla.
-Ludovica!
La ragazza si girò di scatto, l'espressione furente.
-Mamma! Come hai potuto?
-Esci subito da qui!
La madre era paonazza in volto, un po'per la rabbia, un po'per la vergogna.

Ludovica era seduta fuori, in attesa di qualcosa. Il portico di casa sua era abbastanza largo, quanto basta da poterci mettere un'altalena da veranda.
Iniziò a dondolare, il libro di storia sulle gambe.
Aspettava.
Aspettava che la madre la facesse rientrare in casa.
Aspettava che ci capisse qualcosa in tutto quel casino.
Aspettava un segno. Qualcosa di buono nella sua vita.
Il cielo azzurro e limpido, senza nuvole eppure così freddo, così distante. Come lei.
Mentre dondolava, vide una ragazza avvicinarsi a lei. Era molto bassa, cosa che condividevano, ma a differenza di lei era molto più tozza e cicciottella. Portava dei piccoli occhiali e aveva i capelli lunghi che le scendevano sulle spalle.
Non era della sua classe, ma la riconosceva, era una delle amiche di Laura, frequentava il liceo linguistico. Era quella che tutti consideravano un po'svitata, molto sicura di sé, probabilmente troppo.
Era vestita con una maglietta viola un po' troppo stretta e dei jeans neri, che stonavano con le converse bordeaux.
Si avvicinò col suo solito fare un po'altezzoso, e con la sua voce gracchiante domandò:
-Che ci fai qui tutta sola?
Poi, senza chiedere il permesso, si sedette accanto a lei.
Ludovica la guardò perplessa.
-Non sei con tua madre?
Continuò la ragazza, tirando fiori dallo zaino un pacchetto di patatine, che iniziò a mangiucchiare.
Ludovica si alzò di scatto.
Non era mai stata empatica con le persone, ma quello era davvero troppo.
-Se devi parlare con lei é dentro, ma non ti posso far entrare senza un appuntamento.
Ripetè con voce fredda.
-Oh no, non devo parlare con lei. Devo parlare con te.

La conversazione che seguì sembrò un sogno da Ludovica. Era così irreale. E soprattutto era tutto così irrazionale.
Eppure sentiva di potersi fidare di lei. Era una sensazione... strana.
Quella ragazza parlava con voce spedita, raccontandole e chiedendole di tutta la sua vita. Era molto provocatoria, ma sembrava non importarle.
In poco tempo, le due diventarono amiche.
Scoprì che la ragazza si chiamava Marta, proprio come la sua migliore amica.
Già, chissà dov'era Marta.
-E tua madre? So che è un'agente di polizia...
-Già..
-E com'è, intendo caratterialmente...
-Beh lei è... dura.
Ludovica iniziò a raccontarle tutto.
Tutto ciò che si teneva dentro da anni.
-Lei mi ha cresciuto come fossi un soldato. Una volta mi ha regalato un cane, ci tenevo molto. Mi ha detto di addestrarlo e così siamo diventati amici. Lui era il mio cane.
Un giorno sono tornata a casa e non l'ho più trovato. Erano passate solo due settimane da quando me l'aveva regalato... mi sono affacciata dalla finestra e l'ho vista seppellirlo in giardino. Ho scoperto successivamente che era stata lei a farlo fuori.
"Ciò che non ti uccide, ti fortifica", mi ripete sempre.
-Io credo sia diverso.
Disse Marta sospirando.
-Ciò che non ti uccide ti fa sperare tu fossi morto.

Quando Marta se ne andò, Ludovica tornò dentro casa. Trovò la madre che la aspettava nel soggiorno, seduta sulla poltrona, come un anziano patriarca in attesa di enunciare la sua condanna.
Ludovica entrò silenziosamente, mettendosi a contare i fili del suo maglione, pur di non affrontare faccia a faccia la madre.
La donna stava per iniziare a parlare, quando il rumore del suo cellulare la interruppe. Rispose, farfugliando codici incomprensibili.
Poi, prese la macchina, e senza rivolgere neanche uno sguardo alla figlia, se ne andò per il viale.
Ludovica rimase lì.
Si rimise sull'altalena del portico, e notò solo in quel momento un foglio, caduto probabilmente dallo zaino di Marta.
Era stropicciato, scritto in grafia incomprensibile, mostrava cinque gruppi di domande su sua madre e un certo Marco Deangelis. Eppure quella grafia le sembrava così familiare.
Piegò il foglio e se lo mise in tasca.
Poi sospirò, e per la seconda volta in quella giornata così strana, decise di fare qualcosa di insolito.
Chiuse casa, e iniziò a camminare, seguendo le tracce lasciate dai pneumatici della macchina della madre.

Le tracce conducevano a scuola. La sua scuola.
Cos'era successo?
Aveva a che fare con i fogli visti nel suo studio?
Si avvicinò all'entrata, superando il cortile.
Ciò che la aspettava, nell'atrio, la lasciò traumatizzata.
Il cadavere di Marta giaceva appeso sul tetto dell'ingresso della scuola. Un braccio era tirato da un lato con un filo di ferro, l'altro agganciato specularmente dall'altro lato, formando un macabro crocifisso.
Il torace era stato tagliato a metà, e molti degli organi erano caduti per terra, insieme all'enorme quantità di sangue cosparso sul pavimento.
Il corpo era interamente coperto di schizzi di sangue, come se ci fosse stata una colluttazione. I lunghi capelli corvini erano bagnati ed erano stati tagliati. Il viso, contrito in un'espressione di dolore, era accasciato su una spalla.
Sul muro era stato scritto col sangue: ECCO CHE FINE FANNO LE STRONZE.
Ludovica gridò.
Gridò con tutta l'aria che aveva nei polmoni.
I poliziotti, quando si accorsero della sua presenza la presero, per portarla fuori. Lì, circondata da macchine della polizia, c'era la madre, che parlava concentrata col medico legale.
Quando la vide la guardò con disappunto.
-Ludovica, ma che ci fai qui?
Lei era troppo scioccata per rispondere.
Si reggeva a malapena sulle gambe.
Il poliziotto la poggiò a terra, e la madre si accovacciò, per poterle parlare faccia a faccia.
-Mi devi ascoltare ludo. Ora ti lascio qui con...
Il suo discorso fu nuovamente interrotto da una chiamata sul suo cellulare. Rispose quasi infastidita. Tutto quello che Ludovica riuscì a sentire fu "Due cadaveri, mezz'età, trovati poco fuori roma".
Poi, la madre se ne andò.
E lei rimase lì, sola, seduta sul duro asfalto del cortile, a fissare il nulla.
Poi, un messaggio.
Ludovica lo aprì, tremando.
Era scritto con uno strano carattere rosso, che la ragazza non sapeva neanche fosse possibile inserire nelle impostazioni.

Tu sei la prossima.

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