Capitolo 3: 5 aprile 1985

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Il sole all'orizzonte bruciava ancora nonostante l'avanzare della sera lo portasse a nascondersi dietro il mare, come sempre calmo e placido. I colori intorno erano a dir poco magnifici: un rosso acceso illuminava ogni cosa, trasformando la sabbia bianca in una meravigliosa distesa dorata. Tutt'intorno la tranquillità iniziava ad avanzare e mentre qualcuno usciva dall'acqua cristallina e sempre calda, qualcun'altro vi si tuffava diventando un tutt'uno con essa. Una divertente e ballabile melodia caraibica si diffondeva nell'aria grazie a due altoparlanti sistemati al fianco del cancello di ingresso, dove camerieri vestiti di bianco si aggiravano veloci, ma silenziosi con vassoi stracolmi di bicchieri riempiti con cocktail e bandierine colorate.

Solo una nota stonava in quel dipinto di calma e serenità. Lei, che era solo una bambina, se ne stava seduta sulla spiaggia, schiena poggiata su il tronco di un albero e le ginocchia rannicchiate al petto. Non rideva, non giocava. Con il broncio tratteneva lacrime di rabbia. Possibile che sua mamma dovesse sgridarla proprio davanti a tutti? Erano appena arrivati, lei non conosceva nessuno, ma era sicura che mai un bambino avrebbe giocato con quella piccola peste che faceva urlare la mamma in quel modo. Sempre che ci fossero altri bambini in quell'albergo, Maya ancora non ne aveva visti. E pensare che stava solo cercando di giocare, non l'aveva fatto a posta! Anzi, le era dispiaciuto così tanto aver impiastricciato tutta la borsa con la lattina di coca-cola.

Maya se ne stava lì, triste e sconsolata come solo a sette anni si può essere, fino al momento in cui qualcuno le tese la mano.

«Ciao, vuoi giocare con me?»

Un sorriso sulle labbra di quel bambino e con un soffio di vento sulla pelle tutto ebbe inizio.

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