Capitolo 15

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Fortuna volle che Brett Dawson fosse rimasto in centrale ad aspettare il suo avvocato, non aveva fatto per niente caso al fatto che non era ancora in arresto quindi, al nostro arrivo, ci trovammo già con un pezzo di lavoro svolto: non c'era più bisogno di scorrazzare per la città cercando di rintracciare il principale sospettato così Jim Brass mi venne in contro apposta per informarmi di quanto era successo durante la nostra assenza. Mi diede alcune informazioni utili su come trattare l'avvocato che si era scelto il signor Dawson, un certo Mac Patterson, novellino del dipartimento della difesa iscritto all'albo degli avvocati da soli due anni, di cui uno e mezzo passato a scartabellare documenti in un noto ufficio della zone clue di Las Vegas. Prima di lasciarlo tornare nell'ufficio, gli raccontai le nuove informazioni che avevamo raccolto da Garrett. Brass mi disse che c'erano tutti gli estremi per richiedere un mandato di perquisizione a casa del nostro sospettato, così telefonò subito al procuratore per richiederne uno. Nel frattempo mi fiondai nella sala interrogatori, ma non prima di aver recuperato la mia cartellina gialla che, forse, poteva essermi utile. Appena arrivata, notai subito l'avvocato di Brett: era evidente che stava facendo da poco quel lavoro, probabilmente quella era il primo vero confronto che affrontava direttamente in un commissariato. Il sospettato mi squadrò nuovamente da capo a piedi. «Stavolta l'hanno mandata qui da sola?» Chiese Brett laconico. Andai a sedermi davanti a lui, ignorandolo e presentandomi al suo avvocato come facevo di solito. Avevo già inquadrato Brett come un maschilista pieno di sé, infatti le mie parole non fecero altro che farlo imbestialire. «Non mi ignori! Lo so che lei ce l'ha con me!» L'avvocato cercò di calmarlo, inutilmente.

«Capisco la sua frustrazione, ma qui non siamo in un asilo.» Dissi a denti stretti, Brett si fece rosso di rabbia in volto. «Ad ogni modo, lei ci ha mentito. Aveva visto Carol quella sera, vero? Intendo lunedì.» Chiesi poi.

Brett spostò con veemenza lo sguardo altrove. «Le ho già detto di no.»

«Andiamo, la smetta di dire fesserie. Abbiamo un testimone che è pronto a giurare di averla vista sulla scena con la vittima.» Risposi io secca nonostante, in cuore mio, sapessi che non era vero. L'avvocato gli disse qualcosa sottovoce poi rispose per lui dicendo che si appellava alla facoltà di non rispondere.

«Non fa altro che peggiorare la situazione, Brett. In questo momento stiamo aspettando il mandato per perquisire casa sua e, nel caso trovassimo le prove che lei ha ucciso Laura, la inchioderemo e la sbatteremo in carcere per il resto dei suoi giorni.»

«Sempre che le troviate le prove.» L'avvocato gli lanciò uno sguardo avvelenato, se non chiudeva la bocca per il suo cliente non ci sarebbe stata via di scampo, così gli suggerì di stare zitto per la milionesima volta.

«Il mio cliente è forse in arresto, signora Williams?» Chiese poi.

Nonostante lo volessi trattenere di più dovetti rilasciarlo. «No, non ancora. Ma in queste circostanze possiamo trattenerlo per quarantotto ore quindi, almeno per stanotte, lei non si muoverà da questo dipartimento. Trascorrerà una piacevole notte in cella.» Dissi conquistando un altro sguardo carico di odio da Brett. Uscii per poi chiamare un agente che lo portò alle celle che stavano al piano più basso dell'edificio.

Dopo averlo visto sparire in ascensore, mi precipitai a cercare Jim Brass, con la speranza che avesse ottenuto un mandato per la casa di Dawson.

Lo trovai fermo in ufficio a firmare alcuni documenti. Bussai freneticamente sulla porta, senza neanche aspettare un suo cenno, Jim mi guardò serio. «Immagino tu sia qui per il mandato!» Disse.

«Esatto, abbiamo avuto fortuna per stavolta?»

«Pare di sì, il nostro amico procuratore era giusto a cena a casa del giudice Connelly, ci ha autorizzato a perquisire la casa di Dawson. Qui c'è il mandato faxato e firmato, come volevi.» Mi consegnò il foglio firmato e timbrato.

«Grazie Jim! Ti devo un favore.» Scappai in corridoio, con la speranza di trovare qualche agente o collega disponibile a darmi una mano. Mi avevano caldamente consigliato di non trasgredire alla regola di andare su una scena da sola: molti anni prima c'era stato uno spiacevole incidente ed era morta una nuova recluta della scientifica al suo primo giorno di lavoro. Per mia fortuna trovai Mitchell, uno degli agenti del dipartimento che aveva anche lavorato nella scientifica per qualche tempo, che si offrì con entusiasmo di accompagnarmi, a noi si unì anche Nick, dato che era rimasto momentaneamente fermo sul suo caso.

Brett abitava in una piccola casa per conto proprio nello stesso quartiere della sua sala giochi: le luci al neon che erano rimaste accese fuori si potevano scorgere fin dal fondo della strada. Dall'esterno la casa si presentava un po' trasandata, specialmente il prato davanti, infatti l'erba che un tempo doveva essere verde, ora era quasi del tutto bruciata e ingiallita.

Mitch parcheggiò l'auto di servizio dietro alla nostra Denali e ci fece strada per controllare che in casa non ci fosse nessuno, al via libera entrammo anche noi. Quando le luci si accesero quello che ci si presentò davanti era un salotto che sembrava appena uscito da una rivista di design, moderno quasi quanto il suo ufficio, pensai. Io e Nick ci dividemmo le camere ma in casa, a parte qualche cosa fuori posto, non trovammo niente che lo potesse incriminare. Dopo un'ora e mezza buona ci ritrovammo tutti e tre nella piccola cucina. Fui io a parlare per prima. «In questa casa sembra tutto dannatamente in ordine, quasi con precisione maniacale.»

Nick annuì. «Già, sembra quasi da serial killer. Ho i brividi, sai?»

«Già, ora che si fa?» Chiesi sorridendo.

Mitch si riaggiustò il cappello in testa. «Sapete, nella mia lunga esperienza ho potuto constatare che, se devi nascondere qualcosa, il modo più semplice è sotterrarlo.»

Io e Nick ci guardammo istintivamente. «Il giardino!»

Così uscimmo tutti e tre nel piccolo appezzamento che stava nel retro della casa: anche qui, come sul prato anteriore, l'erba era prettamente bruciata e non c'erano tracce di giardinaggio o simili, in compenso c'era un mini fabbricato che fungeva da casetta per gli attrezzi, così decidemmo di entrare a dare un'occhiata. C'erano molti attrezzi da giardino compresi pale, rastrelli, sarchiatori,... al fondo della parete c'erano accatastati alcune latte di vernici piene e vuote e una tanica di benzina quasi a metà. Quest'ultima attirò la mia attenzione ma poi vidi un tosaerba a benzina coperto da un telo quindi non mi preoccupai più di tanto, finché Nick non mi chiamò da fuori. «Che c'è?» Dissi uscendo dalla porta di alluminio.

Nick mi mostrò un vecchio bidone arrugginito. «Ho sentito uno strano odore di bruciato misto a benzina quando mi sono avvicinato a questo vecchio fusto e guarda cosa ci ho trovato.» Infilò un braccio dentro per ripescare qualche pezzo di stoffa bruciacchiata scampata al falò. In alcuni punti si vedevano distintamente delle macchie rosse, probabilmente era sangue ma, per esserne certi, bisognava portarle in laboratorio. «Credo che il nostro amico non abbia fatto un buon lavoro.»

«Direi di no, ora che mi ci fai pensare...» Tornai nella casetta, non ci avevo fatto molta attenzione ma avevo notato che una delle pale appoggiate al muro era molto infangata e coperta di terra così l'andai a prendere, poi uscii di nuovo fuori: Nick aveva appena finito di imbustare i pezzi di stoffa. «Questa pala è fuori posto, non ti sembra?» Dissi indicando le incrostazioni di terra. «Non vedo nessun orto o aiuola, quindi a che serve una pala se non ad interrare qualcosa?» Dissi con un sorriso ironico.

Mitchell mi diede ragione. «Ho notato che c'è un pezzo di prato in cui l'erba è cresciuta un po' più verde, ma sembra più bassa del solito. Dovremmo guardare lì.»

«Ottima osservazione, facci vedere.» Disse Nick.

Mitch ci fece vedere il punto esatto, un quadrato non perfetto vicino allo steccato. Dopo aver scattato alcune foto alla pala, ci mettemmo a scavare in quello stesso punto finchè non sentimmo un rumore metallico sordo: probabilmente avevamo colpito qualcosa. Scavai con le mani: sotto pochi centimetri di terra trovai un tubo in acciaio a cui diedi una rapida ma attenta occhiata. «Qui sopra ci sono delle macchie, passami un tampone.» Nick me ne passò uno sterile, con cui tamponai alcune macchie: dopo averci versato sopra qualche goccia di reagente, il tampone si colorò di un rosa brillante. «Non c'è dubbio, è sangue.» Disse Nick richiudendo la sua valigetta di alluminio.

Waking up in VegasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora