Irene

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Irene scriveva velocemente al computer, cercando di non sbagliare.
Guardò l'orario, sulla parte bassa del schermo: 19:30.
Doveva sbrigarsi.
Mise l'ultimo punto a fine frase, e chiuse con forza il portatile.
Era così stanca.
Si spostò sulla scrivania, dove giacevano sparsi decine di pezzi di giornale, foto e appunti.
Irene era una scrittrice, aspirante giornalista. Il problema, era che per avere uno scoop decente doveva avere qualcosa di decente su cui scrivere.
Settimane prima, era successo ciò che era successo nella sua scuola. Marta Ferrini, l'amica di Laura, era morta in quella maniera orribile.
E Irene, nelle settimane successive, aveva investigato, più che poteva.
Non era riuscita a ricavare nulla, ovviamente.
Doveva andare in profondità, ma in che modo?
Quel caso stava diventando la sua ossessione.
Si portò le mani ai capelli, e si stropicciò gli occhi. Guardò la tazza di caffè vuota, e la tiepida luce della lampada lì accanto.
Si avvicinò al vetro della finestra, osservando fuori la densa oscurità.
In quel momento, sentì un rumore dall'ingresso.
Non potevano essere i suoi, quella sera sarebbero tornati tardi.
Si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, e uscì dalla sua stanza.
Una figura incappucciata stava in piedi sullo stipite della porta, fissandola attraverso una maschera bianca.
La ragazza gridò.
Gridò con tutto il fiato che aveva, e corse nella direzione opposta, chiudendosi in bagno.
Era nel panico.
Sentiva i suoi passi, lo sentiva avvicinarsi alla porta. Irene afferrò velocemente il ferro per arricciare i capelli, e lo impostò alla temperatura più alta.
Un colpo dopo l'altro, sempre più forti,la porta non avrebbe retto a lungo. Improvvisamente, la serratura cedette, ma Irene non si fece trovare impreparata. Scagliò il ferro sul braccio della persona incappucciata e tenne premuto più forte che poteva.
La figura urlò, una voce acuta e femminile.
Irene la spinse atterra, mentre si dimenava per il dolore.
Prima che potesse reagire, le strappò dalla faccia la maschera.
-Camilla?
Urlò la ragazza.
-Che cazzo fai in casa mia?

Le due rimasero in silenzio per parecchio. Irene offrì del ghiaccio all'amica, poi cercò di aggiustare la serratura meglio che poteva.
Si sedette su una sedia, e fece fare lo stesso a Camilla.
-Ora, hai intenzione di parlare? Se era uno scherzo, non mi arrabbierò.
Camilla la fermò con un gesto della mano.
-Non era uno scherzo.
Sospirò.
-Non volevamo farti del male, solo spaventarti...
-Tu e...?
La incalzò Irene, impaziente.
-Martina.
-Martina?
-Si, la nostra compagna di classe.
So che sembra assurdo, ma ha a che fare con un giro di criminalità organizzata qui a Roma. Non so molto, non me ne ha parlato molto, mi ha semplicemente detto che ti sei intromessa in alcuni affari gestiti da loro. Voleva che ti spaventassi in modo che tu non continuassi-
Irene sapeva benissimo a cosa si riferiva Camilla. Ma questo era un pezzo importante per il suo articolo.
-Non ho nulla contro di te...
Continuò la ragazza.
-Ma Martina sa alcune cose su di me...
-Capisco.
La interruppe Irene.
-E questo di da il permesso di fare irruzione in casa mia, in quel modo?
Camilla sembrava spiazzata.
-Io...
-Vattene.
Camilla su alzò in silenzio, diretta fuori dall'appartamento. Quando ebbe chiuso la porta, Irene rimase sola, seduta su quella sedia di legno con la testa fra le mani.
Aveva bisogno d'aiuto.
Non poteva gestire tutto quello da sola.
Accese il telefonino.
20:03.
Un nuovo messaggio.

Tesoro, credi davvero di essere sicura nella fortezza che ti sei costruita? Non lo sei. Nessuno è più al sicuro.

Stava impazzendo? Non lo sapeva più.
Rimase lì, la stanza illuminata dalla fioca luce della lampada, come un lontano riparo dall'oscurità che avvolgeva casa sua, che avvolgeva le anime della gente in quel periodo, che avvolgeva la notte silenziosa, eppure così piena di rumori.

Quella notte, non riuscì a dormire.
Si chiese come fosse possibile, che nonostante tutto ciò che stava accadendo, la gente riuscisse a rimanere normale, a salutarsi nei corridoi come nulla fosse.
Camilla aveva appena fatto irruzione in casa sua come se nulla fosse.
Doveva capirci qualcosa, doveva arrivare al punto, e terminare quell'articolo infinito.
Si alzò dal letto e si vestì in fretta, cercando di non svegliare i suoi genitori. Uscì di casa, senza una meta precisa, le cuffiette nelle orecchie e gli occhi stanchi.
Camminava per una strada rettilinea, che conduceva da casa sua alla scuola.
Arrivò al largo edificio, che si presentava esternamente come una scuola costruita intorno alla metà degli anni '90.
Il suo smartphone trillò nuovamente.

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