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-Signore. Signore. Si svegli!- sente  Paolo mentre si è addormentato accanto a Sylvia.

Una mano che lo accarezza sulla spalla. Un uomo in camice bianco. Con una cartella clinica tra le mani.

-Cos..Cosa è successo?- dice assonnato.
-Signore, sono il ginecologo che ha visitato sua moglie ieri, si ricorda.- pronuncia queste parole così lentamente da far rassicurare anche lui.

-Devo chiederle di andare via, purtroppo devo portare sua moglie in sala operatoria. Deve subire un'operazione. Devo farla partorire -.

"Come? Partorire? Ma è presto!" Pensa.

-Come partorire? Mia moglie non sta bene adesso!- dice agitando le braccia, ed alzandosi di scatto.

-Vostro figlio ha bisogno di nascere, vostra moglie è come se fosse morta, non è naturale tenere un bambino in grembo-

Dopo qualche istante di riflessione.

-Ha ragione! Faccia quello che ritiene più giusto, io sarò quì ad aspettarla. Aspetterò mio figlio!- porta le mani dietro alla nuca e alzando gli occhi al cielo, pensa all'impossibile.

Dalla porta entrano gli infermieri che le cambiano il letto. La prendono senza torcerle un capello, e la spostano. Staccano tutti i fili che la mantengono in vita e la vede allontanarsi. Tra i corridoi di quel desolato ospedale.

Diventano un puntino nel vuoto, quando aspettano l'ascensore che li porterà al piano desiderato. Lui rimane in quella stanza desolata, triste.

Incominciò a tremare.

Si girò di scatto e corse verso un'infermiera che stava parlando con un ammalato.

-Signora, salve..- ormai affannato si piega sulle ginocchia. -La stanza per partorire?-

La signora, amorevolmente, le risponde -Figliolo, terzo piano, aspetta un bambino sua moglie?- lui la fissa rispondendo - Si!- e non fa in tempo a ringraziarla che corre verso l'ascensore. Come uno psicopatico preme quel bottone centinaia di volte, senza fermarsi. Quando le porte si aprono, riprende a pigiare quel tasto altre mille. Fin quando le porte non si chiusero.

Porta la testa alla parete e piange, piange forte, e butta fuori un urlo. Forse un urlo liberatorio.

Quando il suono e le porte si aprono, corre ancora più veloce e raggiunge la sala parto.

Improvvisamente un gemito da dietro quella porta. Un pianto di un bambino.

-Amore, sono io il padre!- sbatte pugni dentro la porta, qualcuno sente ed aprono.

La prima cosa che nota sono le pantofole bianche a forellini, asettiche, per le sali operatorie, na figura magra, vestita con un pantalone verde bottiglia e una maglia a mezze maniche. La benda bianca che le copriva il volto e una cuffia dello stesso colore della divisa.
Questi occhi, scuri, rassicuranti, lo guarda pronunciando. - È lei il padre di questo meraviglioso bambino?-

In braccio aveva un batuffolo di carne con capelli nero corvini. Sporco ancora di sangue e sostanze gelatinose, bianche. Nudo. Lo gira verso di lui. Il bambino smette di piangere e Paolo inizia a sorridere, poi ride, ride forte.

-Si, sono io il padre, e sono fiero di esserlo!-

La ragazza le comunica che il neonato, nato prematuramente, ha bisogno di stare per un po' nell'incubatrice e di essere nutrito. Poi lo riguarda.

-Mia...mia moglie?- pronuncia speranzoso.

Incredibilmente i suoi occhi diventano tristi, compassionevoli, non riesce a pronunciare quelle parole, ma deve farlo, deve farlo per forza. È per il bene di tutti.

Non facendo trapelare nessun sentimento dice..

-Mi dispiace, sua moglie...- riprende fiato, ancora più determinata,  aggrotta le sopracciglia, deglutisce, raccoglie coraggio e gli dice -Sua moglie, non ce l'ha fatta!- prima di dover dire altro, con lacrime pronte a scendere giù come un fiume in piena, pensando che quella ragazza ha lasciato un figlio e un ragazzo, soli, in balia del proprio destino. Chiude la porta dietro di lei. Lo lascia solo, con i suoi pensieri. Incredulo.

Poi si lascia andare.

Perde i sensi.

Sviene.

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