*Arriverò domani, sto preparando i bagagli*
-Zia Kate
Un sorriso si dipinge sul mio volto, non la vedo da troppo tempo, mi serve qualcuno che mi riporti alla mia realtà.
Ho bisogno di ridere, specialmente dopo questa ultima settimana senza Daisy, è mancata per qualche giorno a scuola e quando era presente non mi degnava nemmeno di uno sguardo, volevo parlarle ma sembrava fulminarmi ogni volta che mi avvicinavo e ammonirmi ogni volta che provavo ad aprir bocca.
Mi sento enormemente in colpa per averle detto quelle cose, non ho chiuso occhio negli ultimi giorni.È molto presto, il sole non sorge ancora, ma le prime luci dell'alba incominciano a farsi vedere, sono stanca ma non riesco a prendere sonno, decido di alzarmi e prepararmi, Amanda ancora dorme probabilmente, motivo in più per uscire prima di casa, farò colazione nel bar davanti scuola.
Quando varco la soglia noto un cielo triste, talvolta penso che il mio umore dipenda proprio dal tempo, come se fosse un dipinto del caos che ho dentro, costituito da diverse tonalità di grigio, proprio come le sfumature nel cielo questa mattina, è un po' come uno specchio, però la cosa bella è che potrebbe spuntare il sole da un momento all'altro, soltanto che adesso nel cielo si intravede soltanto una luna, è proprio così che mi sento, fuori posto, come questa luna quasi trasparente, che non si trova su un velo blu come dovrebbe, bensì su una tela chiara che non le si addice, che non le appartiene.
Appena entro nel bar noto una sagoma famigliare, Daisy, grazie al cielo.
Ordino un cornetto per me e una conchiglia al cioccolato per lei, le porto al suo tavolo e mi siedo di fronte a lei.
Mi fissa, un po' sorpresa, senza proferire parola, vuole che me ne vada.
"D io.." inizio a dire.
"Hai già detto abbastanza non credi?" dice retorica, mentre senza curarsi di me da un morso alla conchiglia che le ho portato.
"No invece" ribatto.
Devo catturare la sua attenzione.
"Non so perché quelle parole ti abbiano ferito al punto di non volermi più parlare, so di esser stata poco delicata e ti chiedo scusa, ma ti prego parlami Daisy, sei l'unica persona che mi fa staccare un po' dalla mia vita incasinata, ti ascolto, qualsiasi cosa hai da dirmi, anche se saranno solo insulti"continuo.
Lei sta zitta.
Alza lo sguardo e si concentra sui miei occhi, la rabbia di prima si è trasformata in tristezza, credo stia per scoppiare, forse a piangere o urlare, ma sta per succedere qualcosa.
Si alza di scatto ed esce fuori dal bar, io la seguo.
Fuori c'è un freddo pungente che prima non avevo notato. Si ferma a pochi metri dalla porta.
"Daisy, che cosa hai, non ti senti bene?" chiedo preoccupata, è diventata bianca in volto.
E così all'improvviso mi abbraccia e scoppia in lacrime.
Sono confusa.
Singhiozza contro la mia spalla.
"Hey" dico prendendola per le spalle costringendola a guardarmi in faccia.
I suoi occhi sono rossi, le lacrime continuano a solcare il suo viso, cerca di non far rumore per non attirare l'attenzione degli studenti che cominciano ad avvicinarsi a scuola.
"Dobbiamo andare in classe" dice tra un sospiro e l'altro.
"No, tu adesso mi dico perché stai piangendo" le ordino accennando un sorriso.
"Ma.." ribatte.
"Niente ma, entreremo in seconda" dico spingendola di nuovo nel bar. Se dobbiamo parlare lo faremo al calduccio.
"Aleya, non voglio mettere in disordine anche la tua vita, andiamo in classe, ti prego" sospira, tirando su col naso e asciugandosi le lacrime.
"Vedi Daisy, la mia vita è più incasinata di quanto tu creda e se mettere qualche casino in più equivale a farti stare meglio, allora farà stare bene anche me" la rassicuro.
Capisce che non mollerò, così si siede allo stesso tavolo di prima e io la seguo.
"Ti chiedo solo una cosa, non giudicare".
La sua proposta è strana, ma annuisco.
"Tutti a scuola dicono che io faccio uso di alcolici e di droghe, per attirare attenzioni" dice fissando un punto indefinito sul pavimento, lasciando spazi vuoti tra le parole.
"Alcuni dicono che bere per dimenticare non ha senso, invece si, perdi i sensi e non riesci a stare in piedi, ma dimentichi" continua ad evitare i miei occhi.
Non capisco, aspetto che vada avanti. Fa lunghe pause tra una frase e l'altra, sembra persa tra i suoi pensieri.
"Mio zio Mike" dice all'improvviso "Il mio tutore dall'età di 8 anni, dopo che i miei sono andati in Antartide per lavoro" sospira.
"Lui mi regalava sempre caramelle e bambole" dice, dovrebbe sembrare una bella cosa, ma nei suoi occhi leggo paura e odio.
"Ma voleva qualcosa in cambio, diceva che dovevo fare la brava" le lacrime cominciano a scenderle dal viso, di nuovo.
"Che se volevo giocare con le bambole, io dovevo giocare con lui, essere la sua bambola" dice con disprezzo spostando di scatto lo sguardo sui miei occhi.
Spero di aver capito male, la guardo confusa.
"Cos.." inizio a parlare.
"Che se io potevo decidere quando e come vestirle, lui poteva farlo con me" sembra parlare con se stessa.
"E lo faceva, mi costringeva a fare tutto davanti a lui, persino la doccia" continua sprezzante.
"Poi a 13 anni ho iniziato a ribellarmi, ma non me lo permetteva, mi menava ogni qualvolta che dicevo di no, mi trattava come un animale, era un mostro, non mio zio, non lo riconoscevo più, nei suoi occhi c'era odio. Diceva che mia madre le era stata rubata da suo fratello e che adesso poteva sfogarsi con me, sfogare tutta la sua rabbia nei confronti di mio padre" comincia ad alzare la voce per la rabbia, ma cerca di trattenersi, non è facile per lei.
"Tranquilla" le afferro una mano.
"E poi loro, i miei genitori esploratori, che non capivano un cazzo, durante le videochiamate non notavano i miei lividi oppure la mia paura, per loro eravamo una felice famigliola ristretta io e lui" ride amaramente.
"Io tentavo di far capire loro che non stavo bene, ma Mike mi lasciava senza cibo se capiva che stavo tramando qualcosa e mi minacciava di morte se solo osavo parlare dei suoi abusi sessuali nel mio diario segreto, che in realtà segreto non era".
Mi porto una mano alla bocca, sconcertata da quello che sto sentendo.
"All'età di 14 anni, pensavo addirittura al suicidio, ma la mia personalità non si addiceva a quella soluzione, io volevo vivere la mia vita così mi rifugiai nell'alcool, un volta, due, tre, e la cosa funzionava, andava avanti, io non ricordavo niente e Mike non se ne accorgeva" dice impassibile.
"Poi decisi di vivere e non sopravvivere, così sperimentai un pò di piani, ogni volta che scopriva le mie intenzioni mi puniva, ma oramai ero diventato uno straccio, un cazzotto in più o uno in meno non faceva la differenza sulla mia pelle violacea"
Mi scende una lacrima, non riesco a immaginare Daisy, sempre così sorridente, in quelle condizioni.
"Poi scappai di casa, mentre lui era chiuso in camera a parlare di affari, stranamente mi aveva lasciata da sola, corsi più veloce che potevo, casa mia non era molto distante da scuola, così quello fu il primo posto in cui andai, era pomeriggio, la mia prof teneva dei corsi pomeridiani, chiesi aiuto a lei, che mi portò in centrale a denunciare Mike, che qualche giorno dopo venne arrestato per abusi e molestie sessuali, le prove delle sue azioni erano impresse sulla mia pelle" racconta.
"I miei genitori, quando lo vennero a sapere erano addolorati, ma tornarono dall'Antartide, solo dopo sei mesi, erano troppo impegnati e non potevano lasciare il lavoro, in quel periodo stetti in casa famiglia" dice con disprezzo, credo non vada d'accordo con i suoi.
"Mi dispiace" riesco solo a dire.
"I lividi con il tempo andarono via e io ripresi a vivere, ma tutte le notti lo stesso incubo mi infestava e continua ancora a infestarmi ogni parte della mente, così nonostante fosse finito tutto io continuai a bere, non volevo ricordare e presto diventò una dipendenza, non posso farne a meno, ai miei genitori non frega niente, appena tornati dall'Antartide mi hanno mandato da uno psicologo e credevano di aver risolto tutto, credevano che io avevo dimenticato tutto" continua guardandomi con quegli occhi nocciola che sembrano essere diventati una pozza nera.
Mi alzo e la abbraccio.
Non so cosa dire, un "mi dispiace" non risolve le cose, niente risolve le cose, in questi casi c'è solo da stare zitti e ascoltare.
Nessuno meriterebbe tutto questo, specialmente D.
Sembra essersi calmata, i suoi occhi sono ancora colmi di rabbia, ma sembra stare meglio.
"Aleya, non credere a ciò che dicono su di me, adesso sai la verità" spiega.
"Non avrei mai dovuto credere a quelle cazzate" dico stringendola ancora più forte.
"Ti starò vicino" le prometto, spostando la testa dai suoi capelli biondi.
Lei sorride con occhi tristi e mi trascina fuori dal bar.
"Dai che facciamo in tempo a.." inizia a dire.
"Ah no, io adesso entro in seconda" la interrompo puntandogli il dito contro facendola ridere.
"Dicevo che faremo in tempo a gustare i muffin di Marcus appena sfornati" ridacchia.
"Ma hai appena mangiato una conchiglia strapiena di Nutella!" la guardo sorpresa mentre si mette in fila.
"Si, ma ho pianto e adesso devo riacquistare le energie" si giustifica.
"Sei un caso perso" alzo gli occhi al cielo."Ciao zia si, sto arrivando tranquilla aspettami lì" rispondo di fretta alla sua chiamata, inciampando sui lacci delle scarpe ancora sciolti.
"Ciao Aleya" dice una voce, che non è quella di mia zia.
Sto zitta.
"Sono Karen, tua zia è qui con me, che ne dici di venirci a fare visita?".
Merda.

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The Recall (Il Richiamo)
Vlkodlaci"Sai ragazzina secondo la leggenda il cuore di un lupo, non è di ghiaccio, perché potrebbe sciogliersi, nè di fuoco perché potrebbe spegnersi, nè di pietra, perché potrebbe rompersi, ma di diamante, poiché è indistruttibile" dice sfidandomi con lo s...