Capirolo 17: 5 Aprile 1996

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Maya, rannicchiata in un angolo vicino agli scogli (lo stesso nel quale Pietro le aveva teso la mano anni addietro), si dondolava, cingendosi le gambe al petto e lasciandosi finalmente andare ad un pianto liberatorio. Ora che il magone era finalmente esploso sembrava non riuscire più ad interrompere il flusso di lacrime che le bagnava il viso arrossato.
Sara e Zoe, le amiche che l'avevano accompagnata, la osservano in silenzio, rimanendo in disparte e senza osare avvicinarsi. Conoscevano sin troppo bene l'amica per non capire quanto lei avesse bisogno di intimità; un'intromissione da parte loro e Maya avrebbe trovato il modo di fingersi forte e felice, reprimendo i suoi sentimenti, quando invece aveva bisogno solo di dare sfogo al suo dolore.

Maya era tornata al Bahia Hotel per cercare un po' di pace tra le braccia di Pietro: necessitava del suo sguardo comprensivo, del suo sorriso ipnotico, delle sue parole dolci e misurate, del suo abbraccio caldo, accogliente, rassicurante. Il bisogno che aveva di lui era radicato nella sua anima, era quasi un dolore fisico, era impellente, era impossibile da far tacere. Ma ormai di lui non aveva più traccia e questo le toglieva la forza, la voglia di affrontare il destino.
"Come farò ora ad andare avanti?"
Sentiva nel profondo che solo lui sarebbe stato in grado di rassicurarla, di farle accettare ciò che sta vivendo e gli inevitabili stravolgimenti che l'avrebbero travolta non appena uscita dal suo guscio di falsa accettazione.

Negli ultimi mesi il destino era stato crudele con lei, le aveva presentato un conto salato, troppo salato per una ragazza di solo diciotto anni. Nel giro di un attimo la sua felicità era andata distrutta e lei aveva perso i due uomini più importanti della sua vita.

La malattia del padre era stata estenuante. Erano passati solo pochi mesi da quando lui non c'era più, ma lei faticava a ricordare a pieno quei momenti. Probabilmente erano chiusi a chiave in un cassetto delle sua memoria che il suo cuore rifiutava di aprire. Quelle settimane sembravano isolate in uno spazio ed un tempo alieno, ovattate da un involucro di disperazione.

Le prime avvisaglie c'erano state ad inizio inverno. Il pallore del viso, la perdita costante di peso, i dolori che lo attanagliavano in silenzio. E lui forte, stoico, soffriva celando le sue paure ed il suo dolore a tutti. Maya porterà sempre con se' quell'ultimo Natale passato in ospedale ad aspettare una diagnosi che non sarebbe mai dovuta arrivare. Quante preghiere fatte in quei giorni, quante richieste, inutili, al Signore che crudelmente non l'aveva ascoltata. Perché la diagnosi arrivò, purtroppo. E con quella anche le corse al pronto soccorso, gli inutili interventi, le lunghe ed angoscianti notti in ospedale con i segni della sofferenza che sfiguravano il volto di suo padre. Lui, la sua guida, il suo muro incrollabile che ora stava crollando... E quella assurda consapevolezza di totale e disarmante inutilità, di essere inevitabilmente dipendenti dal destino, di essere così inutile, di non riuscire ad attenuare il suo dolore la mandavano ancora più in pezzi. Le cure, le decisioni forse sbagliate o forse no. L'assurdità di attaccarsi a quella speranza, totalmente vaga, totalmente folle, ma che non l'abbandonava mai. No, non era possibile, lui ce l'avrebbe fatta. Non importava se il suo male se lo stesse mangiando dall'interno, non importava se tutti la guardavano con la compassione che si riserva agli illusi. No. Loro si sarebbero aggrappati alla più sottile ed incerta chimera, perchè lui voleva così, lui voleva combattere fino alla fine. E loro avrebbero vinto, lui avrebbe vissuto. D'altronde chi più di suo padre poteva trasmetterle la forza e il coraggio necessario per non arrendersi?

Trascorse così il 5 Aprile dell'anno precedente. Tra gli studi trascurati ed il dolore della malattia. Nemmeno si accorse di quella data, nemmeno ebbe tempo di pensare a Pietro. Perchè pensare a lui la rendeva, almeno per un attimo, felice. E lei non poteva permettersi di essere felice mentre il suo mondo si stava sgretolando.

Poi arrivò quella notte, quell'ultima notte nella quale quasi chiese al cielo di non farlo più soffrire. Perchè lui, stoico ed eroico non mostrava mai il suo dolore. Soffriva in silenzio, per non vedere la sua sofferenza rimbalzare negli occhi di chi amava. Ma mai Maya scorderà quell'ultima notte, quegli ultimi momenti, quegli ultimi e strazianti sguardi di dolore e resa. Lei lo capì quella notte, lui si era arreso, la malattia aveva vinto, il suo muro forte ed imperturbabile era crollato.

Solo con il passare dei giorni Maya capì quante cose avesse, stupidamente, dato per scontato. Quanto quel bacio della buonanotte le mancasse, quanto quei giri in macchina arricchiti da racconti di un passato nostalgico, l'avessero salvata da ore solitarie trascorse sul divano. Quanto le piaceva cucinare per lui! Ogni volta la stessa storia, più Maya combinava pasticci, più lui svuotava il piatto assicurandole che ogni giorno era una cuoca sempre più brava. E poi l'orgoglio dipinto sul suo volto per ogni suo successo, anche più scontato, anche più immeritato. Maya non sapeva come avrebbe potuto sopravvivere rinunciando a tutto questo. Ma non aveva scelta, non poteva fare altrimenti.

Ed ora era volata fino a Cancun, spinta dalla madre, per rincorrere un passato che, purtroppo, era anch'esso scivolato via dalle sue mani.

Fu uno shock tornare lì e non trovarlo. Nessuno che sapesse darle informazioni, nessuno che sapesse confortarla. Nulla, non sapeva nulla. Solo che i suoi genitori non erano più i gestori di quel delizioso hotel: un bel giorno avevano fatto le valigie ed erano spariti e di quella famiglia più alcun indizio. Non un recapito telefonico, non un nuovo indirizzo.
Maya aveva messo da parte l'orgoglio e, con il cuore in mano, era stata a casa dei vecchi amici di Pietro sperando di incontrare Artur. Invece fu malamente accolta da Maria, che non la seppe (o non la volle) aiutare, ma che anzi, l'accusò per la partenza di Pietro. Le disse che non era suo diritto tornare e chiedere di lui, lui che passó un'intera settimana in spiaggia ad aspettarla e che, quando realizzò che non sarebbe più tornata, partì per non fare più ritorno, seguito, dopo qualche mese, anche dalla sua famiglia.

"Perchè sei qui ora? Perchè lo scorso anno non sei venuta, non lo hai chiamato, non gli hai scritto? Perchè? Lui aveva diritto di essere felice e tu gli hai rovinato la vita."
Fu dura Maria, molto dura: anche lei con la sua partenza aveva perso il suo primo amore.
"Perchè mio padre stava morendo..." Maya non ebbe mai il coraggio di dirlo, non voleva giustificarsi agli occhi di quella ragazza che tanto aveva sofferto a causa sua. Ma non poteva rinnegare le sue colpe: le sue accuse erano vere, avrebbe potuto cercare il numero dell'albergo e trovare cinque minuti per chiamarlo: sarebbe stato di conforto ad entrambi. Ma non lo aveva fatto, guidata dall'orgoglio e dalla paura di apparire vulnerabile ed indifesa ai suoi occhi e non poteva permetterselo... Così lo aveva perso. E cosa ancora peggiore, lui l'aveva aspettata, lui aveva sofferto a causa sua.
Maya, singhiozzando in riva al mare non si era mai sentita così inutile: non aveva salvato suo padre ed aveva fatto soffrire Pietro, lui che l'aveva amata per davvero, ma ormai l'aveva perso per sempre. Pietro non sapeva ed ora sicuramente la incolpava, la odiava. Chissà per quanto e con quanta angoscia avesse atteso il suo arrivo. E lei non aveva mantenuto la promessa, proprio come da lui predetto, lei un bel giorno non era tornata. E Maya sapeva che poco importavano le motivazioni dal momento in cui non si era nemmeno preoccupata di riferirgliele.

Ed ora chissà dov'era il suo Pietro? Chissà se l'avesse già dimenticata e magari rimpiazzata. Chissà se la odiasse tanto da aver maledetto il tempo trascorso con lei. E soprattutto chissà se lei sarebbe mai stata tanto forte da dimenticarlo...

Possibile che il destino si fosse accanito in quel modo con lei? Possibile che li avesse persi entrambi?

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