Capitolo 19

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"Ti chiamo al telefono, cade la linea e lo tiro via
E ho trovato un reggiseno tuo in tintoria
E mi chiedo cosa da te mi ha spinto via"

- Fred de Palma -


Greg aveva rinunciato ad entrare in camera ed era pressoché calato il silenzio in casa, l'unico rumore a smorzarlo era il ticchettio della pioggia sul vetro della finestra. «Credi che potremo parlare guardandoci in faccia, prima o poi?» Chiese lui ad un tratto, probabilmente si era seduto nella mia stessa posizione ma dall'altro lato della porta. Sospirai, ripensando a quello che avevo fatto: non gli avevo neanche lasciato il tempo di spiegarsi o di dirmi se aveva già pensato ad accettare oppure rifiutare l'offerta. In quel momento sentii il mio telefono squillare, lo cercai in tasca ma mi ricordai che lo avevo lasciato nella giacca, buttata malamente per terra vicino all'ingresso. Sentii Greg alzarsi per andare a rispondere, sentivo uno strano nodo allo stomaco che tentai di affievolire portando le ginocchia al petto. Dalla conversazione capii che era stata Sara a chiamarmi, forse voleva sapere se avevamo parlato. «No, si è chiusa in camera e non vuole uscire. Tranquilla, me la cavo io. Grazie.» Lo sentii dire, poi più niente, aveva chiuso la chiamata ed era tornato a sedersi dov'era prima. «Senti...» Iniziò. «...non ho ancora preso in considerazione fino in fondo l'idea di Russell. Sapevo che avresti reagito così, per questo ho aspettato a parlartene.»

Appoggiai il mento sulle ginocchia. «Non voglio ritrovarmi in mezzo a te e il lavoro, Greg.» Gli dissi. «Non voglio che tu sia costretto a scegliere tra me e Washington.» Ero sul punto di piangere mentre lui continuava a stare in silenzio. «Non posso e non voglio perderti, non ora.»

«Non voglio abbandonarti, Michelle. Dopo ciò che hai passato, sarei un vero bastardo se ti lasciassi qui per andare a Washington.» Fece un sospiro. «Credo sia una decisione da prendere insieme.»

«No Greg, è una tua decisione... ma se tu volessi andare via sappi che io non verrei con te.» Dissi di getto, quasi per liberarmi da quel peso. Il nodo che avevo allo stomaco si fece sentire ancora di più, quasi a farmi venire la nausea. «So solo che in questi tre anni ho messo tutta me stessa per conquistarmi il ruolo che ho nella squadra, finalmente ho trovato il mio posto e non credo di essere pronta ad abbandonare tutto.» Cominciai a piangere, le lacrime scendevano calde lungo le guance.

«Lo so.» Disse lui, il suo tono di voce sembrava incrinato. «Per quanto possa valere, la mia idea iniziale era di tornare a casa il venerdì, dopotutto sarei a Las Vegas con qualche ora di volo...» Vista da quella prospettiva non sembrava neanche male come idea, ma c'era sempre tutto il Paese in mezzo. «E poi c'è Skype, possiamo vederci ogni sera.» Disse quasi per rassicurarmi.

«Quindi hai deciso di accettare?» Chiesi freddamente. Dovevo pensarci e ripensarci, ma non volevo convincermi che quella fosse la soluzione giusta.

«Non lo so ancora, sarebbe un'occasione da non perdere. In ogni caso posso provare e, se la cosa non dovesse funzionare, tornerei subito alla scientifica. Però...» Fece una pausa. «Questa è la mia grande occasione, e voglio che tu sia felice con me a Washington.» Disse. In quel momento non ci vidi più: non mi avrebbe portato via nessuna delle cose che mi ero costruita negli ultimi anni, non lo avrei permesso a nessuno, tantomeno a lui che avrebbe dovuto capire i miei sentimenti più di chiunque altro. «Las Vegas è casa mia, Greg. Non verrò con te dall'altra parte del Paese.»

«È anche casa mia! Diamine, pensi che per me sia facile?» Il suo tono era drasticamente cambiato. Se aveva voglia di litigare era il benvenuto.

«La verità è che pensi solo più a te stesso ultimamente, non sei più il ragazzo che ho conosciuto sulla Strip.»

Waking up in VegasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora