Capitolo 11: Il rientro

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L'imputato uscì dall'ufficio, contento per i risultati che aveva ottenuto con il giudice, ma comunque preoccupato per la sua sorte.
Scese i gradini malconci che portavano al marciapiede e cominciò a camminare; aveva un passo lento, come quello di chi torna a casa perdente da una battaglia per la quale aveva dedicato la vita.
Il paesaggio che gli si presentava attorno metteva i brividi: rispetto alla mattina, quando la nebbia si stava dissolvendo, il tempo era molto peggiorato: in cielo, si cominciavano a vedere arrivare le prime nuvole di un temporale bello grosso. Il viale su cui camminava era deserto, le finestre dei grandi palazzoni che sorgevano alti ai lati della strada erano tutti chiusi, fuorché qualche eccezione. Mentre camminava a fatica sul marciapiede disconnesso, decise, in rispetto del suo legale e per sicurezza, in caso non lo avessero fatto i dipendenti della centrale, di chiamare il suo avvocato e di avvertirlo del posticipo del processo.
Tirò fuori il cellulare dalla stessa tasca da cui in precedenza aveva estratto la lettera minatoria destinata a sua moglie.
Aprì la rubrica e cercò il numero da chiamare, quindi premette il tasto di inizio chiamata e attese una risposta. Il cellulare fece tre squilli; qualche secondo di silenzio e poi partì la segreteria telefonica. Aspettò alcuni prima di fare un altro tentativo, ma ancora una volta la chiamata fu invana.
Un po' seccato, l'imputato continuò ugualmente a camminare, anche se c'era qualcosa che non gli quadrava riguardo il motivo per il quale il suo legale non avrebbe potuto rispondere non gli era chiaro: poteva essere impegnato con il lavoro, magari era in famiglia oppure aveva altre faccende da sbrigare; quindi decise di avvertirlo appena arrivato a casa, dove finalmente avrebbe potuto riposarsi.
A qualche centinaio di metri dalla sua abitazione, l'imputato incontrò il signor Yoshida, un suo vecchio amico di origine giapponese che aveva frequentato con lui sia le scuole elementari che le medie.
~Hey Makoto, come va vecchio mio?~
*Me la cavo abbastanza bene, tu invece?*
A quelle parole, Alfred sbiancò di tutto punto e, nonostante la sua situazione non fosse delle migliori, e non sapesse cosa dire, anche lui gli rispose
~Benino dai~
Credeva che il suo interlocutore non avesse notato il suo cambiamento di colore e continuava a sperarlo.
*E TUA MOGLIE?*
In quel preciso momento, quando il suo compagno finí di pronunciare quelle parole che per lui sembrarono come un coltello affilato che lo colpì dritto nel petto, non riuscì a trattenere le lacrime e scoppiò in un pianto che nessuno riuscì a fermare.
Makoto, che non capiva cosa stesse succedendo e il motivo della sua tristezza, provò comunque a consolarlo, facendo in modo che lui posasse la testa sulla sua spalla, chiedendogli scusa, nonostante non sapesse cosa avesse fatto e dicendogli che andava tutto bene.

Delitto A Porte ChiuseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora