Capitolo 11

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                      "Elena"
«Fammi entrare, veloce!» mi urla. 
Le lascio libero il passaggio e appena varca la soglia, la seguo e ci andiamo a rintanare nella mia camera.
«Dovrei mettermi in faccia tutta sta roba?» chiedo guardando le sporte con aria schifata.
«No, tranquilla. Intanto parliamo di come ti vuoi vestire. Cosa avevi in mente?»
«Felpa e jeans?»
«Cosa?! Una delle più popolari della scuola fa una festa e tu vai in felpa e jeans? Spero tu stia scherzando.»
«Io in realtà non stavo sch.... Ehm, tu a cosa pensavi?»
«Vestito, tacchi, giubbino di pelle»
«Simpatica, no seriamente, cosa avevi intenzione...»
«Vestito, tacchi, giubbino di pelle»
«Tu sai che io non mi vestirò in quel modo»
«Dai, pensa, un ragazzo ti sceglie per andare ad una festa e tu cosa fai?»
«Metto felpa e jeans neri?»
«No non ci siamo»
«Ma perché dovrei assomigliare a una battona?»
«Tieni» dice tirando fuori da una sporta un vestito nero fino al ginocchio «Provalo, prendi anche le scarpe e il giubbino di pelle»
Prendo su tutto e vado in bagno. Perché dovrei tirarmi a lustro per una semplice festa, meglio vestirsi comodamente, la gente capisce che non sei una di quelle ragazze che se la tirano, non la capisco proprio Azzurra. Provo a mettere il vestito, è veramente bello ma non è nel mio stile, io ho un vestito soltanto, me lo aveva regalato un mio caro amico a  Verona. Stefano. Il giorno in cui mi sono trasferita è arrivato sotto casa mia con un lenzuolo imbrattato di vernice con scritto «Ti ricorderò per sempre, ti voglio bene Elena» Eravamo come fratelli. Infondo un po' mi manca ma non posso chiamarlo o messaggiarlo non ho il suo numero. Abitavamo così vicini che il telefono non serviva, quando avevamo intenzione di vederci, bastava andare a suonare al campanello.
Torno a galla nel mare dei ricordi e finisco di mettermi la scarpa, è un'impresa camminare su questi così. Esco dal bagno e vado in camera.
«Ho le gambe troppo scoperte, mi serve un paio di calze che stiano bene con questo vestito» dico tutto d'un fiato.
«Prendi»  mi dice lanciandomi in faccia le sue calze a rete fittissima preferite.
Dopo aver trovato il look adatto: vestito, giacchetta di pelle, calze e tacchi, Azzurra passa al trucco.
Non voglio diventare un clown. Una riga di eye-liner e una passata di mascara basta e avanza. Mi raccolgo i capelli tinti in due trecce, quelle che iniziano alla radice del capello, non so bene come descriverle, mi sembra si chiamino trecce alla francese. Appena finisco inizia a imbrattarmi la faccia con materiali non identificati.
Mancano 15 minuti e Fabio mi passa a prendere. Abbiamo finito ora con il trucco e i vestiti. Il trucco non è nemmeno cosi tanto diverso da quello che faccio sempre io, solo che lei ha usato altri prodotti per la pelle di cui io non ho mai sentito parlare.
Appena azzurra torna a casa,Fabio suona il campanello del mio palazzo.
Faccio le scale più velocemente che posso e vado fuori dal cancellino. È in motorino e io ho la gonna, perché ho ascoltato Azzurra?
Lui scende dal veicolo mentre arriva arriva davanti a me si toglie il casco.
«Buonasera Elena» dice baciandomi la mano «Dobbiamo fare veloci, prendi il casco e salì su» continua lui.
«Pronta?» mi chiede.
Annuisco.
Dopo poco la moto è parcheggiata e noi stiamo attraversando il vialetto  della casa della festeggiata.
Entriamo.
Si soffoca, l'aria non è delle migliori, è caldissima e ho un odore strano e ci sono tantissimi ragazzi con rispettive ragazze. Anche dall'entrata si vede l'argomento della serata che a quanto pare non sembra disprezzato dai ragazzi. Alcol, alcol e ancora alcol.
«Arrivo subito, vado a cercare un mio amico, aspettami qui sul divanetto» urla in modo lo possa sentire.
Annuisco ancora.
Questa casa è gigante. Una vera e propria villa, sicuramente avranno pure la piscina.
Inizio a guardare il telefono per sembrare meno sola. Faccio sempre così.
<La festa fa schifo> scrivo a Azzurra.
<Fabio?> mi chiede.
<È andato a cercare un suo amico>
<Oh dai, la situazione si sistemerà> cerca di incoraggiarmi inutilmente.
<Speriamo> concludo il discorso.
«Ele, non l'ho trovato, intanto andiamo fuori, si soffoca qua dentro» sento sussurrarmi all'orecchio per farsi sentire nonostante il volume alto della musica. Finalmente Fabio è arrivato, mi stavo annoiando come non mai.
Fuori l'aria è freschissima rispetto a dentro la casa. Andiamo al marciapiede e ci sediamo lì. Povere le mie calze o meglio, le calze di Azzurra.
«Dai su parliamo un po', non fare l'asociale per tutta la serata»
«Di cosa vuoi parlare?» chiedo
«Della tua vita prima di trasferirti» accenna un mezzo sorriso.
«Non c'è molto da dire, avevo amici e amiche e là stavo bene.»
«Anche qui si sta bene, e fra un po', il tempo di ambientarti, troverai un sacco di amici e amiche» mi rassicura.
Non rispondo, rimango a guardare il marciapiede come ipnotizzata mentre sto pensando alla mia vita prima di trasferirmi questo luglio, sono già passati tre mesi. Il tempo vola.
Mi alzo e passo la mia mano a Fabio per farlo alzare.
«'Sta volta non cadermi addosso come l'ultima»
Annuisco per là cento diciottesima volta e nel mentre sorrido.
«Dovrebbe arrivare il mio amico, alla fine prima non era ancora arrivato»
«Chi è?»
«Uno nuovo, come te, solo che si è trasferito nemmeno una settimana fa, abita per la nostra via ed è simpaticissimo»
«Uh, ok»
Passano minuti e io e Fabio intanto parliamo del più e del meno. 
«Sono qui Fabio» sento urlare da una voce familiare.
Mi giro di scatto e lo vedo. Non ci crederò mai. Magari è un ragazzo che ci assomiglia. No. È proprio lui.
«Scusa il ritardo» dice col fiatone.
«Stefano» sibilo.
I suoi occhi ricadono su me, non mi aveva ancora vista.
«Non ci credo» bisbiglia
Gli vado in contro e lo inizio ad abbracciare come non ho mai fatto. Sorridiamo tutti e due con gli zigomi bagnati di lacrime.
«Sei tornato» dico con la voce impastata e i singhiozzi.
«Te lo avevo promesso, ricordi?» sorride nel pianto. 
Non ho mai pianto come questa volta. È tornato.
Mi metto davanti a Fabio che sembra alquanto perplesso.
«Grazie mille» dico tra i singhiozzi.
Ci ha fatti rincontrare.
«Non capisco...» afferma confuso.
«Ti ricordi quando ti dicevo di una certa Elena che si era trasferita ed io ero rimasto solo?»
«Si...»
«Lei era la mia migliore amica, Elena» 
Ormai io sono andata, sto piangendo a dirotto seduta sul muretto che circonda la casa. Fabio mi viene incontro.
«Vedi non sarai più sola, hai me, Azzurra e Stefano»
Sorrido, mi alzo e lo abbracciò cercando di calmarmi. Le sue braccia stringono delicatamente i miei fianchi. Vorrei rimanere stretta a lui per sempre. Mi sento protetta. La mia corazza sta lentamente svanendo.
               
                                        ✨Erica

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